cultura barocca
Inf. di Bartolomeo Ezio Durante

Da un Erbario di cui sopra si propone la stampa che interessa ecco un esemplare dell' albero che produce i Pomi di Sodoma (che qui si possono vedere da un'immagine dal vivo) = in botanica, pomo di Sodoma è il nome volgare italiano del Solanum sodomaeum L. (detto anche morella di Sodoma o pomodoro selvaggio) in base a una leggenda spesso ripetuta dalle fonti antichtee: per ricordare in perpetuo l'incendio di Sodoma in definitiva la capitale della Pentapoli della perdizione che accolse nell'intento di corromperlo il biblico Lot onde punirne gli abitanti rei di vita lussuriosa e estremamente lasciva, marchiata in particolare dal
"peccato di sodomia" contro cui -nonostante la feroce persecuzione medievale- sostenuta da postulazioni esegetiche che parevano inoppugnabili
ma contro cui in tempi recenti son state avanzate
proposte alternative di lettura -tra cui l'ingiustizia sociale e soprattutto l'inospitalità poste anche alla radice delle consequenziali forme di libidine, stupro e omosessualità- in merito alla distruzione voluta da Dio
su cui si citano qui gli autori di maggior prestigio come il
teologo anglicano Derrick Bailey poi seguito dallo storico cattolico John Boswell.
Prescindendo dalla pena di cui si legge qui altrove l'effetto della punizione divina fu devastante e la regione fu resa totalmente sterile; l'unica pianta a cui fu permesso di crescere dalla volontà divina fu appunto l'albero del "pomo di Sodoma" (o "mela di Sodoma") che produceva frutti all'apparenza belli ed invitanti, ma che una volta aperti contenevano solo fuoco e fumo quasi a testimoniare il male che può celarsi dietro uno splendido aspetto. Le bacche del Solanum sodomaeum hanno una polpa che dopo la maturazione si riduce in fine polvere nera, il che ha portato a identificarle, appunto, con le mitiche "mele di Sodoma" colme di cenere. Molti dei pellegrini medievali che hanno lasciato un resoconto del loro viaggio in Palestina ed hanno testimoniato sull'esistenza di tale pianta: qual simbolo della bellezza che sfiorisce appena toccata e induce alla perdizione [nel contesto dell'antica Cosmogonia (vedi indici) ed all'interno dell'imperante Creazionismo (vedi indici) -comunque strutturata sulle basi di un sostanziale antifemmminismo e comunque sulla sancita subordinazione della donna all'uomo- fra varie ipotesi non mancò nemmeno quella poi confutata ma pure già accreditata da non pochi, che l'Albero del Bene e del Male sia "allegoria" di una donna lasciva e la mela del peccato della seduzione dei seni femminili spesso equiparati a "poma capaci di sconvolgere ma anche di perdersi" = del resto una potente letteratura si era avoluta sino al XVII secolo sul teorema della lascivia di ascendenza pagana potenzialmente insita nelle mammelle femminili aldilà del loro unico "lecito" ruolo cioè "l'allattamento della prole" un assunto che, oggetto di testi e discussioni, fu anche affrontato da Angelico Aprosio nel Capitolo XIX qui digitalizzato dal titolo "Quanto disdica alle Donne il portare le Poppe Scoperte" facente parte dell'opera moralistica e indubbiamente misogina Lo Scudo di Rinaldo (Parte I: qui intieramente digitalizzata) = per la precisione destreggiandosi tra i XII interrogativi basilari della sua esistenza Aprosio affronta il tema dell' Erotismo nello Scudo di Rinaldo
e nel Capitolo XXIX ed all'amico e corrispondente Francesco Maria Gigante "che con una lunga lirica gli espone le sue pene d'amore e gli chiede un aiuto simile a quello da lui già prestato a Pietro Michiel onde evitar che continuino ad esser
come son due tenere poma il mio veleno"
in effetti confida di "non esser mai stato innamorato e quindi inesperto del tema" consigliando al Gigante per le sue angustie di rivolgersi a religioso ben più esperto di casi di coscienza quale è Padre Antonino Diana "meglio capace di destreggiarsi tra zolfo e santità sul terreno improbo di Messaline, Concubine, Etere e Lupe (che vanno con le poppe scoperte) [per approfondire si leggano le sarcine aprosiane di autori occupatisi del tema quali Jusepe Antonio De Salas - Giano Aniso - Foppius Scheltonus ab Aezema - Gilbert Ducher]

Ma quello che per secoli, ed ancora oltre i tempi di Aprosio, molti (medici, alchimisti, scienziati) attirò in merito ai presunti poteri terapeutici della Mummia e che sostanzialmente può anche ritenersi aspetto d' un reperto anche dell'Egitto dei Faraoni ebbe la sua
sublimazione narrativa in quanto scrisse e qui si propone digitalizzato in un suo ottocentesco volume l'esploratore francese Visconte di Marcellus
che (seguendo le piste percorse dagli antichi Egizi per giungere in siffatta zona a raccogliere i preziosi sali e componenti) giunse in un'area pervasa da malsane esalazioni di cui lasciò la solita puntuale descrizione e donde sarebbe pervenuto sulle rive del Mar Morto in prossimità ove -in una totale desolazione- l'esploratore potè assistere trascinati dalle acque i bellissimi
POMI DI SODOMA
(cioè della città di Sodoma distrutta per volontà divina per l'empietà dei suoi abitanti)

Questi frutti -ancora una volta quasi a dimostrare allegoricamente che il bello nasconde spesso il male-
toccati si frantumarono, tra le mani del'esploratore francese del XIX secolo, il Visconte di Marcellus, in cenere maleodorante e perniciosa
e il ricercatore consapevole delle relazioni dei pellegrini medievali contestualemente si rifornì di parte di questo materiale ma soprattutto di quelle sostanze che ivi si trovavano in abbondanza e che gli Egizi -ritenendole essenziali alla realizzazione delle migliori
Mummie
- tanto cercavano come essenziali ai fini dell'imbalsamazione espressione forse suprema della conservazione dei corpi entro l'impressionante e millenario meccanismo del segni della morte in cui addirittura -molto tepo dopo e specie in ambito cristiano- si giunse alla conclusione che entro il bello custodito oltre il suo giusto tempo quale per esempio un corpo palpitante di fanciulla morta da millenni (come qui si vede) potesse celarsi l'inganno appunto, come quello allegoricamente rappresentato dai
Pomi di Sodoma: cioè del male che si nasconde sotto l'effimera vesta della tentazione sessuale.
Sulla maleodorante riva dove il Visconte di Marcellus aveva forse sperato di trovare altri tesori archeologici vi erano comunque in abbondanza infatti ceneri, pissasfalto, bitume e tutte quelle sostanze che da tempi immemori gli Egizi serventi della "Casa dei Morti" accedevano a raccogliere ai fini della pratica dell'imbalsazione che
come qui si vede hanno in definitiva trasmesso al Mondo e vi provenivano da ogni parte del loro Impero sia dal Medio - Alto Egitto che dal Basso Egitto affrontando mille difficoltà pur di raggiungere la grande depressione salata alimentata dal fiume Giordano nota sotto l'idronimo di "Morto o Mar Salato"
e l'esploratore archeologo anche se nulla trovò di Sodoma e della Pentapoli ancora una volta potè comunque gioire nonostante l'inferno ambientale che lo circondava per aver affondato una volta di più le sue mani in un passato così antico in cui tutto si fondeva: storia, mito e magia, religione, forse persino il segno della volontà di Dio!
Un'altra gloria comunque da aggiungere al suo prestigioso curriculum.



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