Riproduz./Informatizzazione a cura di B. E. Durante

TOMMASO MORO
Tommaso Moro, qui in un ritratto di Hans Holbein il Giovane (1527), T è il nome italianizzato con cui è ricordato Thomas More (7 febbraio 1478 - 6 luglio 1535), avvocato, scrittore e uomo politico inglese, santo della Chiesa cattolica e anglicana. Nel corso della sua vita si guadagnò fama a livello europeo come autore umanista e occupò numerose cariche pubbliche, compresa quella di Lord Cancelliere d'Inghilterra tra il 1529 e il 1532 sotto Re Enrico VIII.
More ha coniato il termine "utopia", con cui battezzò un'immaginaria isola dotata di una società ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, L'Utopia, pubblicata nel 1516; Moro ha fatto derivare il termine "utopia" dal greco antico, e significa, letteralmente "luogo inesistente", oppure "luogo bellissimo".
È ricordato soprattutto per il suo rifiuto a livello di principio della rivendicazione di Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d'Inghilterra, una decisione che mise fine alla sua carriera politica e lo condusse alla pena capitale con l'accusa di tradimento.
Moro venne canonizzato dalla Chiesa cattolica nel 1935 da Papa Pio XI ed è commemorato il giorno 22 giugno; dal 1980 è commemorato anche nel calendario dei santi della chiesa anglicana (il 6 luglio), assieme all'amico John Fisher, vescovo di Rochester, decapitato quindici giorni prima di Moro.
Nel 2000 San Tommaso Moro venne dichiarato patrono degli statisti e dei politici da Papa Giovanni Paolo II.
Moro nacque a Londra (Inghilterra). Entrò alla corte di Enrico VIII nel 1520 e venne nominato cavaliere nel 1521.
Figlio di Sir John More, un avvocato di successo e giudice, la sua carriera forense è celebrata nonostante il fatto che nessuna testimonianza dei casi di cui si occupò sia oggi sopravvissuta.
Come studioso fu inizialmente un umanista nel senso più comune del termine.
Fu grande amico di Erasmo da Rotterdam, che gli dedicò il suo Elogio della follia (la parola "follia" in greco si pronuncia "moria").
In seguito, le relazioni tra i due furono tese, poiché Moro era impegnato nella difesa dell'ortodossia religiosa, mentre Erasmo denunciò quelli che vedeva come errori intrinseci della dottrina cattolica.
Come consigliere e segretario di Enrico VIII, Moro contribuì alla redazione de "La difesa dei sette sacramenti", una polemica contro la dottrina protestante che fece guadagnare al sovrano il titolo di "difensore della Fede" da parte di Papa Leone X nel 1521.
Sia la risposta di Martin Lutero ad Enrico che la conseguente "Responsio ad Lutherum" ("Risposta a Lutero") furono criticate per i loro intemperanti attacchi "ad hominem".
Moro fu un acceso difensore del primato della Chiesa, sia dal punto di vista spirituale (come il titolo del clero di redimere il peccato) o temporale (come per il primato della legge canonica sulla legge comune).
Il suo cancellierato (1529-1532) si distinse anche per la sua costante caccia agli eretici e alle loro opere.
Alcuni ritengono un paradosso che un uomo visto oggi come un libertario e un libero pensatore fu al tempo stesso un conservatore nelle questioni di religione.
Il Cardinale Thomas Wolsey, Arcivescovo di York, non riuscì ad ottenere il divorzio e l'annullamento che Enrico aveva cercato e fu costretto a dimettersi nel 1529.
Moro venne nominato cancelliere al suo posto.
Enrico evidentemente non realizzò le resistenze di Moro su quella questione.
Essendo stato ben istruito in diritto canonico, oltre che profondamente religioso, Moro considerava l'annullamento del Sacramento del matrimonio come una questione all'interno della giurisdizione del Papato, e la posizione di Papa Clemente VII era chiaramente contro il divorzio.
La reazione di Enrico fu quella di mettersi a capo della Chiesa d'Inghilterra.
Solo al clero venne richiesto di prestare l'iniziale giuramento di supremazia, dichiarando il sovrano come capo della Chiesa.
Moro, in quanto laico, non sarebbe stato soggetto a questo giuramento, ma si dimise da cancelliere il 16 maggio 1532, piuttosto che servire il nuovo regime.
Moro sfuggi ad un tentativo iniziale di collegarlo ad un episodio di tradimento, ma nel 1534 il Parlamento passò l'"Atto di successione", che includeva un giuramento che riconosceva la legittimità di ogni figlio nato da Enrico ed Anna Bolena, e ripudiava "ogni autorità straniera, principe, o potentato".
Come per il "giuramento di supremazia", questo non venne richiesto a tutti i sudditi, ma solo a coloro che vennero specificamente convocati a prestarlo; in altre parole, coloro che rivestivano un incarico pubblico e coloro i quali erano sospettati di non appoggiare Enrico.
Moro venne chiamato a prestare giuramento nell'aprile del 1535 e, a causa del suo rifiuto, imprigionato nella Torre di Londra, dove continuò a scrivere.
La sua politica fu quella di mantenere il silenzio, che in giurisprudenza si può considerare come un assenso senza spergiurare se stessi.
Quando questa mossa fallì venne processato, condannato, incarcerato e quindi giustiziato a Tower Hill il 6 luglio.
La sua testa venne mostrata sul London Bridge per un mese, quindi recuperata (dietro pagamento di una tangente) da sua figlia, Margaret Roper.
Nell'L'opera più famosa di Moro L’Utopia (Utopia, 1516 circa), si descrive un'immaginaria isola-regno abitata da una società ideale: in questa alcuni studiosi moderni hanno ravvisato un opposto idealizzato dell'Europa contemporanea di Moro, mentre altri vi riscontrano una satira sferzante della stessa.
Una delle caratteristiche delle opere di Moro rimane l'uso esagerato di tropi, sia di una presunta voce autoritaria (come nel "Dialogo del conforto", apparentemente una conversazione tra zio e nipote) che di una altamente stilizzata, che di entrambe. Questo, assieme alla mancanza di una direzione chiara di Moro circa il suo punto di vista - per ragioni che diverranno ovvie - significa che è possibile dibattere praticamente qualsiasi opinione di qualsiasi suo lavoro.
Molto è stato fatto dai Riccardiani sui manoscritti della Storia di Riccardo III di Moro, da cui deriva molta propaganda anti-Riccardo, comprese le opere di Shakespeare.
Il lavoro esiste in diverse versioni, sia in inglese che in latino, tutte incomplete.
Non venne pubblicato quando Moro era in vita, ma fu trovato tra le sue carte dopo l'esecuzione, circa un quarto di secolo dopo che venne scritto.
"Riccardo III" è un opera storica nel senso che tratta di eventi passati di cui Moro non fu testimone.
Resta comunque un "opera di storia Tudor" (nell'accezione classica) intendendo con ciò che include una considerevole quantità di discorsi inventati dall'immaginazione di Moro e passaggi allegorici e di colore.
Ancora una volta, l'opinione di Moro sul testo è sconosciuta, con il risultato che è stata considerata come una fonte storica affidabile da Alison Weir, una parodia da Alison Hanham, e "un esercizio letterario della drammatica rappresentazione della scelleratezza" da Jeremy Potter.
La verità sta senza dubbio da qualche parte nel mezzo.
Gli storici moderni hanno demistificato la pretesa che il lavoro fosse in realtà opera del vescovo John Morton.[Da Wikipedia, l'enciclopedia libera]