cultura barocca

VINI E VITIGNI

Il vino era alla base dell'alimentazione: la salvaguardia contro frodi e sofisticazioni per esempio la troviamo citata nel DIGESTO GIUSTINIANEO nel LIBRO XVIII alla RUBRICA 5 ed ancora più dettagliatamente alla RUBRICA 6.
Tanta cura dipese, oltre che per la valenza gastronomica (e quindi commerciale) riconosciuta al vino durante tutta l'epoca romana, anche per le proprietà toniche e terapeutiche che gli erano storicamente riconosciute (vedi ad esempio: CORN. CELSO, De Arte Medica, III, 18-33).
LUCIO GIUNIO MATURO COLUMELLA, agronomo del I secolo dopo Cristo, di origine spagnola, nel suo fondamentale e ponderoso DE RE RUSTICA, in apertura del III libro scrisse:" da una plantula può svilupparsi un albero come l'olivo, o un cespuglio come la palma campestre, o una cosa intermedia, che non può dirsi nè albero nè arbusto, quale è la vite. Questa specie ha diritto che noi ce ne occupiamo prima di ogni altra non solo per la dolcezza del suo frutto, ma soprattutto per la facilità con cui risponde alle cure dei mortali pressoché in ogni regione e sotto ogni cielo... ".
Egli poi dedicò due interi capitoli del V libro alle VITI ALBERATE: argomento che sviluppò più semplicemente ma sempre con rigore in un'altra opera il DE ARBORIBUS.
Le VITI ALBERATE erano una forma promiscua di tre colture tipica delle Gallie fino a tempi recenti e, nel Ponente ligure, ancora assai diffusa per tutto il XVII secolo: quella dei cereali negli spazi tra i filari, di un foraggio recuperato dalle foglie degli alberi di sostegno, e quella dell'uva.
Questa tecnica, come scritto, sopravvisse a lungo in Liguria e, per esempio, il 3 maggio 1260 redigendo un atto in Dolceacqua il notaio genovese di Amandolesio (doc. 233) indicò, come in altri suoi atti, "terre alberate a viti, fichi ed altri alberi .
Secondo Columella questi "altri alberi" dovrebbero essere l'olmo (l'Atinia era la migliore qualità di Gallia), l'orno, il carpino, il frassino, l'acero opale e il salice.
La stessa falx vinitoria descritta da Columella, a parte la soppressione di una punta terminale o mucro, risulta identica alle roncole per la potatura ancor oggi usate nel Ponente ligure (vedi: M. Gesner, Scriptores rei rusticae, Lipsiae, 1735).
Nonostante gli scritti di Columella, le ipotesi nuove che si vanno affermando tra alcuni storici moderni, anche ma non solo sulla scia del Gesner [piuttosto, in particolare, analizzando compiutamente alcuni RELITTI LINGUISTICI], è tuttavia ancora sostenibile come da tradizione, soprattutto in assenza di fonti e di adeguati riscontri archeologici, che in Liguria occidentale nonostante una limitata produzione locale la maggior quantità di vino da consumo fosse piuttosto oggetto di importazione tramite navi onerarie che operavano continuativamente nel contesto del MERCATO APERTO IMPERIALE: a questo proposito possono costituire una chiave di lettura i REPERTI (SPECIE ANFORE E DOLIA) di navi commerciali romane rinvenute nei fondali della costa ligure (ed una particolare serie di notizie offre lo studio del reperto dell'IMBARCAZIONE ONERARARIA scoperta, con evidenti tracce del suo importante carco, nel mare antistante Diano Marina
Abbastanza protetto dalle autorità imperiali (si ricordi, uno per tutti, il provvedimento preso da Domiziano nel 92 d.C. a favore della produzione vinicola italiana) esso era però, già in quest'epoca, soggetto a sofisticazioni ed adulterazioni contro le quali venivano prese contromisure non sempre efficaci.
La coltura della vite dall'epoca medievale (in effetti esistono segnali ma ancora troppo vaghi per quanto concerne il periodo romano) fu una costante (per quanto l'ambiente potesse venir danneggiato da calamità varie con conseguente carestia) dell' agro della valle che prende nome dal torrente che l'attraversa, il Nervia (e seppur in misura minore di tutto il contado intemelio, compresa la diramazione occidentale e soprattutto quella levantina).
Nei documenti più antichi [ben studiati da Laura Balletto ma sempre suscettibili di qualche utile integrazione critica] riguardanti l'agro nervino e soprattutto la sua piazza più importante, quella di Dolceacqua (XIII-XIV secolo) la viticoltura (praticata sull'esperienza della grangia benedettina secondo la tecnica architettonica popolare dei muri a secco ideale per recuperare spazio coltivo nelle ridotte proprietà dell'economia curtense ligure) risulta menzionata nei documenti notarili in maniera frequente: la si trova citata sia in atti che riguardano privati cittadini sia il potere ecclesiastico che la vera e propria autorità signorile [peraltro proprio i Signori di Dolceacqua, cioè i Doria, realizzando una via alternativa per raggiungere un loro approdo nell'agro di Ospedaletti e non pagare pedaggio alla Comunità di Ventimiglia, al fine di attraversarne l'agro e raggiungere i porti del Nervia o del Roia, ci testimoniano, più o meno direttamente, che nel XIV secolo il loro dominio sfruttava già commercialmente la buona produttività nei settori agricoli dell'olivicoltura e della viticoltura].
Non mancano comunque utili segnalazioni per quanto concerne altre zone a prevalente carattere rurale come alcune vallicelle periferiche (interessante il caso del vino di Latte) o, sempre a titolo esemplificativo, in prossimità del centro medievale la zona del rio Resantello: per non dimenticare, procedendo verso levante, l'importante agro pianeggiante di Nervia, la sua naturale prosecuzione nell'agro di Campus Rubeus, il complesso ed enigmatico sistema geografico dell'Armantica/ Almantiqua, diversi siti agricoli e zone rustiche duecentesche dall'odierna località dei Piani di Vallecrosia all' agro di Soldano od ancora l'importante area geopolitica in cui si sarebbe successivamente evoluta la quattrocentesca villa di Bordighera.
Il vino era commercializzato sulla piazza intemelia ma purtroppo non si recupera dagli atti alcuna notazione (se del tipo bianco, rosso, rosato) : soltanto, qualche volta, viene segnalata la zona agricola di provenienza o di produzione.
Si trattava comunque di buon vino da tavola, esportato "a Savona, Arenzano, Voltri, Genova e Chiavari": dopo esser stato imbarcato su navi di vario tipo [comunque soprattutto bucii e quindi leudi] sia all'approdo del Nervia che al porto canale mercantile del Roia).
La vendemmia era precoce ed i vini nuovi comparivano a fine luglio mentre la massa della vinificazione si teneva già a metà di settembre (non essendo ancora avvenuta l'adeguazione gregoriana del calendario esisteva una sfasatura di dieci giorni fra la stima calendariale e quella astronomica).
Botti di varia dimensione e capacità, spesso di pregiato rovere, conservavano il prodotto: nel XIV sec. la commercializzazione del vino di val Nervia sul mercato locale e regionale giunse a 160.000 litri (appena un secolo prima - di Amandolesio, cart. 56-7, annata 1258/9 - a tal quantità era giunto tutto il territorio intemelio compresa la val Nervia, mentre la cifra, dall'annata seguente - a 20.742 litri -, cominciò progressivamente ad incrementare).
Solo nel '400 il vino avrà la denominazione di vermiglio (vin vermiglio) ma basandosi ancora su tecniche generiche di identificazione, come per esempio nell'agro vallecrosino, legate alla segnalazione del luogo di provenienza dei vitigni e di relativa vinificazione: fu questo il caso del vermiglio della fascia longa.
Dopo la
GRANDE STAGIONE ROMANA
,
caratterizzata da vini entrati nella leggenda e protagonisti indiscussi tanto sulla tavola dei ricchi quanti nella celebrazione letterararia dei poeti, il mondo occidentale conobbe una sostanziale recessione qualitativa, connessa peraltro alla recessione del mercato aperto imperiale, ma anche nell'età intermedia il VINO conservò una posizione di rilievo in ambito gastronomico, primeggiando in Liguria come altrove nei
CONTESTI AGRONOMICI QUANTO CULINARI.
L' importanza del vino nella civiltà medievale e successivamente nell'epoca intermedia non si limitava tuttavia alla pur eminente funzione alimentare ed eventualmente, con tutti i pericoli congeniti, euforizzante: né le valenze religiose e sacramentali del vino nell'eucarestia potevano giustificare il valore assoluto che gli era conferito.
Dal XVI al XVIII secolo celebri TESTI DI MEDICINA sottolineavano l'importanza, non meno che dell'uso di determinate spezie, anche di quello di vari tipi di vino nella preparazione farmaceutica di balsami e bevande terapeutiche variamente utilizzate: assai importante ricorre in merito il cinquecentesco LAVORO DI AMATUS LUSITANUS che analizza (assieme a vari altri prodotti ritenuti GIOVEVOLI MEDICINE) vari aspetti connessi a VITI-VITIGNI - VINO - ACQUA - ACETO - TIPOLOGIE VARIE DI VINI.
Inoltre un'importanza parallela derivava a questo prodotto dei vitigni dal fatto che da esso, come sopra preannunciato, si ricava l'aceto, utile in una molteplicità di impieghi.
Propriamente lo si può estrarre dalla fermentazione, ad opera di microorganismi del gruppo Mycoderma aceti, anche di altri liquidi debolmente alcolici come la "birra", il "sidro", la "soluzione di malto", il "glucosio", le "melasse", lo "sciroppo" ma è fuor di dubbio che in ambiente ligure, e comunque panitaliano, l' aceto di vino abbia avuto un ruolo preminente sia nella produzione che nell'utilizzazione.
Il Battaglia, nel suo monumentale Dizionario sotto la voce "aceto", non a caso cita una sequela impressionante di autori che dal medioevo all'ottocento hanno ribadito le funzioni molteplici dell'aceto, sia per rincuorare gli spiriti vitali indeboliti nei malati, sia per disinfettare gli ambienti, si per la profilassi individuale, sia quale componente essenziale in vari medicamenti della medicina sino al XIX secolo.
Fra tante citazioni, più o meno dotte e più o meno corrette, vale la pena di rammentare a proposito dell'aceto solo quella detta del Crescenzi volgar. (4-46): "L'aceto...ha virtù penetrativa e incisiva per la sua sostanza, e costrettiva per le sue qualitadi".
L'aceto veniva per esempio usato nelle grandi manifestazioni di peste bubbonica: i medici attribuendo a questo liquido una funzione profilattica se ne servivano, inutilmente, durante le visite ai malati inserendolo in una curiosa MASCHERA altresì piena di essenze quali Pepe - Piper nigrum Zafferano - Crocus Sativus/ Zenzero - Zingiber officinalis/ Cardamono - Elettaria cardamomum/ Coriandolo - Coriandrum sativum/ Fieno greco - Trigonella foenum-graecum/ Garofano [Chiodi di garofano]/ Cumino - Cuminum cyminum/ Ginepro - Juniperus communis/ Noce moscata - Myristica fragrans/ Paprika - Paprica - Capsicum annum/ Cannella - (Cinnamomo) .
Nel Dominio di Genova questa convinzione pseudoscientifica era peraltro ancora più radicata che in altre contrade italiane: essa vi era infatti penetrata dalla Francia, attraverso la Provenza, in dipendenza della radicata convinzione popolare transalpina sulla straordinaria efficacia contro le epidemie di peste di un unguento a base di aceto, passato ad una durevole quanto vana celebrità come "Aceto dei sette (o "quattro") ladri".
Nel 1630 Tolosa era tormentata dalla PESTE ma "sette (o "quattro", secondo un'altra versione) ladri" continuavano a saccheggiare le case ed a depredare i cadaveri degli appestati restando immuni.
I delinquenti vennero alla fine arrestati e furono interrogati.
Fatto il processo vennero condannati a morte: ma il giudice conoscendo le loro prodezze e saputo che, prima di avventurarsi tra le case piene di cadaveri, si strofinavano sul corpo un unguento, chiese loro di cosa si trattasse.
Secondo il francese Messegué, illustre erborista moderno (nel volume "Uomini, erbe e salute"), si sarebbe trattato dell'unguento composto da timo, lavanda, rosmarino e salvia macerati in aceto destinati a passare alla "storia" col nome di "ACETO DEI QUATTRO LADRI".
E' impossibile che l'intruglio funzionasse contro la PESTE ma nel '600 ebbe comunque un forte ascendente sul popolo che lo chiamò anche ACETO DEI SETTE LADRI (un'altra variante della formula comportava l'aggiunta di ruta e canfora).
L'"ACETO DEI SETTE (O QUATTRO LADRI)" ottenne comunque una certa rinomanza e fu riutilizzato a Marsiglia quando la città, assieme a tutta la PROVENZA, un secolo dopo fu colpita da altra epidemia: in questo caso l'aceto fu arricchito dall'uso di un'altra pianta ancora, l'AGLIO ( L'ACETO verso il XIX secolo entra nell'uso ufficiale e si vende in farmacia: lo si raccomanda per il ben stare a tutti, anche a preti, suore e medici: l'invito è di berne a digiuno una cucchiata in un bicchiere d'acqua e poi di strofinarsene le tempie sì da andare tranquilli poi a visitare malati e moribondi).
Se queste fantasie erano viste con riluttanza dai medici più seri ciò non toglie che nella loro farmacopea l'aceto abbia rivestito un ruolo basilare.
Proprio a metà XVIII secolo l'aggressione di PARASSITI ai vitigni del moscatello (come delle altre qualità indigene) sarà alla radice di una grave involuzione dell'agricoltura nel Ponente Ligure, soprattutto nella BASSA - MEDIA VALLE ARGENTINA e nelle VALLI DI S. LORENZO la scomparsa del MOSCATELLINO sarà alla radice di una imprevedibile crisi economica che molte famiglie affronteranno con la "tragica arma" dell'emigrazione.
Una SCHEDA CRITICA messaci a disposizione dall'Ist. Intern. di Studi Liguri di Bordighera -redatta grazie agli studi svolti presso il Museo Gallesio-Piume di Genova- permette poi di visualizzare l'evoluzione della viticoltura nel Ponente ligure tra il XVIII secolo e i primi del 1800.
Fu però dal '500 che si replicò, nel superiore benessere, un collegamento spirituale ed esistenziale, anche tramite la cultura del vino di pregio con l'ammirata romanità, un collegamento che riprese la consuetudine di
CLASSIFICARE I VINI TRAMITE DENOMINAZIONI UFFICIALI E COMMERCIALI,
in maniera da averne, sul tronco principale della rilevanza enologica, l'immediata consapevolezza del valore, cosa mai sgradita, anche di quella rinomanza pubblica che coimplicava una contestuale affermazione sociale: sì che come ai tempi di Roma chi offriva del prelibatissimo e costosissimo Falerno contemporaneamente si affermava nella consapevolezza dei convitati quale munifico ospite, come uomo di successo, alla stregua di intenditore e personaggio socialmente sia di gusto che di eminenza tanto economica che comportamentale.
In tutto questo contesto di vini non si può tuttavia dimenticare mai il VINO ECCLESIASTICO cioè finalizzato ai sacri riti: in merito al quale nel tempo vennero sancite le
specifiche norme religiose ma anche le doverose norme di regolamentazione per salvaguardarlo e tutelarne l'uso od abuso
in senso anche spiccatamente profano: non per nulla la stessa Chiesa mirò, per altro verso rispetto alle pubbliche istituzioni, a regolamentare l'attività dei "luoghi" maggiormente deputati alla vendita del vino ad avventori abituali o di passaggio vale a dire le
************LOCANDE E TAVERNE************
sviluppatisi sulla direttrice di una tradizione culturale quasi mai interrotta che risale alla OSPITALITA' A PAGAMENTO DELLA ROMANITA' CLASSICA.


















La preparazione al battesimo, che poi si amministrava durante la grande veglia pasquale, veniva intensificata nell'ultimo periodo.
E' così sorta l'occasione per tutti i fedeli di ricordare e rafforzare quel sacramento che sta a fondamento della vita cristiana perché ci unisce a Cristo e alla Chiesa. Perciò nella quaresima si intensifica l'istruzione religiosa attraverso un più frequente ascolto della Parola di Dio, e si dedica più tempo alla preghiera.
Nei nostri tempi non sono più in uso i quaresimali, ossia le solenni predicazioni di quaranta giorni, che un tempo si facevano in tutte le parrocchie nel periodo della QUARESIMA (ed al riguarda giova rammentare la figura del secentesco erudito ventimigliese Angelico Aprosio che fu predicatore di quaresimali (seguendo la scia di Diego de la Vega e del Panigarola ed anticipando la straordinaria qualità declamatoria di Padre Segneri) e della cui qualità di oratore sacro sono purtroppo andate perse -o comunque risultano introvabili- le un tempo celebri Lezioni Sacre sopra Giona [ forse unica superstite lezione dell'attività pratica nell' oratoria sacra rimangono i misconosciuti Opistographa del manoscritto 40-EX dell'Aprosiana].
La predicazione dei quaresimali era sorta nel XIII secolo, con la fondazione degli ordini mendicanti ( francescani e domenicani in particolare) e verteva prevalentemente sulla passione di Cristo.
Poi il Concilio di Trento dispose che la predicazione del quaresimale servisse di istruzione per i fedeli, ossia fosse l'occasione per una vera e propria catechesi.
Illustri altri predicatori si succedettero, attraverso i secoli, nell'estremo ponente ligure: tra i nomi più celebri -e con ragioni storiche- si rammentano S. Bernardo di Chiaravalle e S. Bernardino da Siena anche se proprio la penna salace di Angelico Aprosio delineò in una sua opera i connotati della graduale crisi della PREDICATORIA SACRA E DEI QUARESIMALI peraltro dovuta al fatto che questi erano mantenuti in essere in virtù (onde alloggiare e retribuire i migliori predicatori) di LEGATI E LASCITI TESTAMENTARI [come si legge in quest' OPERA DI L. FERRARIS] che, con lo scorrere del tempo, gli eredi di chi aveva fatto il legato o lascito, non intendevano più onorare come nel caso di questo EMBLEMATICO ESEMPIO
In effetti però gli
*******INTERVENTI APROSIANI, CRITICO LETTERARI, SU UNA PREDICAZIONE RELIGIOSA LODEVOLE E GIOVEVOLE*******
sono stati molteplici e certamente anche se molto si è perso, specie a riguardo di interventi accademici o curialistici dispersi inevitabilmente nella fugacità della tradizione verbale e non scrittografica, parecchio si può ancora analizzare attraverso una lettura attenta delle postulazioni suggerite dalla tarda Grillaia .
E verisimilmente le scelte predicatorie aprosiane influenzarono il discepolo primario dell'agostiniano intemelio, quel Domenico Antonio Gandolfo (che coseguì fama sì grande da essere poi appellato Concionator) che si ispirò nelle sue prediche ad una linea mediata, garbata ed eplicativa oltre che formativa quasi seguendo, oltre che le postulazioni aprosiane, gli insegnamenti parimenti impartiti da Felice Potestà nella sezione specificatamente dedicata ai predicatori religiosi entro la terza parte di un suo celebre libro.























Gazofilàcio (ma anche gazzofilàccio, gazzofilàzio, gazafilario) era una cassa, formata da un tronco vuoto, in cui erano depositate le offerte dei fedeli del Tempio di Gerusalemme: il termine comunque era altresì usato per indicare un locale, edificato nell'atrio dempre del Tempio, in cui si custodivano i tesori dello stesso e gli oggetti sacri.
Il termine ha poi assunto significati per estensione; come quello di cassetta per raccogliere offerte a fini di culto o di beneficenza o come quelli di Tesoro pubblico, erario, tesoro privato, patrimonio, ricchezza = ha origine dalla voce dotta tardo latina gazophilacium derivata dal grecismo gazophulàkion originatasi dal termine gazophulàx - akos a sua volta originatosi dalla fusione del termine greco proveniente da voce persiana gàza con la parola greca phùlax -akos = guardia custode = il termine fu poi esteso per indicare alcuni libri nel senso equivalente al latino di Thesaurus o raccolta di opere soprattutto lessicografiche o di carattere "enciclopedico" come nel caso di
questo esemplare (vedi sotto voce BATTAGLIA, VI).





























NICOLO' MANERBI [1422-1481] (volgarmente detto Manerbio) fu autore di una celebre "volgarizzazione" a stampa ovvero il qui INTEGRALMENTE DIGITALIZZATO Leggendario delle vite de' santi. Composto dal R.P.F. Giacobo di Voragine, ... tradotto già per il R.D. Nicolo Manerbio. Nuouamente ridotto a miglior lingua, riformato, purgato da molte cose souerchie, arricchito de' sommarij, di vaghe figure ornato, e ristampato. Con l'aggiunta di calendario, lunario, & feste mobili ..., In Venetia : appresso Alessandro Griffio, 1584 - [16] , 726, [2] p. : ill. ; 4°. - Impronta: e.o- e.e. o.te stpe (3) 1584 (R) - Lingua: Italiano - Paese: Italia - Marca: Fama (donna alata con un piede sul globo e due trombe, una in bocca e una nella mano sinistra) con Motto: Famam extendere factis est virtutis opus).
JACOPO DA VARAZZE (Varazze 1228 - 1298 ) chiamato anche Jacopo o Giacomo da Varagine fu un frate domenicano scrittore in latino di leggende e cronache . Entrò nell'ordine nel 1244 e nel 1265 diventò priore del proprio convento: due anni dopo fu nominatore provinciale per la Lombardia. Dal 1292 fu vescovo di Genova fino al 1298 anno della sua morte . La sua fama si deve ad una raccolta di vite di santi , scritta tra il 1255 e il 1266 dal titolo LEGENDA AUREA (Legenda sanctorum). L'opera, che fu scritta in latino ma in seguito diffusa in versione volgarizzata
esercitò grande influenza sulla successiva letteratura religiosa e svolse il ruolo di basilare fonte iconografica per numerosi artisti.
Sempre in latino compilò una Cronaca genovese (Chronicon lanuense) che tratta della storia di Genova dalle origini al 1297 e in volgare scrisse Sermoni moraleggianti.
Aprosio ne ebbe una conoscenza approfondita attesa la presenza, tuttora, tra gli incunaboli della biblioteca ventimigliese di quattro opere di J. da Varagine fra cui appunto la "LEGENDA AUREA".
























































Il secondo aspetto della quaresima è quello penitenziale, che già viene espresso pubblicamente fin dal primo giorno, ricevendo sul capo la cenere, il Mercoledì delle Ceneri.
La quaresima è sempre stata caratterizzata dalla pratica del digiuno e di opere di penitenza, quali il pentimento e la riparazione dei peccati, attraverso le opere di carità: peraltro La durata di quaranta giorni è ispirata al simbolismo biblico, che dà a questo tempo un particolare valore salvifico-redentivo; più volte ne troviamo esempi nell'Antico Testamento e dal Vangelo stesso ne abbiamo il suggerimento, dai quaranta giorni passati da Gesù nel deserto, quasi in preparazione alla sua vita pubblica. Ora il digiuno obbligatorio, come minima espressione di questo aspetto penitenziale, si limita all'astinenza dalle carni tutti i venerdì, a cui si aggiunge anche il digiuno vero e proprio il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo.