INFORMATIZZAZ. B. DURANTE

INDICE
VIAGGIO DEL MAGELLANO (1519)
INTENZIONE DELLA SPEDIZIONE
PARTENZA DA SIVIGLIA ADDI' 10 AGOSTO 1519 E DA SAN LUCAR IL 20 SETTEMBRE
COSTE DEL BRASILE
PORTO DI SAN GIULIANO - PATAGONI
STRETTO DI MAGELLANO
NAVIGAZIONE NEL GRANDE OCEANO
ISOLE DEI LADRONI O MARIANNE
ARCIPELAGO DI SAN LAZZARO (ISOLE FILIPPINE) - LA LINGUA PARLATA DALLO SCHIAVO DEL MAGELLANO E' INTESA IN QUESTE ISOLE
ISOLA DI ZUBU, E BATTESIMO DE' SUOI ABITANTI
MAGELLANO UCCISO IN BATTAGLIA
DISERZIONE DELLO SCHIAVO SUMATRESE E MASSACRO DI VENTIQUATTRO SPAGNUOLI
SCOPERTA DELLA GRANDE ISOLA DI BORNEO
ACCOGLIENZA ORIENTALE
LE ISOLE MOLUCCHE
ISOLA DI TADOR O TIDOR. I PORTOGHESI VENUTI DA PONETE, SONO QUI INCONTRATI DAGLI SPAGNUOLI VENUTI DA LEVANTE. GLI EUROPEI HANNO QUINDI COMPITO IL GIRO DEL GLOBO
























VIAGGIO DEL MAGELLANO (1519)

I re di Spagna e di Portogallo forzati nell'interesse de' loro acquisti, di aderire ai ragionamenti degli astronomi e de' geometri sulla rotondità della terra, presto si avvidero che una linea tirata da settentrione a mezzogiorno a cento o trecento leghe dalle isole Azore, per limite dei loro dominii respettivi, non poteva essere una linea divisoria sur una superficie circolare; a meno che la non fosse prolungata dall'altra parte della terra, o se volete, sotto la terra, alla guisa dei cerchi meridiani, dando così a ciascuno de' due pretendenti la metà della sfera terrestre, oppure, in una sola parola, un intero emisfero [E' noto pella storia, come papa Alessandro VI si contenne per accordare le pretensioni degli Spagnuoli e de' Portoghesi, sulle terre nuovamente scoperte; e conciliare il magnifico presente, che faceva al re di Spagna, colle donazioni di simil sorta fatte dai suoi predecessori ai monarchi del Portogallo].
Di guisa tale che, partendo dalla linea d'Alessandro VI, chiamata linea di demarcazione, quante nuove terre il sole illuminava durante la metà del suo corso apparente, vale a dire in dodici ore, appartenevano alla Spagna, mentre nel resto della giornata, cioè nell'altre dodici ore, illuminava, in fatto di nuove terre, quelle di proprietà del Portogallo.
Fu necessario dare questo senso a quanto aveva deciso Alessandro VI; la qual decisione senza di ciò, a causa della rotondità della terra [Alessandro VI erasi astenato dallo spiegarsi sopra di ciò nella sua Bolla] sarebbe stata totalmente insignificante; i regi di Spagna e Portogallo si allontanarono adunque in tale occasione dalle tradizioni geografiche della Chiesa, e fecer piegare le conclusioni formali de' teologi, ed i sacri testi da essi citati, davanti alle necessità della loro concorrenza commerciale, e della loro rivalità politica.
INTENZIONE DELLA SPEDIZIONE
Nel 1517, un Gentiluomo portoghese offrì al cardinale Ximenes (che allora, in assenza del Re, governava la Spagna) d'andar per la parte di ponente a riconoscere e far valere i diritti che la linea di demarcazione dava, ei dicea, agli Spagnuoli sulle isole dei Garofani.
Che le isole dei garofani, cioè le Molucche, fossero nell'Emisfero Spagnuolo, era questa tal presunzione, che vera o falsa non poteva esser male accolta dalla corte di Spagna tanto più che questa presunzione contava in suo favore eziandio la testimonianza di quelli che facevano per il Portogallo il commercio dell'India, testimonianza confermata dalle dimostrazioni matematiche di diversi cosmografi e, fra gli altri, del celebre astronomo Rodrigo Faleiro.
Questo Faleiro riprommetevasi inoltre, di somministrare al navigatore il mezzo d'assicurarsi della vera posizione delle Molucche, relativamente alla linea di demarcazione suddetta.
Nel 1519, il Portoghese, che erasi veduto due anni avanti semplice sollicitatore a Valladolid, venia nominato dall'imperatore e re Carlo V, capitano generale di una squadra di cinque navigli e commendatore dell'ordine di San Giacomo della Spada.
Intorno a questo Portoghese, che i suoi compagni chiamavano MAGAGLIANES, e che noi chiamiamo MAGELLANO, poco sappiamo.
Carlo V, quando gli affidò la commissione sollecitata da lui, era senza dubbio meglio informato di noi delle qualità di un uomo, a cui affidava incombenza cosi' difficile, e pelle conseguenze, che dovea addurre, così importante.
Pietro Martire, scrittore contemporaneo, ci dice aver il Magellano passati parecchi anni nell'India.
Questo soggiorno del Magellano nell'India, si riferisce al tempo d'Albuquerque.
Di ritorno a Lisbona, e praticissimo in quelle ognizioni che gl'immensi successi della navigazione avevan reso oggetto di moda fra i nobili portoghesi, aveva ottenuto il permesso di consultare i documenti geografici e nautici accatastati e conservati dal principe Enrico in poi, nella Tesoreria.
Così aveva veduto una mappa del celebre geografo, e viaggiatore Martin Behaim, sulla quale era indicato, verso la parte meridionale dell'America, uno stretto che apriva la via occidentale dell'Asia; uno stretto pel quale poteva finalmente condursi a termine l'intrapresa vanamente tentata dal Colombo.
D'altronde, anche in mancanza di questo stretto, il Magellano non poteva egli sperar di trovare l'America finita da questo lato per un altro capo di Buona Speranza? Non poteva egli lusingarsi d'essere il Bartolommeo Diaz ed il gama del Nuovo Mondo?
Ignoransi i motivi che lo avevano fatto passare al servizio della Spagna.
Si racconta soltanto, che il re Emanuele di Portogallo aveva ricusato d'accrescere i suoi stipendi di un testone [il tsstone di Portogallo valeva sei franchi] al mese!
Si suppone, che uno dei suoi amici e parenti, con cui era in corrispondenza, (Francisco Serrano), irritato contro il vicerè Albuquerque, avessegli scritto dall'India di dare le Molucche alla Spagna, deducendo dalla sua cognizione delle coste brasiliane, la possibilità di trovare un passaggio al mezzodì dell'America [Lo storico portoghese Giovanni di barros afferma, che il Sovrano aveva inviato al Magellano una carta delle Molucche, dov'elleno trovavansi nell'Emisfero Spagnuolo. In Europa, ignoravasi che i Portoghesi avessero scoperto le Molucche, dopo sette o otto anni che vi si erano stabiliti!].
Mi resta da dire, o lettore, una parola della sorgente a cui fu d'uopo attingere gli estratti dei quali qui ti faccio parte.
A tempo del ritorno della nave Vittoria, Pietro Martire fu incombensato da Carlo V di compilare la storia di questa memorabile spedizione di Magellano, deducendola da tutti i giornali, che furono trovati a bordo della sua nave.
Di questa storia, messa in ordine ed inviata al papa, ne fu arso il manoscritto avanti la stampa, nel saccheggio di Roma del 1527, "di guisa tale che", dice uno dei più celebri collettori di Viaggi (Ramusio), "la memoria di così grande impresa sarebbesi perduta col tempo, se un abile Gentiluomo di Vicenza chiamato MESSIRE ANTONIO PIGAFETTA, non ne avesse scritta una curiosa e particolarizzata relazione...".
Da questa relazione sono dunque tratte tutte le particolarità che qui sotto esponiamo: "curioso di vedere cogli occhi proprii le cose meravigliose che dell'Oceano si raccontavano", l'autore aveva ottenuto da Carlo V il permesso di accompagnare il Magellano in questo viaggio: nessuno, fuor del capitano generale, sapevane allora il vero scopo.
PARTENZA DA SIVIGLIA ADDI' 10 AGOSTO 1519 E DA SAN LUCAR IL 20 SETTEMBRE
"Un lunedì mattina, 10 agosto dell'anno 1519, la squadra avendo a bordo le necessarie vettovaglie, e il suo equipaggio composto di 237 uomini, annunziò collo sparo delle ariglierie la partenza da Siviglia": e, il 20 settembre salpò dal porto di San Lucar di barrameda.
La più severa disciplina fu stabilita a bordo; e la nave Trinità, sulla quale era Magellano, doveva sempre andare innanzi: erano stati eziandio convenuti i segnali notturni per trasmettere i suoi ordini a tutta la squadra: ma prescindendo dalle difficoltà della impresa, il Magellano, agli occhi degli altri quattro comandanti Spagnuoli, aveva la irremissibile pecca d'esser nato portoghese.
Il 26 settembre la flotta soggiornò all'isola di Teneriffa; poi a quella di Monte-Rosso: passò quindi fra le isole del Capo Verde, e costeggiò la Guinea fino alla montagna di Sierra Leone.
"Qui provammo (dice il narratore) venti contrari, o bonacce con pioggia, fino all'equatore; e questo tempo piovigginoso durò sessanta giorni, contrariamente all'opinione degli Antichi.
Durante il tempo burrascoso (egli aggiunge) vedemmo sovente il Corpo Santo, vale a dire Sant'Elmo, in una notte molto oscura, ci apparve come una bella fiaccola in vetta all'albero maestro, dove si fermò per due ore; il che era di grande consolazione in mezzo alla tempesta. Nell'atto che scomparve mandò luce così viva, che ne rimanemmo abbagliati; ci credemmo perduti ma il vento cessò nel medesimo istante [Questo passo ricorda quello di Plinio sui lumi di Castore e Polluce osservati dai marinari dell'antichità. Ognun si accorge, che trattasi qui di un fenomeno elettrico]".
COSTE DEL BRASILE
Passiamo sotto silenzio i pesci cani, i pesci volanti, e gli uccelli meravigliosi che animano alquanto il monotono tragitto dell'Atlantico; e affrettiamoci di arrivare alla terra del Legno Rosso, situata nel Brasile.
Cammin facendo, il narratore ha cura di farci osservare, che allontandosi dall'equatore ed avvicinandosi al polo antartico; la flotta avea cessato vedere la stella polare.
Entrati, addì 13 dicembre, nella baja di Rio Janeiro, aggiugne: "Avevamo, allora, a mezzogiorno il sole precisamente sopra al nostro capo, e pativamo assai più pel calore, di quello che non aveamo sofferto sotto la linea equinoziale".
Il ritratto che ci fa de' Brasiliani e delle Brasiliane, paragonandone i rematori "a' marinari dello Stige" saria poco rassicurante, se non soggiugnesse, che a fronte di una spaventevole apparenza, sono però creduli e buoni; e se tredici giorni passati con essi in eseguire baratti senza litigio di sorta alcuna, nè lamentanza (cosa notevole), non facessero testimonianza e della severa disciplina del Comandante portoghese, e delle disposizioni pacifiche degli ospiti suoi.
Figuratevi dei selvaggi, di colore olivastro anzichè nero, con il corpo e segnatamente la faccia dipinti in modo strano, tanto che i maschi che le femmine: tutti nudi, uomini e donne, oppure adorni di una veste di penne di pappagalli insieme tessute "ed accomodate in maniera, che le penne più grandi delle ali e della coda formano un cerchio ai reni; il chè dà loro figura bizzarra e ridicola".
Figuratevi selvaggi col corpo dipelato, coi capelli corti e lanuginosi; gli uomini colle labbra forate da tre buchi, pei quali insinuano strette pietruzze lunghe due pollici; le famiglie confusamente alloggiate, a centinaia di individui, in lunghe capanne, coricati su reti di cotone sospese; vogando (trenta o quaranta alla volta) dentro ad alberi scavati con remi simili alle nostre pale da fornaj "senza fede cristiana, dice il Pigafetta, ma solo idolatri: tenendo il loro istinto naturale per unica legge, e vivendo lunghi anni"; festeggiando tuttavia (per quanto gli fu detto) l'ottavo giorno con un pezzetto di carne umana affumicata!
Gli Spagnuoli crederono aver fatto colà eccellenti mercati, ed i Brasiliani furon nella stessa convinzione: compravano cinque o sei galline per un amo da pescare, o per un coltello; compravano tanto pesce da servire a dieci persone per un pajo di cesoje, due oche per un pettine, una cesta di radici "fatte come le rape e del sapore delle castagne [le patate]" per un sonaglino od un nastro, ec. ec.; compravano per un azza (ascia) o per una coltella due o tre delle loro zitelle [L'uso di offrire le zitelle, è comune in tutte le isole del Mare del Sud]!
Un'avventurosa coincidenza aveva del resto servito agli interessi de' navigatori: da due mesi, una spaventevole siccità desolava questa costa; la pioggia era caduta il giorno stesso dell'arrivo degli Spagnuoli; "questa pioggia, i Brasiliani l'avevano attribuita all'onnipotenza de' Bianchi".
Ripartiti gli Spagnuoli il 27 dicembre, costeggiarono il continente alla volta di mezzogiorno ed arrivarono alla foce della riviera presso la quale perì Giovanni di Solis.
"Qui, dice il Pigafetta, abitano quelli che mangiano gli uomini. Per non perder l'occasione di parlare ad essi e vederli dappresso, saltammo a terra in numero di cento, e li perseguimmo col proposito di arrestarne alcuni; ma costoro facevano passi così grandi, che ci fu impossibile raggiugnerli".
Continuando a costeggiare ad austro, incontrarono due isole popolate "di oche nere senza penne per volare [Pingioini =(pinguini)] ed il lupi marini [vitelli marini o foche] colla testa di vitello, colle orecchie corte e rotonde, colle zampe attaccate al corpo, simili alle nostre mani, e colle dita riunite insieme come quelle dell'anatra, e fornite di piccole unghie.
Fummo assaliti (dice il Pigafetta) da terribile uragano in mezzo a queste isole, durante il quale i fuochi di Sant'Elmo, di San Nicola e di Santa Chiara si fevcero parecchie volte vedere in cima degli alberi delle navi; ed ogni volta che disparivano, di presente diminuiva il furore della tempesta".
Continuando a navigare a mezzogiorno, gli Spagnuoli trovarono (era di maggio) un buon porto al grado 49 di di latitudine meridionale [La latitudine di un luogo è la distanza di questo luogo dall'equatore, ossia a borea, ossia ad austro; i gradi di latitudine sono di 60 miglia d'Italia]; "avvicinandosi il verno (dice il viaggiatore), giudicammo a proposito passarvi la cattiva stagione".
A questa distanza dall'Europa le velleità di rivolta si risvegliarono; i quattro comandanti castigliani, lusigaronsi di soperchiare facilmente l'intruso portoghese: ma lasciamo parlare il Pigafetta.
PORTO DI SAN GIULIANO - PATAGONI
"Avevamo appena gettata l'ancora in questo porto (dal Magellano chiamato porto di San Giuliano), che i capitani degli altri quattro navigli ordirono una congiura per uccidere il capitano generale.
Questi traditori erano: Giovanni di Cartagena, ispettore della squadra; Luigi di Mendoza, tesoriere; Antonio Cocca, economo: e Gaspare di Casada.
Il complotto fu scoperto; e il primo di que' signori fu squartato ed il secondo pugnalato.
Gaspare di Casada ebbe per grazia salva la vita, ma al momento della partenza fu lasciato a terra con un prete, complice come lui nella congiura".
Passarono due mesi senza che il Magellano ed i suoi compagni vedessero uom vivente su quella terra remota.
"Un giorno, quando meno ce lo aspettavamo (dice il narratore), un uomo di figura gigantesca si presentò a noi; stava sulla riva del mare, quasi nudo, cantando e ballando e cospargendosi il capo di polvere.
Il Capitano inviò a terra uno de' nostri marinai, con ordine di fargli i medesimi gesti, ed il gigante si lasciò agevolmente condurre in una isoletta dove il capitano aveva preso terra.
In vederci, dimostrò molto stupore; ed alzando il dito, ci fece intendere che ci credeva discesi dal cielo.
Quest'uomo era sì alto, che noi colla testa gli toccavamo appena la cintura; ed era bene proporzionato: avea larga la faccia, e tinta di rosso, fuori che gli occhi, i quali erano tinti giro giro di giallo, ed aveva due macchie fatte acuore sulle guancie: i suoi capelli sembravano imbiancati con qualche polvere; la sua veste, o piuttosto il suo mantello, era fatto di pellicce cucite insieme, d'un animale comunissimo in questo paese ['Quest'animale -dice il Pigafetta- ha la testa e le orecchie di mulo, il corpo di cammello, le gambe di cervo e la coda di cavallo; e nutrisce come quest'ultimo'. Tale animale è il guanac (o guanaco]; ed il suo calzamento era della stessa pelle [Quella foggia di calzature valse a questi popoli, per parte del Magellano, il nome di zampe d'orso o di patagoni che è loro rimasto. Le loro capanne portatili sono ricoperte della stessa pelle].
Teneva nella mano sinistra un arco, corto e massiccio, la corda del quale era fatta del budello dello stesso animale; e nella destra stringea alcune frecce di canna, corte e aventi da un lato penne, come le nostre, e dall'altro, invece di ferro, la punta di una pietra focaja, bianca e nera".
Ricondotto a terra con alcuni piccoli doni, ben presto il selvaggio rassicurò i suoi compagni; i quali vennero a fare i medesimi gesti, e portaronsi colle loro donne a bordo de' navigli.
"Le donne, dice il Pigafetta, non sono grandi quanto gli uomini, ma invece sono più grosse; le loro mammelle cadenti sono lunghe più di un piede. Vanno dipinte ed acconce nella stessa guisa dei loro mariti, ma portano un piccolo grembiale di pelle di che quelli mancano".
Il Pigafetta aggiugne: "Vivono ordinariamente di carne cruda, e di una radice dolce che chiamano capac. Sono famosi mangiatori; ciascuno dei due Patagoni da noi presi, mangiava ogni giorno una cesta piena di biscotto e beveva una mezza secchia d'acqua tutta in una tirata; mangiavano i sorci affatto crudi, e senza neppure scorticarli".
Le relazioni degli Spagnuoli coi Patagoni furon tutt'altro che favorevoli a questi selvaggi; il capitano volle ritenerne due coppie per condurle in Spagna, e gli riuscì infatti, per mezzo del più grossolano artifizio, d'incatenare sul suo navilio, due de' loro giovani: una piccola spedizione fu inviata a terra per sopraprendere due donne; ma, ad un segnale, nell'istante in cui gli stranieri credevano tenere la loro preda, uomini, donne, fanciulli preser la fuga, abbandonando ai perfidi le loro capanne.
Uno Spagnuolo fu colto da una freccia avvelenata, ed all'istante morì.
Un Patagone, che, famigliarizzato coi bianchi, aveva imparato a pronunziare la parola Gesù, a recitare il Pater Noster, e che avea ricevuta l'acqua battesimale, pagò colla propria vita, fra i suoi, i legami che avea stretti coi nemici de' compatriotti di lui.
Quanto ai due patagoni che stavano sui navigli, morirono ambidue di malattia per mare.
Altra disgrazia: la nave San Giacomo, spiccata per esplorare la costa, naufragò fra gli scogli a trenta leghe da quel sito: l'equipaggio, salvatori come per miracolo, spese due mesi a raccogliere gli avanzi del navilio e le mercatanzie, sur una piaggia gelata.
Addì 21 agosto, dopo cinque mesi di soggiorno, dopo aver piantato una croce sur una montagna e preso possesso del paese a nome del re di Spagna, i quattro navigli che restavano si diressero ad austro, seguendo sempre la costa.
Quindi passaron due mesi alla foce di un fiume (il fiume di santa Croce) dove tutta la squadra poco mancò che non si perdesse: "...ma Dio e i Corpi Santi ci soccorsero (dice il Narratore), e ci salvarono...Pria di lasciare questo luogo, il Capitano ordinò che ciascuno di noi si confessasse e si comunicasse da buon cristiano".
STRETTO DI MAGELLANO
"Il 21 ottobre, avendo ripreso la via di mezzogiorno, trovammo uno stretto che chiamammo stretto delle Undicimila Vergini, perché quel giorno è lor consacrato.
Tutto l'equipaggio era sì persuaso che il detto stretto non avesse uscita a ponente, che nessuno avria neppur pensato a cercarla senza le grandi cognizioni del capitano generale".
Il Magellano oppose alla diffidenza de' suoi piloti l'autorità di martin Behaim!
I navigli di sant'Antonio e Concezione furono inviati ad esplorare quel canale, e la trinità e la Vittoria attesero all'ingresso del medesimo.
"La sera (continua il Pigafetta) levossi una terribile burrasca, che durò trentasei ore, costringendoci a salpar l'ancore e ad abbandonarci in balia de' flutti e del vento: le navi Sant'Antonio e Concezione, trascinate dalla procella verso il fondo del braccio di mare che supponevano fosse una baia, aspettavano da un momento all'altro di dar nelle secche: ma nel momento che i marinari si credevano perduti, scorsero una breve apertura alla quale accostaronsi, e vedendo che quel canale non era chiuso v'entrarono arditamente, e trovaronsi in un altra baia: proseguirono il loro cammino; e quindi incontrarono un secondo canale, donde passarono in una nuova baia molto più grande delle precedenti: allora invece di andare più oltre, giudicarono opportuno ritornare a render conto di quanto avevano veduto".
le loro grida di gioja, ed alcune scariche d'artiglieria, annunziarono il loro ritorno ai compagni, che non speravano più di rivederli.
La flotta, prevenuta nella terza baia di cui il Viaggiatore ha parlato, vide davanti a se aperti due canali, uno a scilocco, l'altro a libeccio.
Il Sant'Antonio e la Concezione furono incaricati di riconoscer quello di scilocco; ma la Concezione non potè seguire il Sant'Antonio, che aveva le sue ragioni per non aspettar quel naviglio, sicché lo perse di vista: la trinità e la Vittoria entrarono nel canale di libeccio, e pervennero alla foce d'una corrente di acqua dolce, che chiamarono riviera delle sardine: una scialuppa spedita alla scoperta ritornò dopo tre giorni, annunziando aver veduto il capo dove finiva lo stretto ed un ampio mare:
"Tutti ne piangemmo per la gioja, dice il Pigafetta, e questo promontorio chiamammo Capo Desiderato [Il capo Desiderato sorge dirimpetto al capo Vittoria: appartiene ad una delle grandi isole che formano la parte meridionale dello stretto sotto il nome di Arcipelago di Magellano o di Terra del Fuoco. Il nome Terra di Fuoco è più specialmente applicato alla maggiore di queste isole. La punta più meridionale della Patagonia e del continente, ricevè dagli Inglesi il nome di Froward; e la penisola cui questo capo appartiene, estremo anello della catena delle Ande, ha preso sulle loro carte il nome di Brunsvick].
In caso che non avessimo scoperto questo stretto (aggiunge egli) il capitano generale era risoluto di continuare il suo cammino ad austro fino al grado 75 di latitudine meridionale, dove nel verno non è notte od almeno è brevissima; come non vi è giorno nella state. Mentre eravamo in questo stretto, non avevamo di giorno che tre ore, ed era il mese di ottobre.
La terra intorno a questo stretto, che a sinistra gira verso scilocco, è bassa: chiamammo questo luogo, Stretto de' Patagoni.
Ad ogni mezza lega vi si trova un porto sicuro, acqua eccellente, legno di cedro, sardine, e grande abbondanza di conchiglie; vi erano pure delle erbe amare, ed altre buone a mangiarsi, segnatamente una specie di sedano dolce, che cresce sul margine delle fontane...in fine sono d'avviso, che non vi sia al mondo migliore stretto di questo".
La Vittoria fu invano rinviata fino alla foce dello stretto per raggiugnere il sant'Antonio: più tardi si seppe, che quel naviglio era stato ricondotto in Spagna da un pilota (Stefano Gomez) che il Magellano avea soppiattato nel comando della squadra; e che strada facendo aveva ripreso a bordo quel Giovanni di cartagena ed il prete, lasciati a terra in pena di aver congiurato contro il capitano generale.
NAVIGAZIONE NEL GRANDE OCEANO
"Il mercoledì 28 novembre, entrammo nel gran mare [seguitando, non la costa meridionale dello stretto, terminata dal capo Desiderato; ma la costa settentrionale, terminato dal capo Vittoria] nel quale navigammo tre mesi e venti giorni senza gustare alimento fresco di nessuna specie: il biscotto che mangiavamo non era più pane, ma una polvere mescolata di vermi che avevano divorato tutta la sostanza, e che di più sapeva di un fetore insopportabile, essendo impregnata di orina di topi: l'acqua che eravamo obbligati a bere era anch'essa marcita ed infetta.
Fummo pure costretti, per non morire di fame, a mangiare i pezzetti del cuoio ond'era fasciata la grande antenna perché il legno non rodesse le corde: e questi pezzetti di cuoio, atteso lo star sempre esposti all'acqua, al sole ed ai venti erano tanto duri, che bisognava tenerli in molle per quattro o cinque giorni nel mare; quindi li arrostivamo sulla brace: sovente ancora fummo ridotti a nutrirci di segatura, ed i sorci medesimi erano divenuti una vivanda così ricercata che si pagavano persino un mezzo ducato l'uno.
Oltrediché, la nostra maggior disgrazia consisteva in vederci attaccati da una specie di malattia, per la quale le gengive gofiavano a segno da coprire i denti della mandibola superiore e della inferiore; e coloro che ci erano affetti, non potevano prendere alimento di sorta alcuna: diciannove dei noastri miseramente ne morirono, e fra essi furono il Gigante patagone ed il Brasiliano, che avevamo condotti con noi. Oltre i morti, avevamo da venticinque a trenta marinari malati, che pativano insopportabili dolori nelle braccia, nelle gambe ed in alcune parti del corpo; ma ne guarirono.
In questo spazio di tempo percorremmo appresso appoco il tratto di quattro mila leghe, in un mare che chiamammo Pacifico perché non vi provammo la menoma tempesta [La maggior parte de' successori del Magellano han potuto dire come il Viaggiatore di Gian Giacomo: Ho esperimentato nel mar Pacifico le più orribili tempeste]; e non scoprimmo altra terra che due isole (a ducento leghe l'una dall'altra) abbandonate alle erbe ed agli uccelli, attorno alle quali non trovammo fondo...Sono di parere, che nessuno, in avvenire, vorrà intraprender un simil viaggio.
Il polo antartico (continua il Pigafetta) non ha le medesime stelle del polo artico: vi si veggono due gruppi di piccole stelle a poca distanza l'uno dall'altro; in mezzo a questi gruppi miransi due stelle molto grandi ed assai brillanti, che indicano il polo antartico...Essendo in mezzo al mare, scoprimmo a ponente cinque stelle brillantissime poste precisamente in forma di croce [(la "Croce del Sud")].
ISOLE DEI LADRONI O MARIANNE
Della direzione che il Pigafetta indica fino al momento in cui ripassò la linea, e dopo ancora, non potendo in verun modo esser seguita sur una carta non starò a parlarne.
"Il 6 marzo 1521, al grado 12 di latitudine boreale scoprimmo (dice egli), a maestrale, un'isoletta; e poscia altre due a libeccio".
Il capitano tentò approdare alla più grande, ma fu costretto a ritirarsi non essendo riuscito a reprimere quanto egli chiamò rapacità degli abitanti; dopo aver loro senza alcun profitto bruciato quaranta o cinquanta case ed ucciso sette uomini.
Il Magellano chiamò queste isole, isole de' Ladroni ['Le isole di Los Ladrones, dice il celebre Fleurieu, rimasero obliate -e saria stato desiderabile pei loro abitanti che lo fossero sempre!- fino a che lo zelo di un celebre gesuita -santivores- interessando la devozione della regina Maria Antonietta d'Austria, reggente nella minorità di suo figlio Carlo II, la eccitò a volerle far convertire al cristianesimo nel 1668].
Gli abitanti, di colore olivastro, erano nudi (le donne sole portavano un grembialetto di scorza sottile) e senza altre armi che lance guernite di ossa di pesce; si divertivano coll'andarsene a diporto su delle canoe a vela triangolare, e munite di bilanciere dipinto di nero, di rosso e di bianco.
La vela, fatta di foglie di palmizio cucite insieme, era posta sul fianco della canoa, ed una lunga trave attaccata dall'altro lato, all'estremità di certe pertiche, manteneva l'equilibrio della stretta e lunga navicella.
"Furono tanto meravigliati in vederci (dice il Pigafetta) che si dovè credere che non avessero mai veduti altri uomini fuorché quelli delle loro isole".
Aggiugne:" Nel tempo della nostra partenza vedemmo nelle loro canoe donne che piangevano e si strappavano i capelli, probabilmente perché gli avevano uccisi i mariti".
Addì 16 marzo, la squadra si trovava a trecento leghe da queste isole, di faccia ad una terra isolata, ad un'isola; presso della quale un'altra isola inabitata, s'offrì alla vista degli Spagnuoli, come opportuno luogo di riposo".
"Egli fece subito innalzare una tenda pei malati, ed uccidere una troja (scrofa)" da esso senza dubbio presa nelle isole de' Ladroni.
Seguirono otto giorni di relazioni amichevoli e di pacifici baratti cogli abitanti dell'isola vicina, i quali furono i primi a visitare sulle loro barche gli stranieri.
La fiducia che ispirarono agli Spagnuoli fu tale, che il Magellano, dopo aver prima corrisposto alla loro cortesia con dei regali, andò nelle canoe dei medesimi, ai loro magazzini di garofani, di cannella, di pepe, di noce moscada; fece ad essi vedere, al ritorno, l'interno del suo naviglio, assai sbigottendoli colla scarica di un cannone.
Questi isolani erano di colore olivastro, senz'altra veste che un grembialetto di buccia d'albero, col corpo dipinto e unto di olio di cocco [Il Pigafetta elenca a lungo i servigi che l'albero del cocco (leggi qui!) rende a questi popoli, fornendo loro pane, vino, olio, cordoni, ec. ec.].
I loro lunghi capegli neri discendevano fino alla cintura.
"Le loro armi (dice il narratore) sono coltelle di ferro, azze di pietra, scudi, clave, mazze ferrate e lance guernite d'oro. Per strumenti da pesca hanno dardi, arpioni e reti fatte appresso a poco come le nostre.
Il loro capo, vegliardo dalla faccia dipinta, aveva dei pendenti agli orecchi: quelli del suo seguito avevano monili d'oro alle braccia, e pezzuole avvolte attorno alla testa".
Gli Spagnuoli compraron da essi noci di cocco, arancie, vino di palma, pistacchi, galline, ec. ec.
ARCIPELAGO DI SAN LAZZARO (ISOLE FILIPPINE) - LA LINGUA PARLATA DALLO SCHIAVO DEL MAGELLANO E' INTESA IN QUESTE ISOLE
Addì 17 marzo, il Magellano scorse una quantità d'isole attorno di questa ultima, che avea nome Humumu, e le chiamò arcipelago di San Lazzaro.
In seguito riceverono il nome di Filippine, in onore del figlio di Carlo V.
La flotta ne partì il 25 marzo, e passò in mezzo a parecchie di tali isole, finché il 28 si fermò davanti ad una di esse.
Una piccola canoa avvicinandosi con diffidenza ai navigli, montata da otto uomini, il Magellano indirizzò loro la parola per mezzo del suo schiavo, nativo di Sumatra.
Lo intesero.
Due ore dopo venne il loro re, in una gran barca, sotto un baldacchino di stuoje: quando fu preso al naviglio, lo schiavo del capitano gli parlò, e questo re, al dire del Pigafetta, lo intese benissimo.
Poco dunque mancava, perché lo schiavo di Sumatra avesse compito il giro del globo. Il cammino che restava era facile, poiché la lingua di Sumatra l'aveva fatto.
Quanto al re, egli inviò dapprima alcuni deputati sulla nave del Magellano, il quale fece loro la migliore accoglienza possibile. La dimane, dietro le assicurazioni amichevoli comunicate dallo schiavo Sumatrese, il re acconsentì di venire a bordo.
"Egli venne (dice il Pigafetta) nella nostra scialuppa, con sei o otto dei suoi principali sudditi; ascese a bordo, abbracciò il capitano e gli regalò tre vasi di porcellana pieni di riso crudo e coperti di foglie, due dorade specie di pesci assai grossi, e diversi altri oggetti (Il Magellano aveva precedentemente ricusato una verga d'oro).
Il capitano dal canto suo gli offerse una veste di drappo rosso e giallo, fatta alla turca: ed un berretto rosso fine.
Distribuì agli uomini del suo seguito specchi e coltelli: fece portar da colazione, ed ordinò allo schiavo interprete di dire al re, che voleva viver da fratello con esso lui: il che parve recargli sommo piacere.
"Fece quindi mostra davanti al re di drappi e tele di differenti colori, di alquanto corallo e d'altre mercanzie.
Gli fece pure vedere tutte le armi da fuoco, ed ordinò ancora di sparare i cannoni: del cui romore gl'isolani furono molto spaventati. Fece armare di tutto punto e vestire di ferro uno dei nostri, e commise a tre uomini di tirargli colpi di spada e di stiletto.
Il re, voltandosi verso del Sumatrese, fece dire al capitano, che un cotal uomo potea pugnare contro cento.
Si (rispose l'interprete, pel capitano); e ciascuno dei tre navigli ha dugento uomini armati in tale maniera".
Dopo di ciò, il capitano condusse il re sul cassero; ed essendosi fatto portare la carta e la bussola, gli spiegò, coll'ajuto del Sumatrese, come avea trovato lo stretto per venire nel suo regno, e quanto tempo aveva impiegato per mare senza scorger terra.
"Il re, stupefatto di quanto avea veduto ed inteso, prese commiato dal capitano, pregandolo d'inviare con lui, a terra due de' suoi, onde fare ad essi vedere le particolarità del suo paese".
Ed il Pigafettta fu appunto uno degli scelti dal Magellano.
Allorché mettemmo il piè in terra [nell'isola di Massana], dice egli, il re alzò le mani al cielo, e quindi si volse verso di noi; noi facemmo altrettanto, come pure tutti coloro che ci seguivano. Il re mi prese allora per la mano, e mi condusse sotto una specie d'arsenale dove era un battello lungo circa cinquanta piedi; ci assidemmo sulla poppa e ci sforzammo di intendersi vicedevolmente coi gesti. Quelli del seguito del re stavano in piedi, armati di lance e di scudi.
"Ci fu portato un piatto di carne di majale, con una grande anfora di vino; ad ogni boccone, bevevamo una scodella di vino, e quando la scodella non rimaneva affatto vuota, il restante versavasi in un'altra anfora: la scodella del re era sempre coperta e nessuno osava toccarla tranne lui ed io: ogni volta che il re voleva bere, alzava, prima di prendere la scodella, le mani al cielo, poscia le volgeva verso di noi; e nel momento in cui egli prendeva la scodella colla mano destra, stendeva verso di me la sinistra, a pugno chiuso; e rimaneva in tale atteggiamento finché non avea finito di bere (senza dubbio per bere a sorsi più lunghi). Essendomi accorto che tutti gli altri in ciò lo imitavano, feci anch'io altrettanto; di guisa che non potei disimpegnarmi di mangiar della carne, quantunque fosse il venerdì santo. Venuta l'ora della cena furono portati due grandi piatti di porcellana contenenti uno riso, l'altro majale cotto nel suo sugo.
Di lì passammo al palazzo del re, che aveva la forma di un pagliajo; era coperto di foglie di banano, e sostenuto molto alto da terra; per il che ci abbisognò la scala onde salirvi.
Quando ci fummo, il re ci fece sedere su stoje di canne, colle gambe incrociate; quindi fu portato un piatto di pesce arrostito e tagliato a pezzetti, dello zenzero colto d'allora e del vino.
Il re se n'andò, lasciandoci col suo figliuolo; col quale dormimmo sur una stoja di canne, colla testa appoggiata su de' guanciali fatti di fogle d'alberi".
la dimane il re andò ad invitare il Pigafetta a far colazione; ma la scialuppa che lo attendeva gli valse di scusa:"Il re (dice egli) era di buonissimo umore; ci baciò le mani e noi gli baciammo le sue...Andava vestito assai decentemente ed era il più bell'uomo da me veduto fra questi popoli: i suoi capelli neri gli cadevano sulle spalle, e portava alle orecchie due anelli d'oro: dalla cintura alle ginocchia era coperto di un drappo di cotone ricamato di seta; portava al fianco una specie di spada con lunga impugnatura; e il fodero era di legno benissimo lavorato: avea a ciascuno de' suoi denti tre macchie d'oro: profumavasi di storace e di benzuino: la sua pelle era dipinta, ma il fondo n'era olivastro".
I soli incidenti che contrassegnarono la settimana che gli Europei passarono in quest'isola, furono la celebrazione, a terra, della messa di pasqua, festa solennizzata dalle scariche dell'artiglieria e chiusa con una danza guerriera eseguita colle spade sguainate, e con la erezione di una croce sur una montagna.
Gl'isolani accorsi in folla e arringati dal capitano per mezzo dello interprete, ripetevano tutti i movimenti degli Spagnuoli, come questi ultimi ripetevan quelli degli isolani.
Un fratello del re essendosi offerto al Magellano di guidarlo nei passi difficili fra quelle isole, il Magellano, onde abbreviare gl'indugi, inviò alcuni de' suoi ad ajutarlo nella raccolta del riso, ch'ei faceva e che prima voleva finire.
"Gli abitanti di quest'isola sono bevitori all'eccesso (dice il Pigafetta), e masticano sempre un frutto chiamato areca, che rassomiglia ad una pera, squartato, impolverato di calce e rinvolto in alcune foglie del medesimo albero detto betre (o betel), rassomiglianti alle foglie del moro: quando l'hanno, ben bene masticato, lo sputano e la bocca loro fassi tutta rossa.
Non è alcuno fra essi che non mastichi il frutto del betre, che a quanto pretendesi ristora il cuore; anzi assicurano che morirebbero se tentassero astenersene".
ISOLA DI ZUBU, E BATTESIMO DE' SUOI ABITANTI
Riprendendo il suo cammino a scilocco la piccola squadra passò fra cinque isole, ne incontrò altre tre, e arrivò la domenica del 7 aprile nel porto dal suo real pilota designato come il miglior luogo per gettar l'ancora e far traffico, nel porto di Zubu: l'arrivo fu festeggiato con una scarica generale d'artiglieria.
Rassicurato su ciò che significava quello strano saluto, il re di Zubu volle far pagare un diritto agli stranieri; il Sumatrese fu incaricato di negarlo, "offrendo a scelta la pace o la guerra".
Un negoziante mauro, o mussulmano, venuto quì da Siam, appressandosi allora al re; Signore (gli disse), badate a quello che fate; queste genti sono quelle stesse che hanno conquistato Calicut, Malacca e tutte le Grandi Indie!
La fama delle vittorie portughesi, qui volgeva a profitto degli Spagnuoli: e la dimane il re di Zubu domandava d'esser computato fra i tributari dell'imperatore.
Il Magellano altro non volle che il commercio esclusivo della sua isola: fece vedere al mercante mauro uno de' suoi uomini armato da capo a piè, e gli commise di dire al re di Zubu, che il mettere in fuga i nemici del suo re e della sua relazione, gli sarebbe così facile, quanto il rasciugarsi col suo fazzoletto il sudor della fronte.
Il Pigafetta inviato a terra in ambasceria per portare presenti al re, e stabilire le condizioni del trattato, fu in grado d'osservare l'interno della reggia e gli usi della sua mensa; ma queste particolarità ci porterebbero troppo lunge (sull'episodio leggi qui il testo originale del Pigafetta).
Il Magellano aveva ingiunto agli isolani di farsi battezzare insieme colle loror mogli, spiegando ad essi i numerosi vantaggi che da questa cerimonia trarrebbono; sicché "commossi e persuasi di quanto sentivano, risposero, che riponevano in lui ogni loro fiducia: laonde il capitano, piangendo di tenerezza, li abbracciò tutti".
Addì 14 aprile, fu innalzato un palco sulla piazza pubblica, precedentemente consacrata per la sepoltura di uno Spagnuolo: palco su cui il capitano ed il re si assisero sopra sedie di velluto verde e turchino, e di nuovo spiegaronsi per mezzo dell'interprete circa le conseguenze temporali e spirituali del battesimo: fu quindi piantata sulla piazza una gran croce, e fu pubblicata l'ingiunzione a tutti coloro che volevano abbracciare il cristianesimo di distruggere i propri idoli e di sostituirvi la croce.
"Il capitano, prendendo allora per mano il re, lo ricondusse verso il palco, e lì fu vestito tutto di bianco, e battezzato col re di massana, col principe suonipote, col mercante mauro, e con altri ancora in numero di cinquecento...Si celebrò quindi la messa.
"Dopo desinare andammo in gran numero a terra col nostro cappellano, per battezzare la regina ed altre donne...Battezzammo quel giorno oltre ottocento persone, uomini, donne, fanciulli; la regina, giovane e bella era vestita di un drappo nero e bianco, e portava un cappello a parasole sormontato da una triplice corona fatta di foglie di palmizio, che rassomigliava alla tiara del papa: aveva la bocca e le unghie tinte di rosso".
Nei giorni seguenti, tutti gli abitanti di Zubu e delle isole vicine furono battezzati.
"Vi fu tuttavia un villaggio (continua il Pigafetta), gli abitanti del quale ricusarono di obbedire al re ed a noi. Dopo averlo bruciato, piantammo sulle sue rovine una rcroce, in segno che era un villaggio di idolatri: se fosse stato un villaggio di mauri, vale a dire di maomettani, ci avremmo innalzata una colonna di pietra, per denotare la durezza del loro cuore".
Il capitano generale discendeva ogni giorno a terra per ascoltare la messa, catechizzando i nuovi Cristiani, ed in copia versando acqua di rose sui principi e sulle principesse. Le visite ed i regali ciascun dì succedevansi; gli Spagnuoli tenevano inoltre il loro mercato accanto alla croce, affettando prudentemente, dietro l'ordine rigoroso del capitano di non ricercar l'oro che veniva loro offerto da tutte le parti [in quest'isola di Zubu ebbero gli Spagnuoli i primi raggiagli sulle isole Mulocco o Molucche]. Solo un miracolo mancava per distaccare i nuovi cristiani dai loro idoli; e fu riconosciuto per miracolo la guarigione per opera di Magellano di un fratello del re , malatissimo.
MAGELLANO UCCISO IN BATTAGLIA
Il Magellano offriva cavallerescamente a tutti i suoi alleati il soccorso invincibile delle armi cristiane: un capo d'un'isola vicina lo prese alla parola, pregandolo di voler combattere di notte tempo un'altro capo suo rivale.
Addì 26 aprile 1521, il Magellano partì a mezzanotte con tre scialuppe, montate ciascuna da sessanta uomini armati di corazze e di caschi.
Il re di Zubu ed altri capi gli tenevano dietro con venti o trenta grandi battelli carichi di guerrieri.
Tre ore prima che spuntasse il dì, erano davanti all'isola: i loro avversari ricusarono la pace, ed ottennero che l'attacco fosse rimesso alla mattina allo spuntare del sole.
Undici persone restando a guardia delle scialuppe, quarantanove Europei soltanto sbarcarono.
Il Magellano volle che il re di Zubu restasse spettatore inattivo della pugna.
Ora lasciamo parlare Pigafetta [oltre che questo volgarizzamento del giografo Marmocchi si può comunque anche leggere qui il passo dell'uccisione di Magellano dall'arduo testo originale del Pigafetta]
"Trovammo, dice egli, gli isolani in numero di mille cinquecento, distribuiti in tre battaglioni, che piombaron su di noi con orribile strepito dai fianchi e di fronte. I moschettieri ed i balestieri tiraron alla lontana per una mezz'ora senza fare il minimo male ai nemici, od almeno pochissimo; le palle e le frecce avevano un bel forare i loro scudi di legno e ferirli nelle braccia, ciò non li arrestava: rassicurati dal timore di subita morte, che si erano aspettata, fidenti ora nel loro numero, facevan piover su di noi un nuvolo di strali da canna, di giavellotti di legno induriti al fuoco, di sassi e di terra eziandio; di guisa che ci era assai difficile il difenderci. Due strali ferrati all'estremità furono diretti contro il nostro capitano, il quale fece mettere il fuoco alle loro case. La vista delle fiamme li rese più furiosi: due de' nostri furono uccisi sulla piazza, dalla parte delle case incendiate; il numero degli assalitori sembrava aumentare, colla loro impetuosità. Una freccia avvelenata colpì in una gamba il capitano, il quale ci comandò di ritirarci lentamente ed in buon ordine; ma la maggior parte dei nostri prese precipitosamente la fuga, di maniera che non restammo che appena sette o otto col capitano.
Gl'Indiani vedendo che le nostre gambe erano senza difesa, non diressero altrove le loro frecce, lance e pietre: le bombarde delle nostre scialuppe non ci erano di nessuna utilità, non potendo abbastanza avvicinarsi alla ripa; ci ritiravamo a poco a poco combattendo sempre, e già l'acqua ci dava fino alle ginocchia e pugnavamo da circa un'ora, quando gl'isolani che conoscevano il nostro capitano, gli fecero due volte cadere il casco: egli non cedè e noi combattemmo in picciolissimo numero ai suoi fianchi. Un isolano finalmente riuscì a cacciar l'estremità della sua lancia nella fronte del capitano, ma questi passò da parte a parte colla sua l'aggressore, e gliela lasciò confitta nel corpo; volle allora sguainar la spada, ma non potè per aver il braccio destro gravemente ferito. Gl'Indiani che se ne accorsero avventaronsi tutti su di lui; uno di essi gli misurò tanto bene un colpo di sciabola sulla gamba sinistra che lo fece cader boccone: nel medesimo istante i nemici lo afferrarono e lo fecero a pezzi.
Così perì la nostra guida, il nostro lume, il nostro sostegno.
Alla sua morte dovemmo la nostra salute...Questa infelice battaglia fu data il 27 aprile 1521, di sabato, giorno scelto dal capitano medesimo, perché ne aveva particolar devozione. Otto de' nostri, e quattro indiani battezzati, periron con lui".
Quanto al suo corpo i vincitori non vollero renderlo.
DISERZIONE DELLO SCHIAVO SUMATRESE E MASSACRO DI VENTIQUATTRO SPAGNUOLI
Morto il padrone, viene in scena lo schiavo.
Il primo maggio, il re battezzato invita a desinare i primarii della flotta; ventiquattro vi si portano, e fra gli altri l'astronomo ed astrologo della spedizione, certo San Martino di Siviglia, che non avea indovinata la sorte che l'attendea.
Alcune gride avvertirono ben presto coloro che erano rimasti in mare.
Invano questi cannoneggiarono le case della riva.
Uno de' loro capitani, Giovanni di Serano, legato e ferito, fu condotto sulla spiaggia, e supplicavali di cessare il fuoco se non volevano vederlo uccidere come tutti gli altri; lo schiavo solo sopravvivea, libero e vendicato.
Un assai orrendo spettacolo rattristò la partenza della squadra.
Il Serano supplicava i suoi compatriotti di riscattarlo, con alcune mercatanzie; ma Giovanni Carvajo, quantunque suo compare, unito ad alcuni altri ricusarono di trattare del suo riscatto, e non permisero più alle scialuppe di avvicinarsi all'isola; "per la morte de' due governatori apparteneva ad essi il comando".
"Giovanni Serano (dice il Pigafetta) continuava ad implorare la pietà del suo compare, dicendo che lo avrebbono massacrato tosto che la flotta spiegherebbe le vele; ma vedendo infine inutile ogni sua preghiera, si abbandonò alle più terribili imprecazioni, e pregò Dio che nel giorno del giudizio facesse render conto dell'anima sua a Giovanni Carvajo, di lui compare; ma non fu ascoltato, e partimmo senza aver più avuto nessuna nuova di sua vita o di sua morte".
SCOPERTA DELLA GRANDE ISOLA DI BORNEO
Per mancanza di marinari bruciarono, a diciotto leghe da quel luogo, in una baja dell'isola di Bobol uno dei loro tre navigli, la Concezione: poi veleggiando ad austro libeccio, costeggiarono un'isola abitata da dei negri; e quindi giunsero nell'isola di Mindanao. Il re del luogo, come la maggior parte dei regnanti di cui abbiamo parlato, si trasse sangue da una delle sue braccia in segno di amistà, e gli Spagnuoli fecero la stessa cerimonia. Il Pigafetta, inviato a terra presso al re ed alla regina, vide strada facendo tre uomini appiccati ad un albero.
Ancorarono parimente all'isola di cagayan "popolata di Mussulmani esiliati da Burné o Borneo, che presero gli Spagnuoli per Santi"; e quindi si fermarono, a ponente libeccio, alla grande e fertile isola di palsan o di Paragnà: finalmente, dieci leghe più oltre a libeccio, i due navigli si trovarono al cospetto di una gran terra (l'isola di Borneo) che costeggiarono per lo spazio di cinquanta leghe. "Gettato che si ebbe l'ancora (dice il viaggiatore), suscitossi una gran tempesta, e vedemmo il fuoco di Sant'Elmo attaccato ai nostri alberi".
La dimane, il re inviò agli stranieri una bella piroga, carica di musici e di vecchi: la poppa e la prua erano ornate d'oro, ed a prua sventolava una bandiera bianca e turchina con un pennacchio di penne di pavone.
I vecchi presentarono agli Sagnuoli vasi di legno pieni di betel, di fiori d'arancio, di gelsomino, il tutto coperto da un drappo di seta gialla; presentarono quindi due gabbie piene di pollame, due capre, tre vasi di vino di riso, o meglio di alcool di riso e di canne di zucchero: offrirono ancora altri regali, a cui gli Spagnuoli corrisposero donando delle cose loro e ringraziando. Il regalo destinato al re consisteva in un abito alla turca di veluto verde; in una sedia di veluto di color violetto; in cinque braccia di drappo rosso; in un berretto; in una tazza di vetro dorato ed in un'altra di vetro col suo coperchio; in un calamajo dorato e in tre quaderni di carta. Quello destinato alla regina, in tre braccia di drappo giallo, in un pajo di scarpe inargentate, in un astuccio d'argento pieno di spilli ec. ec.
La consegna di questi presenti, eseguita il 16 luglio, fu preceduta da molte cerimonie.
Due elefanti bardati di seta vennero alla riva a cercare i deputati Spagnuoli; dodici uomini, portando i regali in grandi vasi di porcellana ["...avendo veduto a Burnè molta porcellana, volli, dice il Pigafetta, prendere alcuni ragguagli sopra di ciò. Mi fu detto, che la si fa con una specie di terra bianca, che si lascia stare sotto terra per un mezzo secolo onde raffinarla"], li guidarono per le strade della città [leggi per un approfondimento su ciò il testo del Pigafetta], fra due file di uomini armati di lance, e spade e mazze ferrate.
ACCOGLIENZA ORIENTALE
"Entrammo assisi sugli elefanti nel palazzo (dice il Pigafetta) e qui ponemmo il piè a terra: salimmo quindi per una gradinata accompagnati dal governatore e da alcuni uffiziali, ed entrammo in una gran sala piena di cortigiani, che chiameremo braoni del regno.
Colà ci assidemmo su tappeti, ed i regali furono messi presso di noi.
In fondo a questo salone era un'altra sala più piccola, addobbata di drappi di seta: furono alzate due cortine di broccato, che scoprirono due finestre per cui l'appartamento illuminossi. Quivi vedemmo trecento uomini della guardia reale, armati di pugnali, la punta dei quali essi appoggiavano sulla loro coscia. In fondo a questa sala era una gran porta, chiusa anch'essa per mezzo di una cortina di broccato, che tirata ci lasciò vedere il re ['questo re è mussulmano' dice il Pigafetta], assiso davanti ad una tavola con un bambino: ei masticava del betel; e dietro a lui non vi erano che donne.
Uno de' cortigiani ci avvertì che non eraci permesso parlare al re, ma che potevamo indirizzarci a lui, che trasmetterebbe la nostra domanda ad un cortigiano di un ordine superiore, il quale la passerebbe al fratello del governatore, che stava nella piccola sala, e questi per mezzo di un portavoce o ciarbottana posta in un foro della parete, la trasmetterebbe ad uno di coloro più vicini al re, il quale la riceverebbe da quest'ultimo.
Ci avvertì che bisognava facessimo tre reverenze al re, sollevando le mani giunte sopra il capo, ed alzando ora un piè ed ora l'altro. Avendo fatto le tre riverenze nel modo indicatoci, femmo sapere al re che noi eramo sudditi del monarca di Spagna, il quale desiderava vivere in pace con esso lui, e non richiedeva altra cosa che di potere trafficare nella sua isola.
Il re ci fece sapere essere egli contentissimo dell'amicizia del monarca di Spagna; che potevamo fornirci d'acqua e di legna ne' suoi stati, e trafficarvi a nostra volontà.
Gli offrimmo allora i doni che avevamo portati, e nell'accettare ciascuno di essi faceva un piccolo moto col capo. Dettero a ciascuno di noi del broccatello e stoffa d'oro e di seta, e fummo serviti di una colazione di garofani e di cannella; dopo di che furono ricalate le tende e chiuse le finestre.
Tutti coloro che erano nel palazzo del re avevano a cintola sciarpe di stoffa d'oro; portavan pugnali col manico d'oro guernito di perle e pietre preziose, e parecchi aveano in dito anelli. Risalimmo sui nostri elefanti e tornammo alla casa del governatore.
La pompa europea qui impallidiva davanti all'asiatica magnificenza.
Otto giorni appresso, i due navigli, vedendo giungere verso di loro centinaja di piroghe e paventando un tradimento spiegarono all'istante le vele, abbandonando perfino un ancora, e cannoneggiarono nella loro fuga parecchie grandi giunche, che sembravano venute per chiuder loro la via [testo originale del Pigafetta]
uccidemmo molta gente (dice il Pigafetta); quattro giunche divennero nostra preda, e quattro altre si salvarono arrenando sulla costa. Prendemmo il capitano generale di Borneo; ma il Carvajo, sedotto da una forte somma d'oro, gli rese segretamente la libertà.
ne fu però ben punito; poiché due Spagnuoli che erano a terra con suo figlio, e che il re averebbe forse cambiati col suo capitano, ora non volle renderli.
Sedici de' principali dell'isola e tre donne furono ritenuti a bordo per ostaggi.
I due navigli retrocederono cercando un luogo dove poter racconciarsi in pace, dannegiatissimi come erano tanto l'uno che l'altro; e catturate per istrada alcune piroghe, si fermarono tra il capo settentrionale di Borneo e l'isola di Cimbonbon, e feceròo colà, per quarantadue giorni consecutivi, le necessarie riparazioni [leggi anche il testo originale del Pigafetta]
Ciascuno di noi (dice il viaggiatore) lavorava più che poteva, chi in un modo e chi in un altro: ma ciò che più ci costava, era d'anadre a cercar il legname nelle selve, atteso l'essere tutto il terreno coperto di rovi, e di arbusti spinosi; e noi affatto scalzi".
Non starò a nominarvi tutte le isole che incontrarono sul loro cammino [oltre che il sunto del Marmocchi, cliccando qui, puoi leggere il testo originale del Pigafetta su questa parte del viaggio]: predarono qui una giunca ai ricchi proprietari della quale fecero pagare il riscatto, ma quindi li colmarono di doni, e lasciaronsi da buoni amici; in un altro luogo trafficarono in pace; uccisero un altro giorno sette di diciotto che stavano sur una gran barca. Frattanto vogavano alla ricerca delle Mollucche, dietro la fede de' loro prigionieri; singolar misto di fiducia e di diffidenza, di ladroneggi e di onestà.
LE ISOLE MOLUCCHE
"Il sabato 26 ottobre, sul far della notte, costeggiando l'isola di Biraham-Batolach, suscitossi (dice il Pigafetta [leggi il suo resoconto]) una terribile burrasca, durante la quale, ammainate tutte le nostre vel, pregammo Dio di salvarci; allora vedemmo in cima degli alberi de' navigli i nostri tre Santi che dissiparono l'oscurità: stettervi per più di due ore, sant'Elmo, sull'albero del mezzo, san Niccola su quel di mezzana, e su quel di trinchetto santa Chiara.
In riconoscenza della grazia che ci accordavano, promettemmo a ciascun di essi uno schiavo e lor facemmo pure un'offerta.
Ci fermammo per un giorno nell'isola di Sarangani, ed ivi prendemmo per forza due piloti purché ci conducessero alle isole Malucco"[leggi qui il resoconto del Pigafetta])
Il Pigafetta conta qui ancora un gran numero d'isole, eppoi aggiugne: "Il mercoledì, 6 novembre 1521, oltrepassate queste isole, ne riconoscemmo altre quattro molto alte, a quattordici leghe alla volta di levante.
Il pilota da noi preso a Sarangani ci disse, che erano le isole Malucco [anche qui puoi leggere la viva seppur ardua narrazione del Pigafetta]
Rendemmo allora grazie a Dio, e in segno di allegrezza eseguimmo una scarica di tutta la nostra artiglieria.
Non recherà meraviglia la somma gioja che provammo alla vista di queste isole, quando riflettasi che erano ventisette mesi meno due giorni che pellegrinavamo sul mare, nel qual tempo aveamo visitata un'infinità di isole sempre in cerca delle Molucche.
ISOLA DI TADOR O TIDOR. I PORTOGHESI VENUTI DA PONETE, SONO QUI INCONTRATI DAGLI SPAGNUOLI VENUTI DA LEVANTE. GLI EUROPEI HANNO QUINDI COMPITO IL GIRO DEL GLOBO
Addì 8 novembre, tre ore avanti il tramontar del sole, i due navigli entrarono in un porto dell'isola di Tadore (oggi Tidor); ancorarono presso terra, in venti braccia di acqua, ed annunziarono il loro arrivo con una scarica di tutta la loro artiglieria [leggi qui la dettagliata narrazione del Pigafetta]
Eccoci finalmente in quell'isola d'onde il Portoghese Francesco Serano aveva inviato al Magellano i segreti della navigazion portoghese [sul Serano o Serrano ancora leggi la narrazione del Pigafetta]
Il giro del globo (per gli Europei) è compito.
Quando gli Spagnuoli arrivarono il Serano era morto da otto mesi: il re di Tadore gli aveva dato veleno nel betel.
Le sette settimane che il Pigafetta passò a Tadore furono principalmente impiegate a consolidare la futura alleanza della Spagna col re di Tadore e delle quattro altre isole specialmente designate in quel tempo col nome di Molucche, a provvedere di viveri i due navili, ed a far acquisto d'un immenso carico di garofani.
Non starò a descrivervi le visite reciproche del re e de' capi Spagnuoli, ed i loro scambievoli doni; ciò saria un ripetere quanto intendeste più innanzi: solo noterò che qui non cercarono di convertire e battezzare quel re, che era mussulmano; quel re di cui accettano i giuramenti da lui fatti sul Corano e in nome d'Allah; quel re, pel quale infine (tanto potè sovr'essi l'incanto e l'attrattive di quest'isola dei garofani!) ebbero la compiacenza d'uccidere tutti i majali che erano a bordo de' navigli, ricevuta però (è d'uopo dirla) una larga ricompensa in capre e galline.
Addì 12 di novembre aprirono il mercato sotto una baracca fatta costruire dal re a tale effetto, ed ecco i pressi stabiliti pei loro baratti: quattrocento sei libbre di garofani per dieci braccia di buona stoffa rossa; altrettanto, per quindici braccia detta di mezza qualità; altrettanto, per quindici accette; altrettanto, per trentacinque tazze di vetro; altrettanto, per centocinquanta coltelli: altrettanto per cinquanta paja di cesoje, ec. ec. Gli ultimi giorni finirono coll'ottenere le quattrocento sei libbre di garofani per due braccia di nastro! Ciascun marinaio barattava le sue bagaglie coi garofani [il Marmocchi nel suo volgarizzamento del Pigafetta precisa che questi si recò a vedere e studiare le piante delle spezie e precisamente l'albero del garofano, della noce moscata, l'arbusto dello zenzero: comunque per un approfondimento di tutta questa vicenda e del soggiorno spagnolo nell'isola è sempre utile compulsare la pur difficile ma originale relazione del Pigafetta].
D'altronde un Portoghese stabilito da sedici anni nelle Indie e da dieci anni alle Molucche, loro persuadeva di troncare ogni indugio e accelerar la partenza, onde sfuggire alle ricerche che con ogni maggior sforzo i suoi compatriotti facevano per scoprire la piccola flotta del Magellano [scrive il Marmocchi: 'I Portoghesi, osservavano il più profondo silenzio sulla scoperta di queste isole. Il commercio cui aveano a cuor di tener, maggiormente nascosto agli Spagnuoli, era quello che facevano andando (in tre giorni) dalle isole Molucche a bandan, ed (in quindici) da bandan a Malacca].
Questo Portoghese (Pietro Alfonso di Lorosa) fornì agli Spagnuoli parecchi preziosi ragguagli su questi paraggi; ed alla fine si decise di imbarcarsi sulle loro navi [leggi in merito la narrazione del Pigafetta].
"Addì 16 dicembre (dice il Pigafetta) fornimmo le navi di nuove vele sulle quali erasi dipinta la croce di San Jacopo di galizia con questa iscrizione: questa è la figura de nostra buona ventura...il 17 imbarcammo su ciascuno de' nostri bastimenti ottanta botte d'acqua; il 18 tutti i preparativi della partenza erano terminati, e la Vittoria già solcava le onde, quando ci accorgemmo che nella nave Trinità entrava l'acqua [per intendere compiutamente la vicenda qui leggine anche il testo originale del Pigafetta]
Dopo molti inutili sforzi fatti per racconciarla, risolvemmo che la trinità rimarrebbe lì per essere totalmente risarcita, e che quindi anderebbe al Chilì od al Perù".
Il re disse allora che avea cinquanta legnajoli, e che tutti li impiegherebbe in questo lavoro sotto la direzione delle nostre genti: e promise che coloro i quali resterebbero nell'isola sarebber trattati come suoi propri figliuoli. Pronunziò tal parole con tanta emozione, che a tutti ci fece versar lacrime...[la Trinità - annota il Marmocchi- fu catturata a Tadore dai portoghesi].
La Vittoria troppo carica fu costretta di sbarcare sei mila libbre di garofani, e alcuni uomini del suo equipaggio voller piuttosto restare alle Molucche, che rischiare l'immenso viaggio che ancor rimaneva a fare per giungere in ispagna: Giovanni carvajo vi rimase con altri cinquantatre uomini.
Il 21 dicembre, di sabato, giorno di San Tommaso, dopo avere aspettato le lettere di coloro che rimanevano, la Vittoria (munita di due piloti indiani bene e debitamente pagati), la Vittoria accomiatossi dalla Trinità con una reciproca scarica d'artiglieria.
"I nostri connazionali (dice il Pigafetta) ci seguirono fin dove poterono colla loro scialuppa, e finalmente ci separammo piangendo".
L'equipaggio componevasi di quarantasette Europei e di tredici Indiani.
Il Pigafetta da pochi ragguagli sul restante del viaggio: d'altronde non dovette aver cosa di rilievo da notare, perché i suoi compagni poco curaronsi d'allora innanzi di raccogliere curiosi fatti, paventando dovunque il rincontro de' portoghesi, e forzati come furono ad evitare per ciò le coste dell'India, che avrebbero fornito soggetto di raconti meravigliosi al Narratore.
Il Pigafetta non fa che registrare tutto ciò che i piloti indiani gli dissero di vero e di falso intorno a Celebes, a Giava, alla Cina: narra d'uomini e di donne d'un cubito d'altezza, e munite di orecchia tanto lunghe che una serve ad esse di materassa mentre l'altra lor fa da coperta; narra di donne arse sul rogo del lor marito; d'isole popolate di donne fecondate dal vento; del grande albero degli uccelli, i quali soggiugne, che sono così robusti da portar nell'aria un elefante, ec. ec ec. [leggasi comunque da questo punto la narrazione originale del Pigafetta sin all'approdo in un porto spagnolo della superstite nave Vittoria]
La Vittoria dirigendosi da Tadore (o Tador) alla volta di libeccio, passò prima fra numerose isole, eppoi per consiglio degl'Indiani dette fondo a Sullach (o Xulla), isola popolata d'antropofagi, quindi ancorò nell'isola di Bura; poscia il 10 gennaio 1522 dopo sofferta una terribile tempesta, sostò nell'isola di Mallua, popolata di antropofagi "più somiglianti (dice il Pigafetta) a bestie selvagge anzi che ad uomini...Tosto che, egli aggiunge, le loro donne ci scorsero, avanzaronsi verso di noi coll'arco alla mano in minaccioso atteggiamento".
Alcuni piccoli doni addolciron pertanto la loro indole selvaggia, e permisero all'equipaggio di poter racconciare i fianchi del naviglio.
Addì 25 gennaio gli Spagnuoli arrivarono all'isola di Timur (ditsante cento leghe ad austra-libeccio di Mallua) ove imposero, per procurarsi viveri, una ingiusta tassa ad un capo amichevolmente venuto a visitarli: ma quindi lo rappacificarono con alcuni doni.
Il martedì, 11 febbraio (continua il Pigafetta), lasciammo l'isola di Timor ed entrammo in alto-mare.
Per superare il tremendo capo di Buona Speranza ci avanzammo fino al grado 42 di latitudine australe, e per nove settimane fummo costretti a restare fermi davanti a questo Capo, colle vele ammainate, a cagione dei venti di ponente e di maestrale che soffiarono costantemente, e che finirono per suscitare una terribile tempesta...Il capo di Buona Speranza è il capo più grande ed il più pericoloso della terra. Alcuni fra di noi, e soprattutto i malati, avrebbe voluto prender terra a Mozambico (dove è uno stabilimento portoghese) a cagione dell'acqua che faceva il navilio, del freddo penetrante che risentivamo, e sopra ogni altra cosa perché non avevamo più nè da bere nè da mangiare fuori che riso ed acqua: ogni altra vettovaglia, che, per mancanza del sale, non aveamo potuto salare era putrefatta...
Alla fine, coll'ajuto di Dio, superammo, il 6 maggio, questo terribile capo; ma ci fu d'uopo accostarcisi alla distanza di cinque leghe, altrimenti non lo avremmo mai passato.
Pnemmo in seguito la prua a maestrale e ce la tenemmo per due mesi interi, senza mai prender riposo; ed in questo intervallo perdemmo ventun'uomo tra Cristiani ed Indiani...Mancavamo totalmente di viveri, e se il cielo non ci avesse accordato un tempo favorevole, saremmo tutti morti di fame".
Addì 9 luglio in giorno di mercoledì, scuoprirono finalmente l'isole del capo Verde, ed ancoraronsi nell'isola di sant'Jacopo appartenente come le altre al Portogallo.
Per ottener viveri in cambio delle loro merci, dovettero spacciarsi per gente che venivano d'America: così per due volte la scialuppa ritornò piena di riso; ma alla terza (tradita da un marinaro) la scialuppa ed i tredici uomini furono ritornati prigionieri dai Portoghesi dell'isola.
"Per vedere (dice il Pigafetta) se i nostri giornali erano stati tenuti esattamente, facemmo dimandare a terra qual giorno della settimana fosse: ci fu risposto esser giovedì; il che molto ci sorprese, in quanto chè, secondo i nostri giornali, noi eravamo al mercoledì e non al giovedì. Non potevamo persuaderci che ci fosse a tutti intravvenuto d'ingannarci di un giorno, ed io, ne fui più sorpreso degli altri, perché essendo stato sempre sano abbastanza per tenere conto esatto del mio giornale, aveva, senza interruzione segnato il giorno della settimana, e quello del mese. Si seppe in seguito, che non avevamo errato nel nostro calcolo, perché avendo noi sempre viaggiato alla volta di ponente, seguendo il corso del sole, ed essendo ritornati nel punto dond'eramo partiti, dovevamo aver guadagnato ventiquattro ore su coloro che erano rimasti fermi [E' chiaro che il sole aveva fatto per loro un giro di meno che per cli altri, poiché avevano compito essi medesimi una volta lo stesso giro del sole: supponendo che il sole giri attorno alla terra, e parlando secondo le apparenze = Marmocchi].
Grazie alla Provvidenza, il sabato 6 settembre entrammo nella baia di san Lucar; di sessanta che eravamo quando partimmo dalle isole Molucche, si era ridotti a soli diciotto, la maggior parte malati. Alcuni erano fuggiti nell'isola di Timor; altri per delitti vi furono condannati a morte; altri infine eran periti di fame.
Dalla nostra partenza da San Lucar infino al nostro ritorno, contammo aver percorso oltre quattordicimila sessanta leghe, e fatto l'intero giro del globo, procedendo sempre da levante a ponente.
Addì 8 settembre gettammo l'ancora presso al molo di Siviglia, e scaricammo tutta la nostra artiglieria.
Il mercoledì, 19 detto, sbarcammo tutti in camicia, e a piedi scalzi andammo, con un cero in mano, a visitar la chiesa di Nostra Donna della Vittoria, e quella di Santa Maria d'Antigua, come aveamo promesso di fare nei momenti del maggior periglio...".
La nave Vittoria fu religiosamente conservata a Siviglia! e finalmente sfasciossi per vetustà.
Quanto poi alle pretensioni degli Spagnuoli sulle isole Molucche, la cosa finì così: i Portoghesi persisterono, non senza ragione, a sostenere, che queste isole erano situate nell'emispero aloro dai pontefici assegnato; e ventiquattro astronomi e piloti spagnuoli e portoghesi, scelti per esaminare questa lite, conchiusero, dopo molte discussioni, che non poteva esser decisa che a cannonate. L'imperatore e re Carlo V finì però la cosa amichevolmente, vendendo a Giovanni III di Portogallo i suoi pretesi diritti sulle Molucche, per la somma di 150 mila piastre.