Inf. a cura di Bartolomeo Durante

Dagli inizi del XIII secolo, la concorrenza tra Siena e Firenze per la conquista dei mercati finanziari inglesi e francesi, questioni territoriali e di egemonia (il confine meridionale fiorentino arrivava quasi alle porte di Siena) facevano sì che le tensioni tra le due citta’ rimanessero acute.
Qualunque fossero le ragioni di attrito fra Siena e Firenze, la causa che scateno’ l’accendersi della guerra, che il 4 settembre 1260 portò allo scontro di Montaperti, fu il mancato rispetto da parte senese degli accordi stipulati fra i due comuni nel 1255 alla fine di una guerra che si era conclusa in maniera sfavorevole per Siena e nei quali, si sanciva l’alleanza con i fiorentini e l’impegno a non accogliere alcuno che fosse stato bandito da Firenze, Montepulciano e Montalcino.
I senesi al contempo erano legati dal 1251 ad un patto di mutua assistenza con i ghibellini fiorentini, così quando nel 1258 questi furono cacciati da Firenze, Siena li accolse venendo meno al trattato siglato tre anni prima.
L’immediata conseguenza fu la ripresa della guerra che inizialmente si svolse tra alterne vicende nella maremma coinvolgendo i comuni di Grosseto, Montemassi e Monteano di cui i guelfi erano riusciti a fomentarne la rivolta contro Siena.
Siena, che con il trattato di alleanza con Re Manfredi del 1259, aveva ricevuto in rinforzo alcune compagnie di cavalieri tedeschi al seguito del cugino del Re di Napoli, Conte Giordano d’Anglano, nel febbraio 1260 aveva riottenuto la fedelta’ di Grosseto e nel successivo mese di marzo inizio’ le operazioni atte alla riconquista di Montemassi e Monteano.
Nell’aprile 1260 a lega si mosse in soccorso dei guelfi di maremma movendo un esercito di circa 30.000 uomini che il 18 maggio pose campo nelle vicinanze del monastero di Santa Petronilla, a poca distanza dalla porta settentrionale di Siena, porta Camollia.
I Cavalieri tedesco-senesi attaccarono il giorno stesso il campo nemico.
A seconda dello “schieramento” del cronista che descrisse l’evento, lo scontro ebbe esito favorevole a una parte piuttosto che all’altra.
Il 20 maggio il l’esercito guelfo tolse l’assedio a Siena, una parte continuo’ il suo iter, mentre il grosso rientro’ in Firenze.
L’attivita’ senese riprese intensita’ verso le sue due principali minaccie; Montepulciano che si arrese in luglio e Montalcino che con la sua posizione strategica sulla via francigena, rappresentava una vera e propria spina nel fianco al sistema di commercio e militare della repubblica.
I guelfo-fiorentini, allestirono nuovamente, sul finire di agosto, un grande esercito di 30.000 fanti e 3 mila cavalieri per portare aiuto e rifornimento a Montalcino e sicuri della loro forza, i comandanti fiorentini scelsero l’ itinerario di marcia che piu’ si accostasse a Siena.
Il 2 settembre dal campo posto a Pieve d’ Asciata, due ambasciatori furono inviati a consegnare un ultimatum al consiglio dei ventiquattro, governo della citta’di Siena, riunito nella chiesa di San Cristoforo.
“Era intenzione loro di volere Siena, e non volevano entrare per alcuna porta; e anco volevano che tute le mura fusino gitate per terra a cio’ che l’entrare e il venire fusse per tuto intorno a Siena; e ogni terzo di Siena volevano mettare una Signoria come a loro piacesse a loro modo, e volevano fare sul pogio di Camporegio uno forte e grande castello e quale tenerlo a modo di cassero fornito di gente e vettovaglie per la sicurta’ de’ fiorentini” (1) La risposta dei ventiquattro, una volta superate i timori di una parte del consiglio propenso alla trattativa con Firenze, fu che l’esercito senese avrebbe sul campo risposto degnamente all' insulto ricevuto.
Le successive delibere del consiglio furono quelle di corrispondere ai cavalieri tedeschi, forza insostituibile dell’esercito senese, paga doppia per meglio motivarli alla battaglia.
I fondi necessari a questo inconsueto sforzo finanziario furono forniti da “el savio e nobile uomo Salimbeno de’ Salimbeni potentissimo di richeza” che su di un carro coperto da un panno purpureo presto’ al comune la considerevole cifra di 18.000 fiorini.
I cavalieri tedeschi si diedero subito a manifestazioni di gioia con canti e balli ed investirono subito la paga commissionando agli artigiani senesi coperture in cuoio per se stessi e per i cavalli.
In qualita’ di “Sindaco” allo scopo di accentrare per il periodo dell’emergenza straordinari poteri di governo e di utilizzo dei beni della repubblica, fu nominato Bonaguida Lucari che immediatamente dopo aver arringato la folla si mise a capo di una processione verso il Duomo.
“Buonaguida, si spoglio’ in camicia e scalzo senza niente in capo….dietro al detto buonaguida andava tutto el popolo di Siena ch’era armato a la piaza Tolomei, e ogni persona faceva, dicendo Vergine Maria, aiutaci al nostro grande bisogno, liberaci da questi malvagi lioni e dragoni che ci vogliono divirare”.(1)montaperti Bonaguida offri’ la citta’ alla Vergine, pregando davanti all’icona della Madonna detta “dagl’occhi grossi” ,in cambio della sua protezione nell’imminente battaglia.
Il 3 settembre l’ esercito ghibellino-senese forte di circa 20.000 uomini di cui 1800 cavalieri uscì dall’attuale porta Pispini dirigendosi verso il poggio delle Repole.
Dal campo guelfo, che nel frattempo era stato spostato in parte sul poggio delle Cortine era possibile osservare parzialmente i movimenti ghibellini, i quali, sfruttando questa opportunita’ fecero sfilare, cosi’ cita la leggenda, per ben tre volte l’intero esercito davanti alla vista dei nemici facendo indossare ad ogni tornata all’intero esercito le casacche con i colori di uno dei terzi di Siena con l’obbiettivo di dare l’impressione che ogni terzo cittadino fosse composto da tanti uomini quanto in realta’ era l’intero esercito ed impressionare quei comandanti guelfi cha andavano dicendo “Come hanno avuto questi senesi besciolini tanto ardire a uscire fuori campo contro di noi?”.(1).
La notte tra il 3 ed il 4 trascorse per i ghibellini tra continui attacchi al campo guelfo e "buoni e perfetti vini... co' molti arrosti di carne di polli di fagiani e di tute le migliori cose che si poteva avere"(1) riforniti da Siena.
La mattina del 4, mentre i guelfi iniziavano a smontare il campo, l’esercito ghibellino, superato il fiume Arbia si disponeva per la battaglia.
L’esercito Ghibellino era suddiviso in quattro divisioni.
La prima composta da 400 uomini, 200 fanti e 200 cavalieri al comando del conte d’Arras Ebbe il compito di aggirare il poggio di Monselvoli in modo da trovarsi alle spalle dei guelfo-fiorentini.
La seconda divisione, guidata dal conte Giordano d’Anglano costituiva l’avanguardia dell’esercito e era costituita da 600 cavalieri tedeschi e da 600 fanti Le milizie senesi capitanate dal conte Aldobrandino Aldobrandeschi costituivano la terza divisione.
La quarta, forte di 200 cavalieri e comandata da Niccolo’ da Bigozzi era predisposta a guardia del Carroccio.
Il piano di battaglia ghibellino, prevedeva che la seconda e la terza divisione impegnassero l’intero esercito guelfo, nonostante il sole contro e la pendenza, ad evitare lo sganciamento dei guelfi, ed al momento opportuno, al gran grido di invocazione del nome di San Giorgio, la divisione del conte d’Arras uscisse allo scoperto piombando alle spalle del nemico.
L’ordine impartito da Aldobrandino Aldobrandeschi era chiaro: “Noi li intratterremo finche’ il sole non batte loro negl’occhi, e dovremo non fare prigionieri, ma far carne di quella malvagia gente che non e’ pecato nisuno a fare quello altrui che volevano fare a noi”(1) Nella leggenda di Montaperti vi e’ anche la figura del Cavaliere Tedesco Gualtieri d’Astimbergh, che ottenuto dallo zio Arigho e dallo stato maggiore ghibellino il privilegio di attaccare per primo si avvicino’ lentamente al nemico e quando fu a distanza, abbasso’ la lancia e sprono’ il cavallo caricando il capitano dei lucchesi che trapasso’ da parte a parte.
Recuperata la lancia’ si lancio’ su altri due cavalieri trucidandoli.
A quel punto persa la lancia mise mano alla spada facendo scempio di guelfi.
Il gesto di Gualtieri fu imitato dallo zio Arrigho che precedette l’assalto della prima divisione ghibellina contro l’ala destra guelfa, e dalla terza divisione ghibellina dell’ Aldobrandeschi.
La fanteria ghibellina attacco’ senza successo le posizioni guelfe che avvantaggiate del terreno e dal maggior numero, non solo ressero ma contrattaccarono accendendo una furibonda mischia ai piedi del poggio di Monselvoli.
Lo sfavorevole rapporto numerico rese la prima fase della battaglia decisamente critica per i ghibellini.
1600 cavalieri dovettero reggere le ondate di circa 3000 guelfi.
A supporto della cavalleria ghibellina in chiara difficolta’, intervenne, contravvenendo agl’ordini di custodia del carroccio Niccolo’ da Bigozzi con i suoi 200 cavalieri Ed in questa fase della battaglia che si verifico’ l’episodio del tradimento di Bocca degli Abati e dei ghibellini fiorentini schierati nelle file guelfe.
Bocca degli Abati, come segnale del suo cambiamento di schieramento trancio di netto la mano al portastendardo della cavalleria fiorentina, generando confusione e scompiglio tra le file guelfe.
Intorno al peso avuto da questo episodio nella dinamica della battaglia, sono sorte diverse interpretazioni spesso in notevole disaccordo.
Era pomeriggio inoltrato quando dalle fila ghibelline si alzo’ alto il grido “San Giorgio” o “a la morte a questi traditori”, segnale per il conte D’Arras che con i suoi 400 uscirono dai nascondigli per precipitarsi con urla e grida alle spalle dei fiorentini.
La lancia del conte incrocio’ quella del comandante generale dei fiorentini Iacopino Rangoni da Modena trapassandolo da parte a parte alla gola.
La morte del capitano fiorentino segno’ l’inizio della rotta dei guelfo-fiorentini che iniziarono a fuggire in varie direzioni inseguiti dai ghibellini decisi a fare quello che poi divenne “lo strazio e ‘l grande scempio che fece l’arbia colorata in rosso” che prosegui’ fino al calar delle tenebre punto in cui i comandanti ghibellini diedero l’ordine di dare salva la vita a coloro che si fossero arresi e ci si limitasse ad uccidere i fiorentini, i quali prontamente cancellarono dalle proprie vesti qualsiasi segno di riconoscimento mescolandosi ai soldati loro alleati.
La leggenda racconta anche della vivandiera Usilia che mossa a pieta’ fece prigionieri ben 36 fiorentini scampandoli da sicura morte.
Il campo guelfo fu messo al sacco dove furono catturati 9000 cavalli e 9000 tra buoi ed animali da soma, furono prese bandiere e stendardi, tra le quali il gonfalone di Firenze che fu attaccato alla coda di un asino e trascinato nella polvere.
Le perdite dei guelfi furono di circa 10.000 morti e circa 15.000 i prigionieri di cui rispettivamente 2500 e 1500 fiorentini. mentre i ghibellini persero 600 uomini con 400 feriti.
Dopo Montaperti Siena, che di questo ghibellinismo era divenuta la roccaforte, fu scomunicata con tutti i cittadini; molti stranieri e alcuni capi guelfi d'Italia presero pretesto della scomunica per non pagare più i debiti contratti con i mercanti senesi, inferendo così un gravissimo colpo all'economia dei singoli commercianti e per riverbero di tutta la città.
Montaperti fu un episodio che nella conta della storia ebbe poco peso, nel giro di pochi anni la fazione guelfa riprese il dominio della regione e Siena dovette subire nel 1269 a Colle val D’elsa una sonora sconfitta nella quale cadde , Provenzano Salvani, uno dei simboli di Montaperti.
La vittoria guelfa restaurò la supremazia fiorentina nella regione, dopo che alla dieta di Empoli aveva rischiato di essere rasa la suolo.
Tra le leggende che aleggiano intorno a Montaperti non potevano mancare quelle che parlano di spiriti e di anime perse che vagano per il campo di battaglia, di Bocca degli Abati che ricerca pace e di un solitario cavaliere sul suo destriero, meditabondo sulle sorti della vita e sul destino di Siena.
I Senesi a Montaperti di R.Merchionni ed. Roberto Meiattini 1992 Eserciti Toscani (1) - Senesi e Fiorentini a Montaperti di R.Merchionni ed. Roberto Meiattini 1996 La Storia di Siena dalle Origini al 1559 di Luca Fusai, Ed. Il Leccio 1991 (1)Siena il Sogno Gotico, M.Civai/E.Toti, Ed.Alsaba 1992