ISOLE FLUVIALI
(LE "OASI")

Le Insulae ("isole") di materiale alluvionale costituivano ripari per imbarcazioni e attracchi per la commercializzazione dei prodotti vallivi (per tal ragione esse furono spesso al centro di atti notarili: avevano rilievo per le colture che vi si praticavano e pei mulini che vi eran stati costruiti): tra quelle rilevanti e stabili si possono ricordare Isolabona nel Nervia, l'Isola dei Gorreti nel Roia.
Le ISOLE DELLE FOCI, per quanto più esposte a cambiamenti geomorfologici, erano comunque di volta in volta punti di riferimento viario o strategico: il ponte rinascimentale del Roia costituiva un' integrazione fra strutture murarie e lignee perchè, dovendo superare un fiume egualmente caratterizzato di scivolamenti dell' alveo, era stato costrutto in modo da poggiar le basi murarie nelle acque profonde del corso antico e di valicare invece le paludi dei bracci minori, i Paschei per es. nell'area dell' attuale Casa comunale e dei giardini pubblici, in virtù di sospensioni lignee da spostare facilmente onde seguire le alterazioni geomorfologiche.
Questo fenomeno idrogeologico di trasporto di materiale alluvionale con la formazione di siffatte isole (ed il conseguente alterarsi della "geografia" degli alvei) si riscontra per tutti i corsi del Ponente ligure, ad eccezione del Roia (unico e vero fiumi) da piccoli e medi a grandi corsi torrentizi con la conseguenza di rilevanti alterazioni della portata d'acqua.
A questa peculiarità non è sfuggito nemmeno il FLUMEN UNELIAE come si "legge" immediatamente nella seicentesca carta, Ms.575, conservata presso l'"Archivio di Stato di Genova".
Il fenomeno però ha sempre avuto maggiori dimensioni nei due grandi corsi d'acqua che in qualche modo "avvolgono" il territorio di Ventimiglia: cioè il Roia ed il Narvia.
In tutte le isole si ebbero diversi tipi di insediamenti agricoli suggeriti dalla necessità di ricavare terra coltivabile; allorchè per ragioni diverse furono abbandonate dall'uomo esse divennero gradualmente sedi di vegetazione spontanea e di qualche endemismo: nell' habitat umido delle isole di foce si crearono col tempo rifugi naturali spontanei ove si ricostruirono talora le variegate fauna e flora dell'epoca preromana.
Nelle OASI NATURALI, protette al terminale del Roia e del Nervia, fra tante specie animali, è ricomparso il CIGNO (OLOR, OLORIS contrapposto all'ANSER, ANSERIS = "OCA", l'animale al confronto sgraziato) che G.B.Conrieri, durante il convegno savonese del 1981 tenuto "per un simbolo della regione Liguria", fra Amministrazione Regionale, Consulta Ligure, Associazioni Culturali, scorrendo la mitologia erudita dalle Dicerie Sacre di G.B.Marino sin alle Trasformazioni (12) di Antonio Liberale, non senza motivi cercò di erigere ad emblema regionale, sulla base di una variante mitica, per cui Cycnus-Cigno re di Liguria mentre piangeva la morte di Fetonte avrebbe ricevuto, da Apollo compassionevole, il dono del canto.
Ipotesi culturalmente accettabile, seppur erudita, atteso che Cycnus è connesso alla religione apollinea e che il dio celto-ligure Belen fu un'accezione mediterranea del nume greco.
Del resto i cigni come indica il nome Cicno, nella mitologia classico-apollinea e nei suoi derivati mediterranei, come quella di Belen, erano preposti a trasportare le anime dei re nel Paradiso Settentrionale. Quando Apollo per esempio appare, nelle opere d'arte, a cavallo di un cigno o su un cocchio trainato da cigni per visitare la terra settentrionale degli "Iperborei", l'immagine rappresenta in modo figurato la sua morte a mezza estate.
I cigni dunque cantano dirigendosi verso il circolo polare artico, loro terra natale, ed emettono due note a mo' di tromba. Per questo Pausania (I 30 3) afferma che i cigni sono versati nell'arte delle Muse: "Il cigno canta prima di morire, cioè l'anima del re sacro si allontana dal mondo accompagnato dal suono della musica.
Si resta naturalmente nel campo delle ipotesi, specie quando si tratta di argomenti di arcaica spiritualità, ma non è da escludere che questa interpretazione sulla funzione sacrale del cigno, nei riti funerari sia più collegata di quanto si creda alla tipologia delle sepolture principesche dei Liguri preromani, le più significative delle quali son state trovate in posizioni particolari e dominanti, in siti tali da raccogliere i raggi del sole "sorgente e morente", quasi a prova di una voluta sensibilità dei "pastori-guerrieri" del bronzo finale e della prima età del ferro verso i loro capi più prestigiosi.
L'osservazione, dalla linea di tali sepolcri a tumulo, è stupefacente: verso sud la linea dell'orizzonte e del mare splendente, simbolo dei destini marittimi di questa terra ligure ma anche segno spirituale della vita che sorge, ed alle spalle l'aspra linea montana, che quasi taglia il cielo, quasi immagine del SACRO CANCELLO, per il volo dei cigni e delle anime dei re, verso i "Paradisi settentrionali".
Così in linea verso BAIARDO, per un arcaico percorso, si raggiunge la località di PIAN DEL RE dove si rinvenne una necropoli, a tumuli, di incerta datazione.
Il Tumulo più grande è costituito dall'accumulo, secondo una pianta circolare, di oltre 10.000 pietre, sin a formare un recinto di pianta ellittica (14 m. di diam. - 50 di circonferenza) fatto di 60 lastroni in cui si trovava un sepolcro centrale (un recinto di forma ovale di m. 4 X 2) con le ceneri del defunto. La cremazione avvenne sull'area del recinto più grande dove si sono individuati frammenti di rozza ceramica, una selce, manici di casetti: a parere del Bernardini il monumento funebre è da assimilare a quelli, in Provenza, di GRASSE (età media e recente del bronzo)> lo studioso per il tumulo di PIAN DEL RE preferisce invece attenersi ad una datazione più prudente, dell'ultima età del bronzo o della prima del ferro (E. BERNARDINI, La Provincia di Imperia, Novara, 1985, p.53).




Questa convergenza tra sepolture liguri e provenzali, su cui molto si può ancora scoprire, sembra rimandare a quella identità culturale che legava i Liguri storici: e non a caso convengono per questo ragionamento le scoperte e le brillanti osservazioni di A. EREMITA (autore delle immagini qui riprodotte, peraltro già editate nel volume Albintimilium... [Gribaudo, Cavallermaggiore, 1988] di B.Durante-M.De Apollonia) relativamente a due presumibili tombe tumuliformi, di tipologia simile a quella di PIAN DEL RE, da lui scoperte in LOCALITA' MORGI DI DOLCEACQUA (dopo un incendio che eliminò provvisoriamente l'abbondante vegetazione che le ricopriva).
Entrambe le tombe tumuliformi sono, e non può essere casuale, in linea col complesso di PIAN DEL RE (sfruttandone quindi identica positura ed avvantaggiandosi quindi di una mirabile visione a guardia dell'intera val Nervia): la tomba maggiore, del diametro di 22 m., dista circa 200 m. dalla minore del diametro di 9 m.: quasi che tutte e due, come quella di PIAN DEL RE, siano lì a perenne memoria dell'antica civiltà che le creò, a custodia delle ceneri di ignoti "principi liguri", i cui spiriti ormai da millenni furon portati nei cieli del Nord dai Cigni: tombe come silenziosi monumenti di una civiltà in gran parte ancora misteriosa, tombe, in qualche modo enigmatiche ma comunque significative, formidabile espressione di un congiungimento panteistico dell'uomo con la natura, di una natura senza frontiere su cui le genti liguri preromane lasciarono le tracce della loro civiltà e della lro spiritualità, in parte volta verso i destini dell'occidente in parte influenzata dallo spirito greco ed apollineo che qui si mascherò, in tempi remoti, sotto le vesti del dio BELENO [immagini da Guida di Dolceacqua e della Val Nervia di B.Durante-A.Eremita, Cavallermaggiore, Gribaudo editore, 1991].






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