informatizzazione a cura di Bartolomeo Ezio Durante

Nato intorno al 384 a.C. ad Atene, nel demo di Peania, DEMOSTENE era figlio di un agiato armaiolo, che però morì nel 377, lasciandolo in balìa dei disonesti tutori Afobo ed Onetore, che gli sottrassero il patrimonio. Contro di loro, nel 364|360, Demostene intentò per la prima volta una causa per il recupero dell'eredità: pur avendo vinto, non riuscì a riappropriarsi dell'intera somma e dovette utilizzare la pratica acquisita in questa circostanza per sopravvivere come logografo. Ben presto, però, entrò completamente in politica, esordendo come amministratore navale (trierarco) già nel 360, sostenendo l'onerosa liturgia della trierarchia. Demostene, trovatosi in politica nel difficile momento della "guerra sociale" del 357-355, in cui gli alleati si ribellarono ad Atene, comprese subito la pericolosità, in mezzo a queste discordie, dell'azione di Filippo II di Macedonia, contro il quale incitò Atene ad intervenire prima a favore dei rodii cacciati dalla loro isola (352), poi, subito dopo, pronunciando la I Filippica contro il sovrano macedone, visto come il principale nemico della libertà greca. Nel 349, con l'assedio di Olinto, Filippo sembrò confermare la malevolenza di Demostene, che pronunciò le Olintiache appunto per convincere gli ateniesi a salvare la città loro alleata. Nonostante tutto, Olinto cadde nel 348 e gli ateniesi dovettero accettare le condizioni della pace cosiddetta "di Filocrate", (346) alla cui stipula fu presente Demostene e il suo avversario Eschine, da lui attaccato per cattiva condotta che aveva portato ad una pace svantaggiosa. L'apparente rinuncia alla lotta dell'oratore coincise, però, con un politica sotterranea di resistenza antimacedone, concretizzatasi, tra il 344 ed i 342, in numerose ambascerie con cui convinse le città del Peloponneso a non accettare i trattati di pace che Filippo affermava di voler stipulare (II e III Filippica). Nel 340, in seguito all'attacco macedone a Perinto e Bisanzio, nella penisola Calcidica alleata di Atene, quest'ultima si sentì svincolata dalla pace di Filocrate ed il partito di Demostene riprese vigore, tanto che giunse a promulgare una legge di riarmo navale (339) e ad annettere nella coalizione antimacedone anche Tebe, caposaldo strategico contro Filippo, che di fatto aveva Delfi sotto controllo. La guerra giunse ad una tragica conclusione nel 338, con la battaglia di Cheronea, a cui Demostene partecipò come semplice oplita, assistendo alla vittoria di Filippo. Tra il 338 ed il 336, mentre a Corinto Filippo veniva riconosciuto a capo di una lega panellenica contro i Persiani, Demostene, nominato, nonostante la sconfitta, ispettore agli approvvigionamenti ed alle fortificazioni, dovette difendersi contro le accuse di Eschine nel processo sulla corona, poi effettivamente pronunciato solo 6 anni dopo l'accusa (vd. sotto). Morto Filippo, il partito antimacedone - che secondo le voci non era estraneo al delitto - riprese lena, ma nel 335, con la distruzione di Tebe, Alessandro Magno mostrò una linea più dura di quella paterna e richiese, tra l'altro, otto uomini politici ateniesi traditori, tra cui Demostene ed Iperide, richiesta poi non eseguita a causa dell'inizio della spedizione antipersiana nel 334. Atene, sostanzialmente indifferente all'impresa, venne però coinvolta nel 324, quando si scoprì che mancava una grossa parte della somma che Arpalo, tesoriere di Alessandro Magno, aveva portato con sé fuggendo dall'Asia e che era stata appositamente custodita da una commissione speciale di cui faceva parte anche Demostene, che fu accusato anche dai suoi stessi compagni di partito, con Iperide in testa. Non potendo pagare l'ingente multa cui era stato condannato, Demostene fuggì a Trezene, nella primavera del 323. Alla morte di Alessandro, il 13 giugno di quello stesso anno, l'oratore fu richiamato in patria a capeggiare, con Iperide, la resistenza antimacedone ad Antipatro, che sfociò nella cosiddetta "guerra lamiaca". La rapida e catastrofica conclusione del conflitto a Crannone ed Amorgo, nell'agosto del 322, portò al rovesciamento del governo: i filomacedoni, con a capo Demade, condannarono Demostene a morte e l'oratore ed i suoi dovettero fuggire. Demostene, raggiunto dalla polizia del macedone Archia a Calauria, nel tempio di Poseidone, dovette avvelenarsi per non cadere vivo nelle mani del nemico, nell'ottobre del 322.
Orazioni
Le 61 orazioni pervenuteci di Demostene si possono dividere in gruppi tematici:
Discorsi assembleari (or. I-XVII): detti anche, con termine greco, demegorie, coprono un arco di tempo che va dall'esordio di Demostene nel 354 a.C., con l'orazione Sulle simmorie, su un progetto di riforma della flotta, al 336 a.C., quando l'oratore si scagliò contro una presunta violazione macedone dei patti stipulati da Alessandro con Atene. In numero di 17, tra le demegorie spiccano le 3 Olintiache e le 4 celebri Filippiche.
Discorsi giudiziari (XVIII-XXVI): tra questi 8 discorsi, va ricordato quello celeberrimo Sulla corona. Nel 336 a.C. il politico Ctesifonte aveva proposto l'assegnazione della corona civica a Demostene per le sue benemerenze: tale proposta fu attaccata da Eschine come anticostituzionale, in quanto onorava un magistrato ancora in carica e, soprattutto, perché la politica di Demostene era stata tutt'altro che buona per la città. In quest'orazione, che è il suo capolavoro, Demostene ribatte alle accuse con una sorta di autobiografia politica che è al tempo stesso un appassionato atto di fede verso la patria.
Discorsi privati (XXVII-LIX): costituiscono il gruppo più nutrito del corpus demostenico (32 orazioni) e ci mostrano l'oratore calato nei conflitti interni dell'epoca più tormentata per Atene. Tra l'altro, le orazioni più antiche sono quelle Contro Afobo e Contro Onetore (XXVII-XXXI), suoi tutori, condotte nel processo del 364 a.C. per recuperare il proprio patrimonio.
Tra l'altro, alcune orazioni spurie ci illuminano su un oratore minore del partito demostenico, Apollodoro, figlio di Pasione, di cui le orazioni (XLV-XLVI, XLIX-L, LII-LIII e forse la LIX) sono giunte in questo corpus perché gli antichi le ritenevano scritte da Demostene.
Orazioni epidittiche (LX-LXI): su questo piccolo gruppo pesano forti sospetti di inautenticità, probabilmente nutriti anche dagli editori antichi, che posero i due discorsi al termine della raccolta. L'Epitaffio per i caduti della battaglia di Cheronea (338 a.C.) sarebbe spurio, così come concordemente non demostenico è l'Erotico, che riprende la consueta tematica sull'amore e sarebbe stato composto in età successiva su imitazione di quello pseudo-lisiano contenuto nel Fedro platonico.
Opere minori e perdute
Nel corpus, inoltre, sono pervenute anche opere non pienamente raggruppabili sotto l'etichetta di orazioni:
Proemi assembleari: Sono esordi di orazioni, in numero di 56, pervenute come esempi di introduzione ad una demegoria, su esempio di quelli lisiani. La stessa IV Filippica è composta unendo questi esordi (Canfora), veri e propri svolgimenti adatti a qualsiasi argomento che, come nota Canfora, questi "pezzi sparsi" documentano l'attività politica di Demostene, integrando le orazioni intere del gruppo assembleare.
Lettere: questa raccolta di 6 lettere è di dubbia autenticità, come del resto molti epistolari antichi. Sembra che siano autentiche solo le lettere I-IV, che concernono questioni legate al periodo dell'esilio di Demostene e sembrano proseguire l'apologetica che l'autore aveva espresso nella Corona: notevole, per ricostruire la politica demostenica posteriore a Cheronea - di cui non abbiamo testimonianza oratoria - la breve lettera VI, un biglietto che informa gli ateniesi dei progressi compiuti nel reclutamento di alleati durante la guerra lamiaca.
Opere perdute. tra le orazioni perdute abbiamo i titoli di un'orazione Sui retori, di argomento epidittico, un discorso Contro Demade, contro il politico filomacedone e noto improvvisatore, un'orazione pronunciata Sul sacco di Tebe, dopo la conquista e la distruzione di Tebe da parte di Alessandro Magno nel 335 a.C., che aveva notevolmente impressionato ed infiacchito la resistenza alla Macedonia.
Ci sono giunti anche 70 Apoftegmi, detti celebri pervenuti in varie raccolte.
Demostene è il più grande tra gli oratori greci ed uno dei massimi di ogni tempo. Escludiamo una valutazione a posteriori del suo operato politico, che certo non fu né lungimirante, né irreprensibile, come già sapevano gli antichi; secondo le epoche, poi, venne considerato o un eroe della libertà, come lo interpretarono, sulla scia di Plutarco, Schaefer e Treves, o, al contrario, un miope ed ambizioso retore confinato nelle angustie locali, che non guardò al futuro: tale interpretazione inizia con la storiografia filomacedone, per noi rappresentata soprattutto da Teopompo, che infatti, inaugura un filone di demolizione ed incomprensione del politico per concentrarsi soprattutto sui difetti dell'uomo [A]. In epoca moderna, questo filone appartiene specialmente alla scuola romantica tedesca (Drerup, Droysen), condizionata dall'ideologia della nazione. La valutazione che si può dare con obiettività maggiore, quindi, è quella sul suo stile e sul suo significato letterario. Sua grande dote è la passione, che sostiene tutte le orazioni dando un'idea di spontaneità, pur se ogni discorso è costruito con tutti gli artifici retorici: di questo fanno fede proprio i proemi, che dimostrano la consumata abilità e la grande preparazione che stanno dietro all'apparente irruenza "a braccio" di Demostene. Considerato, fin dall'antichità, maestro nell'oratoria politica, Demostene non presenta uno schema compositivo fisso, preferendo adattare l'espressione alla causa ed adottando uno stile basato sull'accumulo e sul pathos sublime che, certamente più libero del sorvegliato stile isocrateo, riflette le tensioni assembleari e lo fa apprezzare anche dai più rigidi atticisti (Longino, Dionigi, Cecilio di Calatte). A questa passione fa da sostegno, oltre che la già ricordata abilità nella composizione strutturale, un lavoro implacabile di demolizione dell'avversario ed una progressiva ed intelligente captatio benevolentiae con cui Demostene sa rigorosamente e, dove serve, con passione, portare chi ascolta dalla sua parte. Concludendo, un giudizio d'insieme sull'oratoria demostenica può essere quello riportato da Plutarco (Comp. Demosth.-Cic. I 2, 4; II 2): Demostene riversava nella retorica quanto di razionale aveva per natura o per preparazione, superando per chiarezza e potenza i rivali nell'oratoria assembleare e giudiziaria, mentre per peso e solennità quella epidittica e per sottigliezza e tecnica l'oratoria sofistica. Demostene, infatti, lontano da ogni abbellimento e gioco, volto alla potenza ed alla sostanza, non odora di chiuso, …, ma di bere acqua e di pensieri e della cosiddetta asprezza e quasi odiosità di carattere. Perciò, Demostene è più serio e più dignitoso, riconoscendo che la sua forza è l'esperienza e che ha bisogno in gran parte dalla benevolenza degli ascoltatori, mentre ritiene meschini e banali, come poi lo sono, quelli che di questo si vantano.
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