cultura barocca
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CREDITI 10

Sacrobosco, Ioannes : de fu astronomo e matematico inglese fiorito nel 1230, nato a Holywood, oggi Halifax, morto a Parigi nel 1244 o nel 1256.
Sulle edizioni compaiono le forme nominali Ioannes de Sacro Bosco; Giouanni Sacrobosco; Ioannes de Sacro Busco; Ioannes de Sacrobusto, Ioannes de Sacro Busto, Giouanni di Sacrobosco; Sacro Bosco; Giouanni di Sacrobusto; Giouanni Sacrobusto
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Aprosio ne la "Biblioteca Aprosiana" dichiara di possedere una sua opera basilare: cioè la "Sfera" o De sphaera mundi, sorta di compendio del celebre testo tolemaico (Almagestum) diviso in quattro capitoli in cui si definisce la Terra come una sfera immobile, posta al centro del firmamento, secondo il sistema tolemaico-aristotelico , sono spiegati i circoli, equinoziale, celestiale, il primum mobile, l'eclittica dello zodiaco, ed ancora si discute su i sette climi, il movimento del Sole e dei pianeti allora conosciuti, le cause delle eclissi lunari e solari, formano il capitolo IV.
Quella di Aprosio è però un'edizione seicentesca: certo di valore non pari all'edizione veneziana del De sphaera mundi di Giovanni Sacrobosco, datata 28 (o 30) febbraio 1488 (come si evince dal colophon) e che si apre con una tavola silografica, realizzata presumibilmente nello stesso periodo in cui fu stampato l'incunabolo.
Nel XVI secolo l'opera prese ad affermarsi e noi abbiamo in particolare studiata questa bella edizione cinquecentesca.
Nell'opera Giovanni Sacrobosco cerca a tutti i costi di costruire un collegamento tra se stesso e Tolomeo Claudio, volendo meritarsi una onorevole postazione nell'ambito dell'astronomia, quale "scopritore di astri" che in effetti mai scoprì.
Fu comunque un serio studioso di Tolomeo e dei suoi commentatori arabi del XIII secolo, soprattutto Al-Battani e Al-Farhani.
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Si indicano come i sette sapienti greci o i sette savi alcuni filosofi dell'antica Grecia, in particolare del VI sec. a.C., che venivano dai loro contemporanei riconosciuti come tali. Tale riconoscimento non è però unanime, la lista dei nomi varia infatti a seconda dell'autore che la scrive. Sono sempre gli stessi i primi quattro. Essi sono:
Solone da Salamina
Talete di Mileto
Biante di Priene
Pittaco da Mitilene
Cleobulo da Lindo
Chilone di Sparta
Misone di Chene
Platone, che fu il primo ad enumerare i sette saggi (in ), li elenca così:
Di questi vi era Talete di Mileto, Pittaco di Mitilene, Biante di Priene, il nostro Solone, Cleobulo di Lindo, Misone di Chene e per settimo si diceva ci fosse anche Chilone spartano.
Diogene Laerzio nelle sue vite dei filosofi ragguaglia invece le successive elaborazioni di tale lista:
Questi erano ritenuti i (sette) saggi: Talete, Solone, Periandro, Cleobulo, Chilone, Biante, Pittaco. A questi aggiungono Anacarsi lo scita, Ferecide il siriaco, Epimenide il Cretese. Alcuni poi anche Pisistrato il tiranno
Del pensiero dei sette sapienti non ci è giunta alcuna opera, né è possibile identificarne alcun tratto comune. Ci sono giunte tuttavia alcune massime, che si caratterizzano per la loro lapidaria laconicità. Fra queste, ricordiamo:
Conosci te stesso
Nulla di troppo
Ottima è la misura
Non desiderare l'impossibile
Da questi brevi frammenti, che in pratica inaugurano la storia del pensiero occidentale, ci è possibile intravedere la formazione di un sapere di tipo etico, che si distacca dalla religione omerica tradizionale per assumere i connotati propri di un sapere oggettivo e razionale, tipicamente filosofico.


Davide fu un personaggio biblico dell'Antico Testamento. Le sue vicende, facenti parte dell'epica ebraica, sono raccontate nel primo e nel secondo libro di Samuele e nel Primo libro dei Re. Secondo re d'Israele, sarebbe vissuto nella prima metà del X secolo a.C. La descrizione che ne fa la Bibbia è quella di un personaggio dal carattere complesso, capace di grandi crudeltà e generosità, dotato di spregiudicatezza politica e umana ma al tempo stesso in grado di riconoscere i propri limiti ed errori.
Secondo la Bibbia, il pastore Davide - "fulvo di capelli e di bell'aspetto" - era figlio di un efraitita da Betlemme di Giuda di nome Jesse. Entrato a servizio di Saul primo re d'Israele, come citarista per rallegrarne l'umore, depresso a causa di uno spirito negativo, Davide venne quindi unto segretamente dal profeta Samuele su ordine divino come re d'Israele a causa della "perversione" di Saul.
Caravaggio:Davide e GoliaL'episodio biblico più famoso riguardante Davide è quello dello scontro con Golia, il gigante filisteo che terrorizzava e insolentiva gli ebrei, sfidandoli a duello. Dopo quaranta giorni Davide accettò la sfida e riuscì, grazie all'astuzia, ad avere la meglio sulla forza, tramortendo Golia con un sasso lanciato da una fionda e poi decapitandolo con la spada del gigante. La vittoria lo rese popolare presso gli ebrei e gli valse l'amicizia di Gionata, figlio del re Saul. Successivamente Davide sposerà la figlia del re, Micol.
La crescente fama di Davide ingelosì Saul che tentò di ucciderlo con una lancia. Davide fuggì, conducendo una vita da bandito e chiedendo anche ospitalità agli alleati dei filistei.
Davide venne poi eletto re di Giuda e, dopo la morte del successore di Saul, anche d'Israele. In questa veste conquistò Gerusalemme, diede impulso allo sviluppo della città, preparò la costruzione del tempio per l'arca dell'alleanza, e condusse vittoriose e spietate guerre contro le popolazioni nemiche (filistei, ammoniti, moabiti, ecc).
Nell'ultima parte della vita Davide, pur avendo un numeroso harem, si invaghì di Betsabea, moglie del suo ufficiale Uria l'Hittita. Per non avere intralci lo fece morire mandandolo a combattere in guerra. Il pentimento di Davide per questa azione, dopo che il profeta Natan gli avrebbe rimproverato la sua colpa, sarebbe all'origine del Miserere, uno dei più famosi Salmi. Tragica fu anche la fine del figliastro Assalonne che sarebbe stato ucciso dopo essersi rivoltato contro di lui. Alla morte del re gli sarebbe successo al trono il figlio Salomone, avuto da Betsabea.
La memoria liturgica ricorre il 29 dicembre.
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Pentesilea (con le varianti Pantasilea e Pentasilea) è una figura della mitologia greca, figlia di Ares e di Otrera.
Fu regina delle Amazzoni e accorse in aiuto di Priamo durante la guerra di Troia. Dove venne uccisa da Achille che, colpito dal suo coraggio, fece restituire il suo corpo ai troiani affinché le dessero una meritata sepoltura.
Versioni succesive, indicano che Pentesilea uccise incidentalmente Ippolita, la regina delle amazzoni precedente a lei, venendo purificata da Priamo. Per sdebitarsi, Pentesilea si unì ai troiani contro gli achei.
È citata da Dante Alighieri nel Limbo dei grandi spiriti del passato accanto ad un'altra vergine-guerriera come Camilla (Inf. IV, v. 124).
Essa e conosciuta anche nella letteratura spagnola (citata per esempio nel poema epico catalano del Tirant lo Blanc di Joanot Martorell, pubblicato nel 1490). Il mito fu riproposto anche in una tragedia di Heinrich von Kleist (1808).
E' citata nell'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo (Libro Terzo, Canto I, ottava 28), dove viene detto che alla morte di Ettore entrò in possesso della sua spada, quella che sarà poi chiamata Durindana.


I Samaritani (dall'ebraico shamerim, cioè "osservanti della Legge") sono i membri di una comunità ebraica in Terrasanta. L'omonima città e regione (Samaria (oggi Nablus, in Cisgiordania) da loro prende il nome. Origine
Da un punto di vista strettamente storico i Samaritani sono i discendenti di quanti, fra le popolazioni ebraiche delle nove tribù del regno settentrionale di Israele, rimasero sul posto al momento della deportazione delle elites urbane esiliate dagli assiri (Sargon II si vanta in una sua iscrizione di avere deportato dalla regione in tutto 27.290 persone, quindi palesemente non l'intera popolazione). Questa popolazione di "rimasti", si fuse nel corso dei secoli con una parte delle popolazioni pagane a loro volta deportate in Israele.
Tuttavia secondo quanto afferma la Bibbia, per la quale solo i discendenti delle due tribù del Regno di Giuda erano i "veri" e "puri" ebrei dopo l'Esilio babilonese, i samaritani erano i discendenti unicamente degli stranieri pagani deportati in Israele nel 721 AC, per sostituire le popolazioni ebraiche totalmente deportate.
La visione biblica contrasta però con la persistenza nei territori dell'ex Regno di Israele, anche durante il periodo esilico, sia della cultura materiale esistente prima della conquista assira (il che indica che le popolazioni erano le stesse), sia soprattutto del culto di YHWH (peraltro considerato "illegittimo" dai compilatori dei libri biblici post-esilici).
La Bibbia spiega tale persistenza con una visione divina che aveva insegnato ai popoli pagani nuovi arrivati il culto yahwista, dopo la totale scomparsa degli ebrei dal paese. Ovviamente da un punto di vista strettamente storico si trattò invece di un classico fenomeno di assimilazione dei nuclei stranieri da parte delle popolazioni già esistenti in luogo, numericamente prevalenti.
Nella realtà storica gli ebrei di Samaria, lungi dal convertirsi al paganesimo o abbandonarsi al sincretismo, secondo l'accusa rivolta loro da alcuni ebrei di Giuda, si preoccuparono di preservare il culto di YHWH, fino ad arrivare a costruire (in una data non determinabile del IV secolo a.C.) un loro tempio, separato da quello di Gerusalemme, sul Monte Garizim, officiato da sacerdoti di retta discendenza aronnica.
Inoltre i samaritani hanno sempre osservato i precetti mosaici così come espressi nel Pentateuco, e si sono sempre considerati discendenti di Abramo e quindi eredi del suo patto con YHWH. Di più: secondo la versione samaritana della storia, sono stati semmai i Giudei a deviare dalla retta religione, "aggiungendo" innovazioni "devianti" alla corretta fede mosaica, di cui ovviamente loro si ritengono i soli ed ultimi depositari.
Dopo l'esilio babilonese
Secondo la versione dei fatti fornita dalla Bibbia, dopo il ritorno dall'esilio, i Samaritani tentarono di opporsi alla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, e sotto Antioco IV si allearono con i pagani contro i giudei.
Tuttavia la Bibbia stessa ammette che le "genti del paese" (am aaretz), cioè i discendenti di coloro che non erano stati mandati in esilio mescolati con i popoli deportati in Israele, offrirono la loro collaborazione per costruire assieme il Tempio e officiarlo assieme. Solo quando i "ritornati" resero chiaro che non intendevano mescolarsi con le "genti del paese" (considerate "razzialmente impure" per i loro matrimoni con non-ebrei), costoro assunsero un atteggiamento ostile, appellandosi al sovrano persiano perché fermasse la costruzione del Tempio - ma anche la fortificazione militare di Gerusalemme, correttamente letta come un'intenzione di dominio sulla regione circostante.
Questo è il quadro che emerge dal racconto biblico, che però semplifica in pochi episodi un processo che fu molto meno lineare ed univoco di quanto racconti il testo che abbiamo recepito. Lo stesso caos in cui ci sono pervenuti i due libri principali sul ritorno dall'Esilio, il Libro di Esdra e il Libro di Neemia, ricchi di anacronismi e contraddizioni, mostra che essi sono una compilazione "a posteriori" e molto rimaneggiata di una storia che fu molto più complessa di quanto ci sia stato tramandato.
Ad esempio, il fatto che i Samaritani abbiano adottato come loro la redazione del Pentateuco elaborata dai Giudei durante l'esilio (sia pure epurandola in seguito per mostrare che il "vero" culto era quello sul Monte Garizim, non quello di Gerusalemme), mostra che almeno all'inizio ci fu un'intesa pacifica fra le due popolazioni dei "rimasti" e dei "ritornati", e un profondo scambio culturale.
La Bibbia giudaica stessa conserva tracce di un dibattito, che fu sicuramente aspro, fra il partito politico dei ritornati che volevano fondersi coi "rimasti", e quello dei ritornati che intendevano mantenere la separazione assoluta dalle "genti del Paese" come condizione per preservare la purezza del culto ebraico. Il Libro di Rut rappresenta per esempio una voce dissenziente, che mostra una donna non ebrea, vedova di un ebreo, mentre si comporta in modo esemplare verso l'ebraismo e il popolo ebraico, tale da meritarsi di diventare bisnonna del re-eroe Davide (la polemica politica in questo punto doveva essere palese ai destinatari dello scritto, anche se oggi a noi può sfuggire). La presenza di questo ed altri testi nel canone biblico dimostra che il partito politico di cui erano l'espressione fu a lungo sufficientemente forte da impedirne la messa al bando prima che diventassero "canonici".
Se dunque i libri della Bibbia scritti dopo l'esilio presentano la decisione di separare la comunità giudaica dei "ritornati" da quella delle "genti del paese" come una decisione chiara, netta, presa senza tentennamenti, la documentazione storica - a iniziare proprio della Bibbia - mostra che essa fu la conclusione finale di un lungo scontro politico che per un lungo periodo iniziale sembrò far prevalere il partito della fusione fra i "rimasti" e i "ritornati".
Quale che sia il modo in cui si svolse lo scontro, è la Bibbia stessa ad attestare che, quando fu imposto a tutti i membri della classe sacerdotale di cacciare le loro mogli non ebraiche e i figli avuti da loro, un sacerdote che non volle sottostare a questa imposizione considerava i samaritani sufficientemente "ebrei" ed "ortodossi" da fuggire presso di loro con la famiglia, garantendo così la continuazione della linea sacerdotale legittima al culto del loro Tempio.
Quanto all'ostilità fra le due confessioni religiose, essa è un dato di fatto storicamente accertato, ma nel giudicarla vanno tenuti in considerazione anche elementi quali il fatto che alla fine non furono i pagani bensì i Giudei a radere al suolo il tempo di Samaria (sotto Giovanni Ircano, nel 123 a.C.).
Gesù e i samaritani
Al tempo di Gesù, l'ostilità fra giudei e Samaritani è ancora viva, i samaritani vengono considerati scismatici, se non veri e propri pagani. Gesù stesso (Matteo10,5) proibisce ai suoi discepoli di predicare in città samaritane, trattandole come ostili a priori. Ma è proprio per questo motivo che Gesù, raccontando la parabola del buon samaritano, sceglie uno di loro come esempio per spiegare l'attenzione che bisogna avere verso il prossimo (Luca 10,25-37), mostrando che è preferibile un "eretico" "senzadio" come un samaritano, ma che si comporta con amore verso il prossimo, di quanto non siano dei sacerdoti, le cui convinzioni siano del tutto ortodosse ma che si comportano senza alcuna carità verso il loro prossimo. Il vero credente, per questa parabola, è chi nelle azioni fa le cose giuste, e non chi si reca al culto nel tempio più "ortodosso". La parabola perde quindi oggi una parte del suo significato se si trascura il carattere di "miscredenza" che la parola "samaritano" portava con sé presso la mentalità ebraica ortodossa.
Lo stesso vale per l'episodio della "samaritana al pozzo" (Giovanni 4), il cui comportamento è ancora più "paradossale" in quanto lei, "miscredente" se non "pagana", è capace di comprensione di cose che i credenti ortodossi, che pure hanno avuto l'educazione necessaria per comprenderle, non arrivano a capire.
Ancora in Luca 17,11-19, quando Gesù guarisce dieci lebbrosi, uno solo di loro è capace di gratitudine e va da lui a ringraziarlo, ed è un samaritano.
Gesù stesso (Giovanni 8,48) è accusato dai suoi nemici di essere o posseduto dal diavolo, oppure samaritano.
Samaritani e Giudei
L'ebraismo di discendenza giudaica, che è quello praticato ormai da tutti gli ebrei del mondo ad eccezione di appena un migliaio di samaritani, ha respinto fin da dopo l'Esilio lo status ebraico dell'ebraismo di discendenza israelitica, giudicando gli ebrei samaritani scismatici, stranieri, pagani, impuri; la loro ebraicità era considerata incerta da alcuni rabbini del periodo talmudico, che li accusavano di adorare le colombe; il matrimonio tra ebrei e samaritani era proibito.
Oggi una piccola comunità di un migliaio di samaritani, di lingua araba, ancora guidata da una gerarchia sacerdotale, sacrifica l'agnello pasquale sul monte Garizim, luogo santo samaritano da oltre due millenni, vicino a Nablus. I Samaritani possiedono una loro versione del Pentateuco, che interpretano letteralmente, e anche se non considerano i Profeti e gli Agiografi come testi sacri, credono nel messia e nella resurrezione. Buona parte delle discordanze fra la versione samaritana del Pentateuco e quella giudaica mira peraltro a stabilire sul monte Garizim, anziché sul Monte del Tempio di Gerusalemme, il "vero" luogo del culto di YHWH. Come altri settari posteriori, quali i Sadducei e i Caraiti, anche i samaritani possiedono un loro calendario.
Significato moderno In Svizzera vengono anche così chiamati i volontari che si rifanno agli ideali di Henri Dunant, che è pure il fondatore della croce rossa. Il movimento samaritano [1] si occupa di diffondere nozioni basilari e approfondite sul primo soccorso, in particolar modo impartisce corsi soccorritori, obbligatori per ottenere la licenza di condurre. I corsi dai samaritani sono riconosciuti dall'associazione internazionale ResQu
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SUPERBIA: Nella religione cattolica è uno dei sette vizi capitali (lussuria, accidia, gola, avarizia, invidia, ira, superbia), contrapposti alle tre virtù teologali (fede, speranza e carità) e alle quattro virtù cardinali (giustizia, fortezza, temperanza, prudenza). Il superbo tende a comportarsi in maniera scorretta perché ritiene di essere migliore degli altri, che cerca costantemente di dominare anche psicologicamente, godendo nel farli sentire dei pusillanimi al suo confronto sì da poterne condizionare la vita.
I simboli che nell'arte accompagnano la raffigurazione della superbia sono generalmente il pavone, lo specchio (nel quale a volte si scorge il riflesso di Satana: sullo
specchio le dissertazioni aprosiane sono peraltro estesissime) e il pipistrello.
Nell'iconografia rinascimentale può capitare anche di trovarla con attributi come il leone o l'aquila.
Cesare Ripa autore molto stimato da Aprosio nella sua Iconologia (le voci sono in ordine alfabetico) dà di tale vizio questa definizione:
SUPERBIA.
Donna, bella, & altera, vestita nobilmente di rosso, coronata d'oro di gemme in gran copia, nella destra mano tiene un Pavone, & nella sinistra uno Specchio, nel qual miri, & contempli se stessa.
La Superbia, come dice S. Bernardo, è un appetito disordinato della propria eccellenza, & però suol cadere per lo più ne gli animi gagliardi, & d'ingegno instabile. Quindi è, che si dipinge bella, & altera, & riccamente vestita.
Lo Specchiarsi, dimostra, che il Superbo si rappresenta buono, & bello à se stesso vagheggiandosi in quel bene, che è in sé, co'l quale fomenta l'ardire senza volger giamai gli occhi all'imperfettione, che lo possono molestare.
Però si assimiglia al Pavone, il quale compiacendosi della sua piuma esteriore, non degna la compagnia de gli altri uccelli.
La Corona, nel modo detto, dimostra, che il Superbo è desideroso di regnare, & dominare à gli altri, &, che la Superbia è regina, overo radice, come disse Salomone, di tutti i vitij, &, che frà le corone, & nelle grandezze si acquista, & si conserva principalmente la Superbia di che porge manifesto essempio Lucifero, che nel colmo delle sue felicità cadde nelle miserie della Superbia. Però disse Dante nel 29. del Paradiso:
Principio del cader fù il maladetto
Superbir di colui, che tu vedesti
Da tutti i pesi del Mondo costretto.
Et però si dice per Proverbio: A cader va chi troppo in alto sale.
Il vestimento rosso, ci fà conoscere, che la Superbia si trova particolarmente ne gli huomini colerichi, & sanguigni, li quali sempre si mostrano alteri, sforzandosi mantenere questa opinione di se stessi con gli ornamenti esteriori del corpo
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Beccari, Antonio , Scala di profecto spirituale uulgare opera fructuosissima de bellissimi et suauissimi spirituali fiori exornata. Composta per el V.P. frate Antonio da Ferrara de lordine de predicatori: ... - (Impressa nellalma et inclita citta di Bologna : per Hieronymo di Benedicti, 1514. adi. xvi. di magio = 84 c. ; 4 - Antonio da Ferrara è il nome assunto da Antonio Beccari nell'ordine domenicano - Segn.: A-F8G4H-K8L-M4 La c. H3 segnata con una ripetuta H2 - Impronta - n-ub r-no e.o- decu (C) 1514 (R) - Localizzazioni: Biblioteca municipale Antonio Panizzi - Reggio Emilia - Biblioteca universitaria di Padova - Padova - PD - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - 2 esemplari di cui 1 mancante del fasc. A e della c. B1; B2 mutila Biblioteca statale - Cremona - Biblioteca Estense Universitaria - Modena - Biblioteca nazionale universitaria - Torino - Biblioteca comunale Ariostea - Ferrara - Biblioteca comunale Augusta - Perugia


Cangemo, Francesco , Breuisampla methodus pro morbis humani corporis in particulari curandis secundum recentiorum vsum. Ad medicorum maius commodum disposita elaborato studio Fr. Francisci Cangemii de Terranova .. , Romae : typis Angeli Bernabo a Verme, 1658 : [12], 318, [2] p. ; 8o.- Segn.: 4 a A-V8 - Stemma calcogr. del dedicatario Pietro Ottoboni sul front Ultima carta bianca - Impronta - o-u- 0.8. acel Etma (3) 1658 (R) - un esemplare anche alla Biblioteca della Accademia Lancisiana - Roma


Uwens, Jan Baptist (Uvenius - Uwenius), Ioannis Bapt. Vweni Antuerpiensis e Societ. Iesu Commentarius litteralis et moralis in Ionam prophetam per lectiones siue sermones exegeticos 60. distibutus, Antuerpiae : apud Ioannem Meursium, 1640 : xlviij, 640, [116] p. : front. calcogr. ; fol. - Con il testo del libro di Giona Segn.: a-d6 A-3F6 3G-3H4 3I-3R6 3S4 - altri esemplari in Biblioteca universitaria di Cagliari - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - 2 esemplari


Gorgia nato a Leontini (odierna Lentini), città della Sicilia (al tempo parte della Magna Grecia) intorno al 483 a.C., nel 427 prese parte a una ambasceria ad Atene per richiedere aiuti militare nella guerra in corso contro Siracusa. Gli Ateniesi rimasero grandemente colpiti dalla sua abilità oratoria, tanto che Gorgia si fermò ad Atene, dove si diede all'insegnamento della retorica, che gli fruttò fama e ricchezza notevoli. Tipico dell'oratoria di Gorgia era l'ampio uso di complesse figure retoriche, desunte dal linguaggio poetico ed epico. Morì in Tessaglia intorno al 375 a.C., più che centenario. Si tramanda fosse stato discepolo del filosofo naturalista Empedocle e che fosse stato in contatto anche con la scuola eleatica di Parmenide. Opere principali di Gorgia sono l'Encomio di Elena e Sul non essere o sulla natura. L'attribuzione della prima, tuttavia, è incerta. Il contenuto della seconda ci è tramandato tramite una parafrasi di Sesto Empirico. Nella prima opera Gorgia difende Elena dall'accusa di essere stata causa della guerra di Troia, con la sua decisione di tradire il marito Menelao e seguire Paride. Elena è innocente, perché fece quel che fece o mossa da un principio a lei superiore (che si tratti degli dei o della Necessità), o rapita con la forza, o persuasa da discorsi, o vinta dall'amore. In ogni caso il movente rimane esterno alla sua responsabilità.
Nella seconda opera Gorgia dimostra, tramite procedimenti di reductio ad absurdum, tre ipotesi:
Nulla è.
Se anche qualcosa fosse, non sarebbe conoscibile.
Se anche qualcosa fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile.
Le interpretazioni di Gorgia si possono dividere fondamentalmente in due tipi, a seconda che si considerino le sue opere scritte con intento serio o ironico. Nel secondo caso, difatti, il trattato Sul non essere sarebbe unicamente una parodia delle dottrine e dello stile argomentativo tipico di Parmenide e della sua scuola e non, piuttosto, una presa di posizione convinta che invece farebbe di Gorgia, secondo alcuni, un precursore del nichilismo.
Gorgia, a differenza di alcuni filosofi di epoca successiva come Platone, ha una buona opinione dell'arte. Infatti sostiene che se esistesse l'essere, l'arte sarebbe solo una sua imitazione imperfetta, ma siccome l'essere non esiste, l'artista è un creatore di mondi. Quindi il bravo artista è colui che riesce ad ingannare gli spettatori facendoli partecipi delle proprie opere, mentre il buono spettatore è colui che riesce a cogliere il messaggio dell'opera d'arte.
Opere conservate: Sul non essere o sulla natura
Encomio di Elena
In difesa di Palamede
L'attribuzione a Gorgia di queste due ultime è discussa.
Opere conservate in frammenti:
Epitaffio per i morti della guerra del Peloponneso
Opere perdute:
Discorso Olimpico
Discorso Pitico
Encomio di Elide
Si presume inoltre che Gorgia avesse redatto diversi manuali di retorica contenenti numerose orazioni da memorizzare come esempi.
[testo da Wikipedia, l'enciclopedia libera on line"]


Najera, Manuel : de<1604-1680>, De' Discorsi morali sopra tutti li giorni di Quaresima, del P. Emmanuel di Naxera ... Trasportati dalla lingua spagnuola nell'italiana dal signor Girolamo Brusoni. Parte prima -seconda.. , Venetia : per il Baba, 1655 : 2 v. ; 4 - Michel & Michel v. 6 p. 9 - Stampato da Francesco Baba il cui nome compare nella dedica datata: Venezia 6 settembre 1655 - altri esemplari custoditi in Biblioteca universitaria di Cagliari - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - Biblioteca statale del Monumento nazionale di Casamari - Veroli - FR - Biblioteca Ludovico Jacobilli del Seminario vescovile - Foligno - PG - Biblioteca Porziuncola - Assisi - Biblioteca nazionale Marciana - Venezia


Bibbia
Ester 1:1-22
1 Ora avvenne ai giorni di Assuero, cioè l’Assuero che regnava dall’India all’Etiopia, [su] centoventisette distretti giurisdizionali, 2 [che] in quei giorni, mentre il re Assuero sedeva sul suo trono reale, che era a Susa il castello, 3 nel terzo anno del suo regno tenne un banchetto per tutti i suoi principi e i suoi servitori, le forze militari della Persia e della Media, i nobili e i principi dei distretti giurisdizionali davanti a sé, 4 quando mostrò le ricchezze del suo glorioso regno e l’onore [e] la bellezza della sua grandezza per molti giorni, centottanta giorni. 5 E quando questi giorni si compirono, il re tenne un banchetto di sette giorni per tutto il popolo che si trovava a Susa il castello, sia per il grande che per il piccolo, nel cortile del giardino del palazzo del re. 6 C’erano lino, cotone fine e panno turchino tenuti stretti in funi di tessuto fine, e lana tinta di porpora rossiccia in anelli d’argento e colonne di marmo, divani d’oro e d’argento su un pavimento di porfido e marmo e madreperla e marmo nero.
7 E si passava [il vino] da bere in vasi d’oro; e i vasi erano diversi l’uno dall’altro, e il vino reale era in gran quantità, secondo i mezzi del re. 8 Riguardo al tempo di bere secondo la legge, non c’era nessuno che costringesse, poiché questo era il modo in cui il re aveva disposto per ogni uomo grande della sua casa, che si facesse a piacimento di ciascuno.
9 Inoltre, Vasti la regina tenne essa stessa un banchetto per le donne nella casa reale che apparteneva al re Assuero.
10 Il settimo giorno, quando il cuore del re era allegro per il vino, egli disse a Meuman, a Bizta, ad Arbona, a Bigta e ad Abagta, a Zetar e a Carcas, i sette funzionari di corte che servivano la persona del re Assuero, 11 di condurre davanti al re Vasti la regina con l’ornamento reale sulla testa, per mostrare ai popoli e ai principi la sua bellezza; poiché era di bell’aspetto. 12 Ma la regina Vasti continuò a rifiutarsi di venire alla parola del re che era [comunicata] per mezzo dei funzionari di corte. A ciò il re si indignò grandemente e il suo medesimo furore divampò dentro di lui.
13 E il re diceva ai saggi che avevano conoscenza dei tempi (poiché in questo modo la faccenda del re [venne] davanti a tutti quelli versati nella legge e nel diritto, 14 e i più vicini a lui erano Carsena, Setar, Admata, Tarsis, Meres, Marsena, [e] Memucan, sette principi di Persia e di Media, che avevano accesso presso il re, [e] che sedevano primi nel regno): 15 “Secondo la legge, che cosa si deve fare alla regina Vasti perché non ha eseguito la parola del re Assuero per mezzo dei funzionari di corte?”
16 A ciò Memucan disse davanti al re e ai principi: “Non è solo contro il re che Vasti la regina ha agito male, ma contro tutti i principi e contro tutti i popoli che sono in tutti i distretti giurisdizionali del re Assuero. 17 Poiché il fatto della regina verrà risaputo da tutte le mogli così che disprezzeranno i loro proprietari ai loro propri occhi, quando diranno: ‘Il re Assuero stesso disse di condurre Vasti la regina davanti a lui, ed essa non venne’. 18 E in questo giorno le principesse di Persia e di Media, che hanno udito il fatto della regina, parleranno a tutti i principi del re, e ci sarà molto disprezzo e indignazione. 19 Se al re in effetti sembra bene, esca dalla sua persona una parola regale, e si scriva fra le leggi di Persia e di Media, affinché non sia abrogata, che Vasti non venga davanti al re Assuero; e il re dia la dignità regale di lei a una delle sue compagne, a una donna migliore di lei. 20 E il decreto del re che egli farà si dovrà udire in tutto il suo regno (poiché esso è vasto), e tutte le mogli stesse renderanno onore ai loro proprietari, sia al grande che al piccolo”.
21 E la cosa piacque agli occhi del re e dei principi, e il re faceva secondo la parola di Memucan. 22 Mandò dunque documenti scritti a tutti i distretti giurisdizionali del re, a ciascun distretto giurisdizionale nel suo proprio modo di scrivere e a ciascun popolo nella sua propria lingua, perché ogni marito agisse di continuo come principe nella sua propria casa e parlasse la lingua del suo proprio popolo.


GASPARE MORARDO nato ad Oneglia nel 1741 (scomparso poi nel 1817) fu precettore di Maria Pellegrina Amoretti parimenti onegliese, una delle prime donne che si laurearono ufficializzando i nascenti passi dell'"emancipazione femminile": il Morardo era peraltro coetaneo del fratello di Maria Pellegrina cioè di Carlo Amoretti. Il Morardo entrò nell'Ordine religioso degli Scolopi, si dedicò all'insegnamento e soprattutto rivelò particolare adesione alle idee illuministiche sin al segno di partecipare alle esperimentazioni del giacobinismo subalpino come peraltro si evince anche da lavori di di recente e sopratutto recentissima pubblicazione vale a dire Ravano, Maria Ada, L'educazione militare nella concezione di Gaspare Morardo In Giornale storico e letterario della Liguria nuova serie. Diretta da F.L. Mannucci e U. Formentini, A. 11, fasc. 2 (apr./giu. 1935), p. 95-101 e Paola Trivero, Commedie giacobine italiane, Alessandria : Edizioni dell'Orso, 1992. - IX, 104 p. ; 25 cm. (In appendice: Il pranzo patriottico di Milano, di Gaspare Morardo) [ISBN-10 8876940987]
I suoi dichiarati atteggiamenti a favore delle innovazioni democratiche gli causarono però la necessità di lasciare la Religione e contestualmente, onde sfuggire agli strali inquisitoriali, di scrivere opere anonime: ciò non impedì che di lui alcune opere fossero poste all'Indice dei Libri Proibiti e che ancora fossero registrate nell'ultimo Indice editato, quello del 1948 laddove appunto del MORARDO risultano ancora vietate queste tre pubblicazioni.
[Morardo, Gaspare], L' arte di conservare ed accrescere la bellezza delle donne scritta da un filantropo subalpino , Torino : presso Michelangelo Morano, mercante librajo tra S. Rocco e S. Francesco, l'anno XI della Rep. Franc. [1800-1801] ([Torino] : Stamperia Guaita), 248 p. ; 8° [attuali localizzazioni note: Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano - Biblioteca Reale - Torino - - Biblioteca storica della Provincia di Torino - Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'educazione dell'Università degli studi di Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino].
[Morardo, Gaspare], La chiesa subalpina l'anno 12. della Repubblica Francese ..., Torino : presso Michelangelo Morano Librajo tra s. e s. Francesco, Anno 10. i.e. 1802 (Stamperia Guaita) [ Il nome dell'AUTORE si legge a p. 3 - Localizzazioni note: Biblioteca di storia moderna e contemporanea - Roma - Biblioteca Reale - Torino - Biblioteca storica della Provincia di Torino - Torino - Biblioteca della Fondazione Luigi Einaudi - Torino - Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'educazione dell'Università degli studi di Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino ].
Una Opera Omnia del Morardo (1821, quindi postuma) di cui non si son trovati reperti allo stato attuale delle ricerche: sempre che non sia una ristampa aggiornata dell'opera, qui sotto poi elencata, Memoria ragionata di fatti memorandi relativi all'Ateneo di Torino e catalogo storico di tutte le opere dell'autore con molte interessanti notizie di storia patria Pubblicazione: Torino : presso i principali libraj, anno XII, 1804, (Torino : dalla stamperia di Giacomo Fea, 1804)
L'elenco delle sue numerose opere denota peraltro da solo l'idea progressista e giacobina dell'autore:
Morardo, Gaspare, Lettera di Gaspare Morardo professore emerito di filosofia nell'universita degli studi a Carlo Luigi detto Buronzo del Signore ..., Grenoble : Presso il cittadino mercante librajo nella piazza della Costituzione, anno VIII della Repubblica Francese [1799 o 1800] (Grenoble : De l'Imprimerie Ferry rue Chenoise, an. 8. de la Republique Francaise) [Localizzazioni: Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino]
[Morardo, Gaspare], De' predicatori dell'Avvento e della Quaresima discorso di G.M. alla commissione esecutiva, Torino : Presso Michel-Angelo Morano, anno IX repubblicano (1800 o 1801) [Il nome dell'AUTORE in calce - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino]
[Morardo, Gaspare], Parere di un amico del buon senso intorno alle odierne questioni teologiche, Torino : dalla stamperia di V. Bianco ; presso Michel Angelo Morano, contrada di S. Rocco accanto S. Francesco, 1808 [Il nome dell'AUTORE si ricava a p. 91 - Localizzazioni: Biblioteca provinciale dei Frati Minori Cappuccini - Torino - Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'educazione dell'Università degli studi di Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino]
[Morardo, Gaspare], Confessione di Carlo Emanuele per grazia de' buoni sardi re di Sardegna e abusivamente re di Cipro e di Gerusalemme al popolo piemontese umiliata a Pio 7..., Roma : presso Monaldini, 1800 Descrizione fisica: 45, 1 p. ; 8 [Il nome dell'AUTORE in G. Morardo, Memoria ragionata di fatti memorandi relativi all'Ateneo di Torino e Catalogo storico di tutte le opere dell'autore con molte interessanti notizie di storia patria, Torino, dalla stamperia di Giacomo Fea, anno XII, 1804, p.98 - Localizzazioni: Biblioteca di storia moderna e contemporanea - Roma
Morardo, Gaspare, De' testamenti. Opera politico-morale di Gaspare Morando | delle Scuole Pie... Quarta edizione, Firenze : dalla Stamperia del giglio, 1799 v.s [Localizzazioni: Biblioteca di storia moderna e contemporanea - Roma
Morardo, Gaspare, Del culto religioso e de' suoi ministri. Pensieri liberi di Gaspare Morardo diretti ai rappresentanti de' popoli liberi Torino : presso Michel Angelo Morano librajo vicino a S. Rocco, 1799 [Localizzazioni: Biblioteca del Seminario vescovile - Asti - Biblioteca di storia moderna e contemporanea - Roma - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino ]
[Morardo, Gaspare], Quali esser debbano le donne in tempo di guerra, Torino : presso Michelangelo Morano mercante libraio vicino S. Francesco, 1794 (Torino : dalla stamperia Mairesse) [ Il nome dell'autore in G. Morardo, Memoria ragionata di fatti memorandi relativi all'Ateneo di Torino e Catalogo storico di tutte le opere dell'autore con molte interessanti notizie di storia patria, Torino, dalla stamperia di Giacomo Fea, anno XII, 1804, p. 85-86 Numeri: Impronta - romi o.ei onoa cogi (7) 1791 (R) - Localizzazioni: Biblioteca di storia moderna e contemporanea - Roma - Biblioteca storica della Provincia di Torino - Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'educazione dell'Università degli studi di Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino ]
Morardo, Gaspare, La riforma degli studi d'Italia di Gaspare Morardo ... Torino : presso Michel Angelo Morano, anno VII rep. <1799> [ Localizzazioni: Biblioteca romana e emeroteca - Roma] Morardo, Gaspare, La riforma degli studj d'Italia di Gaspare Morardo ... Torino : presso Michel Angelo Morano mercante librajo vicino a s. Francesco, anno VII rep. [1799] (dalla stamperia Denasio) [ Localizzazioni: Biblioteca storica della Provincia di Torino - - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino ] [Morardo, Gaspare], La damigella istruita, In Torino : dalla stamperia Mairesse : presso presso Michel'Angelo Morano mercante libraio vicino a S. Francesco, 1787 [Per il nome dell'A., Gaspare Morardo, cfr. Melzi G., Dizionario opere anonime e pseudonime, v. 1, p. 273 [ Localizzazioni: Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'educazione dell'Università degli studi di Torino]
Morardo, Gaspare, La filosofia militare di don Gaspare Morardo delle scuole pie, regio professore di filosofia, e socio di varie accademie. Tomo 1. (-3.), Torino : presso i fratelli Reycends mercanti libraj sul principio di contrada Nuova, 1785-1786 (Nella Stamperia degli eredi Avondo) [ Localizzazioni: Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli ] Morardo, Gaspare, Dell'emigrazione de' popoli nell'invasion de' nemici. Disertazione di Gaspare Morardo onegliese delle scuole pie ..., [Torino] : presso Michel Angelo Morano mercante librajo in Torino vicino a S. Francesco (Mondovi : nella stamperia Rossi, 1795) [ Localizzazioni: Biblioteca storica della Provincia di Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino]
[Morardo, Gaspare], Confessione di Carlo Emanuele per grazia de' buoni sardi re di Sardegna e abusivamente re di Cipro e di Gerusalemme al popolo piemontese umiliata a Papa Pio 7... Edizione: 1. ed. torinese dopo quella di Roma, Torino : presso Michel'Angelo Morano, 1801 [ Opera di Gaspare Morardo, cfr. Catalogo storico di tutte le opere dell'autore con molte interessanti notizie di storia patria, Torino, dalla stamperia di Giacomo Fea, anno XII, 1804, p. 98 - Localizzazioni: Biblioteca civica centrale - Torino - Biblioteca storica della Provincia di Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino
Morardo, Gaspare, Catalogo storico di tutte le opere date sinora alla luce dal cittadino Morardo ... Grenoble : presso il cittadino Falcon mercante libraio nella Piazza della costituzione, 1800 (Grenoble : de l'Imprimerie Ferry rue Chenoise) [ Localizzazioni: Biblioteca Reale - Torino]
Morardo, Gaspare, Del lusso. Dissertazione di Gaspare Morardo professore emerito di filosofia dottore del collegio ... diretta ai rappresentanti de' popoli liberi, Pubblicazione: Torino : presso Michel Angelo Morano librajo vicino a s. Francesco [Data presunta di stampa: 1799; a p. 14, data di emanazione: anno 7. della Repubbl. franc., e primo della liberta piemont. (i.e. 1799) - Localizzazioni: - Biblioteca civica centrale - Torino - Biblioteca della Fondazione Luigi Einaudi - Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino ]
[Morardo, Gaspare], La damigella istruita, In Torino : dalla stamperia Mairesse : presso Francesco Destefanis mercante librajo in Dora Grossa quasi rimpetto alla torre, 1787 [Per il nome dell' A., Gaspare Morardo cfr. Melzi, Diz. op. anonim. e pseud., v. 1, p. 273 [ Localizzazioni: Biblioteca provinciale dei Frati Minori Cappuccini - Torino].
Morardo, Gaspare, L' uomo guidato dalla ragione. Etica dimostrativa di Gaspare Morardo D'Oneglia ... Tomo primo [-terzo]... Edizione seconda, In Venezia : nella stamperia Fenzo, 1784 [ Localizzazioni: Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III - Napoli - Biblioteca del Seminario Vescovile - Bedonia - PR - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma ]
Morardo, Gaspare, Saggi poetici nella nativita del Signore dedicati a monsignor arcivescovo e senatore Giacinto della Torre da Gaspare Morardo ..., Torino : presso Michel'Angelo Morano librajo accanto a s. Francesco, 1807 [ Localizzazioni: Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'educazione dell'Universià degli studi di Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino ]
Morardo, Gaspare, L' Uomo guidato dalla ragione etica dimostrativa di Gaspare Morardo d'Oneglia ... Tomo primo (-terzo) ... Prima edizione napoletana, Napoli ; presso Giuseppe M. Porcelli Libraro e Stampatore della R. Accad. Militare, e del Regio Officio delle Poste : a spese di Saverio D'Onofrio, 1794 [ Localizzazioni: Biblioteca capitolare - Benevento - Biblioteca provinciale - Foggia - Biblioteca del Seminario Vescovile - Bedonia - PR ]
Morardo, Gaspare, Alla commissione esecutiva in difesa del cittadino Didier orazione estemporanea di Gaspare Morardo ..., Torino : Dalla Stamperia Benfa' e Ceresola, anno IX [1800 o 1801] [ Localizzazioni: Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino]
Morardo, Gaspare, Titolo: Come e quale debba essere l'indennizzazione dei danni sofferti dai patrioti pensieri di Gaspare Morardo ... Torino: Dalla Stamperia Benfa' e Ceresola : gia Mairesse, [anno VIII della R. Fr. (1799 o 1800)] - Localizzazioni: Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino
Tipo documento: Testo a stampa Gautier, Michele, Lettere del cittadino Michele Gautier al cittadino Gaspare Morardo volumetto primo, Torino : dalla stamperia Davico e Picco [ Localizzazioni: Biblioteca del Seminario vescovile - Asti - Biblioteca Reale - Torino ]
Morardo, Gaspare, Memoria ragionata di fatti memorandi relativi all'Ateneo di Torino e catalogo storico di tutte le opere dell'autore con molte interessanti notizie di storia patria , Torino : presso i principali libraj, anno XII, 1804, (Torino : dalla stamperia di Giacomo Fea, 1804) [ Nell'antip. ritratto inciso di Gaspare Morardo - Gran parte dell'opera e occupata da brani di opere e lettere di Gaspare Morardo - A p. 69: catalogo storico di tutte le opere di Gaspare Morardo - Localizzazioni: - Biblioteca civica - Mondovi' - CN - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano - Biblioteca di storia moderna e contemporanea - Roma - Biblioteca romana e emeroteca - Roma - Biblioteca Reale - Torino - TO - Biblioteca nazionale universitaria - Torino - Biblioteca storica della Provincia di Torino - Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'educazione dell'Università degli studi di Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino - Biblioteca dell'Istituto internazionale Don Bosco - Torino]
[Morardo, Gaspare], L' arte di viver sano e lungamente, Torino : nella stamperia d'Ignazio Soffietti ; presso Gaetano Balbino mercante librajo in Dora grossa vicino alla torre, 1782 [Note Generali: Per il nome dell'a., Gaspare Morardi, cfr. Melzi, I, 91 - Localizzazioni: Biblioteca del Polo di medicina legale, anatomia patologica e storia della medicina dell'Università degli studi di Padova - Biblioteca del Seminario Vescovile - Bedonia - PR - Biblioteca comunale Manfrediana - Faenza - RA - Biblioteca Casanatense - Roma - Biblioteca provinciale dei Frati Minori Cappuccini - Torino - Biblioteca storica della Provincia di Torino - Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino ]
L'analisi delle opere e la comparizione o meno del NOME DELL'AUTORE si colloca, come risulta evidente, attraverso il tempo sì che dagli anni '80 del XVII secolo -in cui per gli scritti più pungenti pare preferire l'anonimato a fronte delle possibili persecuzioni- nel periodo della dominazione francese il MORARDO ostenta pubblicamente i suoi dati onomastici.
Ma vi sono ancora altre considerazioni da svolgere; il docente originario di Oneglia pubblica a più riprese con un particolare "editore" vale a dire Bernardino Tonso di Torino; e così troviamo stampate:
Morardo, Gaspare, La filosofia militare di don Gaspare Morardo delle scuole pie, regio professore di filosofia, e socio di varie accademie. Tomo 1. (-3.) , Torino : presso Bernardino Tonso mercante librajo in Dora-Grossa, 1785-1786 (Nella stamperia degli eredi Avondo) [ Localizzazioni: Biblioteca civica - Biella - Biblioteca comunale Sperelliana - Gubbio - Biblioteca Reale - Torino - Biblioteca storica della Provincia di Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino - Biblioteca del Seminario arcivescovile - Torino]
Morardo, Gaspare, De' testamenti. Opera politico-morale di Gaspare Morardo d'Oneglia delle Scuole pie, Torino : dal Mairesse ; presso Bernardino Tonso mercante librajo in Dora-Grossa verso piazza Castello, 1790 [ Localizzazioni: Biblioteca del Seminario vescovile - Biella - Biblioteca civica Sacharov - Saluzzo - CN - Biblioteca di giurisprudenza e scienze politiche dell'Università degli studi di Urbino - Biblioteca storica della Provincia di Torino - Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'educazione dell'Università degli studi di Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino ]
Morardo, Gaspare, L' uomo guidato dalla ragione etica dimostrativa di Gaspare Morardo ... Parte prima (-terza), Torino : dalla stamperia d'Ignazio Soffietti : si vendono da Bernardino Tonso librajo, 1780-1781 [ Localizzazioni: Biblioteca del Seminario vescovile - Biella - Biblioteca comunale Labronica Francesco Domenico Guerrazzi. Sezione dei Bottini dell'olio - Livorno - Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano - Biblioteca comunale Manfrediana - Faenza - RA - Biblioteca comunale Classense - Ravenna - RA - Biblioteca nazionale universitaria - Torino - Biblioteca storica della Provincia di Torino - Biblioteca del Dipartimento di scienze dell'educazione dell'Università degli studi di Torino - Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino - Biblioteca del Seminario arcivescovile - Torino - Biblioteca della Fondazione Luigi Firpo. Centro di studi sul pensiero politico - Torino ]
[Morardo, Gaspare], La damigella istruita, In Torino : dalla stamperia Mairesse : presso Bernardino Tonso mercante libraio in Dora Grossa vicino Piazza Castello, 1787 [ Localizzazioni: Biblioteca civica Giovanni Canna - Casale Monferrato - AL - Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano - Biblioteca del Centro teologico - Torino - Biblioteca storica della Provincia di Torino ]
[Morardo, Gaspare], La damigella istruita, In Torino : dalla stamperia Mairesse : presso Gaetano balbino Mercante Librajo in Dora Grossa vicino alla Torre, 1787 [ Altre emissioni recano sul front.: presso Bernardino Tonso mercante libraio in Dora Grossa vicino Piazza Castello e presso Francesco Destefanis mercante librajo in Dora Grossa quasi rimpetto alla torre - Per il nome dell'A. cfr. Melzi, Diz. op. anonim. e pseud., v. 1, p. 273 - Localizzazioni: Biblioteca dell'Accademia delle scienze - Torino ]
Il citato Pregio della donna oue si notano alcune donne de' tempi antichi, mezzani, del presente secolo, e viuenti celebri in virtu, e scienza ... risulta edito a Torino : Nella Stamperia Reale ; Presso Bernardino Tonso Libraio in Dora Grossa, 1783 [Localizzazioni note oltre al volume qui presentato: Biblioteca comunale - Palazzo Sormani - Milano - Biblioteca APICE - Archivi della parola, dell'immagine e della comunicazione editoriale - dell'Università degli studi di Milano
- Biblioteca romana e emeroteca - Roma ].


Jeroen Anthoniszoon van Aken, detto Hieronymus Bosch o Jeroen Bosch, ('s Hertogenbosch 1450 circa - agosto 1516) è stato un pittore fiammingo.
Firmò alcuni dei suoi dipinti con Bosch (pronunciato come Boss in Olandese). In spagnolo viene spesso chiamato El Bosco; in italiano è talvolta designato come Bosco di Bolduc (da Bosch e Bois le Duc, traduzione francese di 's Hertogenbosch = Bosco Ducale, città natale di Bosch).
Protagonista dei suoi dipinti è l'umanità, che attraverso il peccato è condannata all'Inferno; l'unica via che sembra suggerire l'artista per redimersi si trova sia nelle tavole con la vita dei santi, attraverso l'imitazione della loro vita dedita alla meditazione anche se circondati dal male, sia nelle tavole con la Passione di Cristo, attraverso la meditazione sulle pene sofferte dal Cristo, per riscattare dal peccato universale il genere umano, che porta all'immedesimazione stessa del riguardante e alla salvezza. Negli ultimi anni della sua attività lo stile di Bosch cambiò ed egli creò dipinti con un numero inferiore di figure e più grandi che sembrano staccarsi dal dipinto e avvicinarsi all'osservatore. Bosch non datò mai i suoi dipinti e ne firmò solo alcuni. Il re Filippo II di Spagna comprò molti dei lavori di Bosch dopo la morte del pittore; come risultato, il Museo del Prado di Madrid possiede oggi diversi delle sue opere più famose.


GAURICO, POMPONIO: umanista nato a Gauro [Salerno] nel 1481 circa e morto a Castellammare di Stabia [Napoli] nel 1530. Insegnò greco e latino all’Università di Napoli tra il 1512 e il 1519. Oltre agli studi letterari, nutrì interesse anche per l’architettura e per l’alchimia. Tra le sue opere, ricordiamo il dialogo De sculptura (Firenze, 1504), il De poetica (Roma, 1541) oltre a ventinove elegie, quattro egloghe, tre selve e degli epigrammi pubblicati nel 1526 a Napoli nella raccolta Carmina. Morì, misteriosamente, durante un viaggio tra Salerno e Castellammare.


Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Summula casuum conscientiae, continens breuem & accuratam explicationem praeceptorum decalogi. Authore d. Petro a S. Ioseph, fuliensi. [Pars I-II!, Lugduni: Beaujolin, Antoine & Goy, Michel, 1666
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea theologiae speculatiuae, paucis multa complectens de Deo, de Christo, de angelis, & de gratia. ... Authore D. Petro a S. Ioseph, Fuliensi, Lugduni: Beaujollin, AntoineGoy, Michel, 1666
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea theologiae speculatiuae. Paucis multa complectens de Deo, de Christo, de angelis, & de gratia .... Authore D. Petro a S.to Joseph ...., Parisiis: Josse, Georges <1.>, 1647
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea theologiae speculatiuae paucis multa complectens, de Deo, de Christo, de angelis, & de Gratia. ... Authore d. Petro a s.to Ioseph, Fuliensi, Parisiis, 1640
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea philosophiae moralis, seu ethica, paucis multa complectens de beatitudine, de actibus humanis, & de virtutibus moralibus. Pars quarta totius philosophiae. Auctore D. Petro a Sancto Ioseph Fuliensi, - Parisiis: Iosse, Georges, 1654
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, 2: Pars 2. in qua agitur de praeceptis ecclesiae, de officio confessarij, ac de censuris. Authore D. Petro a Sanctoioseph fuliensi. A mendis quam plurimis accuratissime expurgata, - Lugduni: Beaujolin, Antoine & Goy, Michel, 1666
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea philosophiae universalis, seu metaphysica, paucis multa complectens de rationibus universalibus rerum. Pars secunda universae philosophiae. Auctore D. Petro a Sancto Ioseph, Fuliensi, - Coloniae Agrippinae, 1671
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea theologiae moralis. Paucis multa complectens de legibus, de peccatis, de virtutibus theologicis ... Authore d. Petro a S.to Ioseph ..., Parisiis: Josse, Georges <1.>, 1645
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Summula casuum conscientiae, continens breuem & accuratam explicationem praeceptorum decalogi. Authore d. Petro a S. Ioseph. ..., Parisiis: Josse, Georges <1.>, 1647
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, 2: Pars 2. In qua agitur de praeceptis ecclesiae, de officio confessarij, ac de censuris. Authore d. Petro a S. Ioseph ..., Parisiis, 1647
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Theses vniuersae theologiae, speculatiuae, sacramentalis, & moralis. Authore d. Petro a S.to Ioseph ..., Pariis: Josse, Georges <1.>, 1648
Idea theologiae sacramentalis. Paucis multa complectens de sacramentis in genere, & in specie ... Authore d. Petro a Sancto Ioseph ..., Parisiis: Pierre : de St . Joseph < 1594, 1662 ?>Josse, Georges <1.>, 1649
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea theologiae moralis, paucis multa complectens de legibus, de peccatis, de virtutibus theologicis; ac de iustitia erga Deum, & homines; authore D. Petro a So. Fuliensi, - Lugduni: Iullieron, Guichard, 1652
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea philosophiae rationalis, seu logica, paucis multa complectens de iis quae spectant ad mentis directionem. Pars prima totius philosophiae. Auctore D. Petro a Sancto Fuliensi, - Lugduni: Andre, Pierre, 1671
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea theologiae sacramentalis, paucis multa complectens de sacramentis in genere, & in specie. ... Authore d. Petro a Sto. Ioseph Fuliensi, Lugduni: Huguetan, Jean <4.>, 1652
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea philosophiae naturalis, seu Physica, paucis multa complectens de iis quae spectant ad cognitionem rerum naturalium. Pars tertia totius philosophiae. Auctore d. Petro a Sancto Ioseph Fuliensi, - Parisiis, 1654
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Catechisme des partisans, ou resolutions theologiques touchant l'imposition, leuees & employ des finances .., Paris, 1649
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea theologiae Sacramentalis, paucis multa complectens de sacramentis in genere, & in specie, Lugduni: Beaujollin, AntoineGoy, Michel, 1666
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea philosophiae moralis, seu ethica, paucis multa complectens de beatitudine, de actibus humanis, &v de virtutibus moralibus. Pars quarta totius philosophia. Auctore D. Petro a Sancto Iosepho Fuliensi, - Parisiis: Iosse, Georges, 1659
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea philosophiae vniuersalis seu metaphysica, paucis multa complectens de rationibus vniuersalibus rerum. Pars secunda vniuersae philosophiae. Auctore D. Petro a Sancto Ioseph Fuliensi, - Parisijs: Josse, Georges <1.>, 1654
Pierre : de St. Joseph <1594-1662?>, Idea theologiae sacramentalis. Paucis multa complectens de sacramentis in genere, & in specie. Authore d. Petro a Sto Ioseph Fuliensi, Parisiis, 1640
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, L' aduocat de sainct Pierre et de ses successeurs contre l'aduocat non aduoue de sainct Paul. Ou Examen du liure qui porte pour titre, De l'authorite de S. Pierre, & de S. Paul. Par P.S.I, - A Paris: Iosse, Georges, 1685
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea theologiae speculatiuae, paucis multa complectens de Deo, de Christo, de angelis, & de gratia. / Authore d. Petro a s.to Ioseph, Fuljensi, Lugduni: La Riviere, Claude, 1652
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea theologiae moralis, paucis multa complectens de legibus, de peccatis, de virtutibus theologicis; ac de iustitia erga Deum, & homines; authore D. Petro a Sancto Ioseph Fuliensi, - Lugduni: Beaujollin, AntoineGoy, Michel, 1666
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Theses vniuersae theologiae speculatiuae, sacramentalis, & moralis. Auctore D. Petro a S. Ioseph, Fuliensi, Lugduni: Beaujollin, AntoineGoy, Michel, 1666
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea philosophiae rationalis seu logica, paucis multa complectens, de iis quae spectant ad mentis directionem. Pars prima totius philosophiae. Auctore D. Petro a Sancto Ioseph Fuliensi, - Parisiis: Iosse, Georges, 1654
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, 1: Continens breuem & accuratam explicationem praeceptorum decalogi. Authore d. Petro a S. Ioseph. ..., Parisiis, 1647
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea theologiae speculatiuae. Paucis multa complectens de Deo, de Christo, de angelis, & de gratia .... Authore D. Petro a S.to Joseph ...., Parisiis: Josse, Georges <1.>, 1641
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea philosophiae rationalis seu logica paucis multa complectens de iis quae spectant ad mentis directionem. Pars prima <-quarta> totius philosophiae. Auctore D. Petro a Sancto Ioseph Fuliensi... Pars prima <-quarta>, Lugduni: Andre, Pierre, 1672
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea theologiae speculatiuae paucis multa complectens de Deo, de Christo, de Angelis, & de Gratia. ... Authore D. Petro a Sancto Ioseph Fuliensi. Theologiae pars 1., 4 , Editio 4. Indice rerum locupletissimo illustrata, - Parisiis: Josse, Georges <1.>, 1642
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, 2: Idea theologiae sacramentalis. Paucis multa complectens de sacramentis in genere, & in specie. ... Auctore D. Petro a Sancto Ioseph, Fuliensi, Parisiis: Josse, Georges <1.>, 1642
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, 3: Idea theologiae moralis. Paucis multa complectens de legibus, de peccatis, de virtutibus theologicis; ac de iustitia erga Deum, & homines. ... Auctore D. Petro a Sancto Ioseph, Fuliensi. Tertia pars, - Editio 4: Josse, Georges <1.>
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, 4! Theses vniuersae theologiae speculatiuae, sacramentalis, & moralis. Auctore D. Petro a Sancto Ioseph, Fuliensi, Parisiis: Josse, Georges <1.>, 1642
Pierre : de St. Joseph<1594-1662?>, Idea theologiae speculatiuae paucis multa complectens de Deo, de Christo, de Angelis, & de Gratia., [Parigi!., [14!, 392+ p. ; 12 =Descrizione basata su esemplare mutilo., Tit. da c. A1r., Il nome dell'A. dalla dedicatoria a c. a3v., Pubblicato probabilmente nel 1640, data dell\'Approbatio doctorum a c. a8v., Mutilo del front. e dell'indice in fine. ,


Marafioti, Girolamo , Ars memoriae, seu potius reminiscentiae: noua, eaque maxime perspicua methodo, per loca et imagines, ac per notas et figuras, in manibus positas, tradita, Francofurti: Becker, Matthaeus, 1603
Marafioti, Girolamo , F. Hieronymi Marafioti Polistinensis ... De arte reminiscentiae per loca, & imagines, ac per notas, & figuras in manibus positas. ..,
Argentorati, 1603
Marafioti, Girolamo , F. Hieronymi Marafioti Polistinensis ... De arte reminiscentiae per loca, & imagines, ac per notas, & figuras in manibus positas. Opus delectabile, omnibusque literarum studiosis, & praecipue oratoribus, concionatoribus, & scolaribus, qui ad doctoratus apicem ascendere satagunt apprime vtile, Venetijs, 1602
Marafioti, Girolamo, Croniche et antichita di Calabria. Conforme all'ordine de' testi greco, & latino, raccolte da' piu famosi scrittori antichi, & moderni, oue regolarmente sono poste le citta, castelli, ville, monti, fiumi, fonti, & altri luoghi degni di sapersi di quella prouincia. ... Dal r.p.f. Girolamo Marafioti da Polistina teologo, dell'Ord. de Min. Osseruanti. ..., In Padoua: Pasquato, Lorenzo Compagnia degli Uniti, 1601
Marafioti, Girolamo , Noua inuentione et arte del ricordarsi, per luoghi, & imagini; & per segni, & figure poste nelle mani. Del R.P.F. Girolamo Marafioto da Polistene di Calabria ... Opera diletteuole & vtile a tutti gli studiosi di lettere ... Tradotta di latino in lingua italiana, da D. Theseo Mansueti da Vrbino ..., In Vinegia: Bertoni, Giovanni Battista, 1602
Schenckel, Lambertus Thomas <1547-1630>, [1]: Gazophylacium artis memoriae, in quo duobus libris omnia & singula ea, quae ad absolutam hujus cognitionem inserviunt, recondita habentur. I. De admirabili utilitate & stupendis memoriae artificio adjutae effectibus in quibusdam viris praestantiss., ... 2. De ipsa memoriae arte acquirenda, fundamentis, methodo & praxi ejusdem, ... Compendiose absoluteque & collectum & illustratum per Lambertum Schenckelium, Dusilvium. His accesserunt de eadem arte memoriae 5. opuscula: quorum 1. Johannis Austriaci, 2. Hieronimi Marafioti, 3. Joh. Spangembergii, Herd. 4. Fr. Mart. Ravellini, 5, 1678
Schenckel, Lambertus Thomas <1547-1630>, Gazophylacium artis memoriae, in quo duobus libris, omnia et singula ea quae ab absolutam hujus cognitionem inserviunt, recondita habentur. 1. De admirabili utilitate & stupendis memoriae artificio adjutae effectibus, in quibusdam viris praestantiss. ex autoribus fide dignissimis. 2. De ipsa memoriae arte acquirenda, fundamentis, methodo & praxi ejusdem, ex philosophorum & oratorum principibus & aliis autoribus. Compendiose absoluteque & collectum & illustratum. Per Lambertum Schenckelium Dusilvium..., Argentorati: Bertram, Anton, 1610
Marafioti, Girolamo , F. Hieronynimi Marafioti Polistinensis Calabri. Ordinis minorum ... Annotationes euangelicae lucidissimae a feria quarta Cinerum vsque ad feriam tertiam Paschatis inclusiue. ... Cum duplici indice, materiarum scilicet, ac rerum notabilium, Neapoli, ex typographia Ioan. Baptistae Subtilis.: Sottile, Giovanni Battista Bonino, Scipione, 1608


Christine de Pizan scrittrice in lingua francese tra XIV e XV secolo è l'unica che parla positivamente di Semiramide.
Christine de Pizan nata a Venezia nel c.1364 (morta nel c.1430, forse a Poissy) da genitori italiani venne educata in Francia dove il padre, originario di Pizzano [Bologna], da cui il nome, era medico e astrologo alla corte di Carlo V dopo che rimase vedova, Christine cercò nella letteratura una fonte di guadagno e di prestigio, componendo molte opere di circostanza in versi e prosa, narrazioni storiche e compilazioni morali, che le venivano commissionate. Denota autentica vena lirica allorchè canta la propria pena o partecipa al dramma del paese dilaniato dalla guerra dei cent'anni. Per la figura di Semiramide non importa però tanto la sua opera Detto della Pulzella (Dictié de la Pucelle, 1429) un poema su Jeanne d'Arc od il Detto della rosa (Dict de la Rose, 1401) in cui assume posizione contro l'antifemminismo di Jean de Meung, ma soprattutto interessa la Città delle dame (Livre de la cité des dames, 1405), che Christine stese rapidamente nell'inverno tra il 1404 e il 1405.elaborando non senza ingegno alcune vere e proprie postazioni utopistiche.
Proprio in quest'ultima opera a riguardo di Semiramide lasciò scritto andando pienamente controcorrente: "Semiramide fu una donna di immenso valore e grande coraggio nelle imprese e nell'esercizio delle armi. Fu sposa del re Nino, che diede il nome alla città di Ninive, e diventò un grande conquistatore grazie all'aiuto di Semiramide, che cavalcava in armi al suo fianco. Egli conquistò la grande Babilonia, i vasti territori degli Assiri e molti altri paesi. Questa donna era ancora molto giovane quando Nino venne ucciso da una freccia, durante l'assalto a una città. Dopo aver celebrato solennemente il rito funebre la donna non abbandonò l'esercizio delle armi, anzi più di prima prese a governare e realizzò tali e tante opere notevoli, che nessun uomo poteva superarla in forza e in vigore. Era così temuta come guerriera, che non solo mantenne i territori già conquistati ma, alla testa di una grande armata, mosse guerra all'Etiopia, contro cui combatté con ardimento, conquistandola e unendola al suo impero. Da lì partì per l'India e attaccò in forze gli Indiani, ai quali nessuno aveva mai osato dichiarare guerra, li vinse e li soggiogò. In seguito arrivò a conquistare tutto l'Oriente, sottomettendolo alle sue leggi. Oltre a queste conquiste, Semiramide fece ricostruire e consolidare la città di Babilonia,fece costruire nuove fortificazioni e grandi e profondi fossati tutt'intorno. (trad. di P. Caraffi, pp. 107; 109).
E, cercando di essere esaustiva in questo suo assunto innovativo, l'autrice appone una chiosa non esente da modernità cercando di storicizzare le scelte di Semiramide in altri contesti cronologici altrimenti indifendibili: È ben vero che molti la biasimarono – e a buon diritto se avesse vissuto sotto le nostre leggi – per il fatto che prese come marito un figlio che lei aveva avuto da Nino, suo sposo. Ma i motivi che la spinsero a ciò furono principalmente due: prima di tutto non voleva che nel suo impero ci fosse un'altra dama incoronata oltre a lei, fatto inevitabile se suo figlio avesse sposato un'altra, e poi che nessun altro uomo era degno di averla in moglie, all'infuori di lui. Ma la si può giustificare per questa mancanza, che fu veramente grave, poiché non vi erano ancora leggi scritte: in questo modo la gente viveva secondo la legge di Natura, e ognuno si sentiva libero di agire come gli pareva, senza commettere peccato. È fuori dubbio che, se avesse pensato di agire male o che avrebbe potuto riceverne biasimo, non si sarebbe mai comportata così: essa aveva un animo nobile e un grande senso dell'onore (p. 109).
Riflesso di siffatte affermazioni si trova, seppur allo stato di mera citazione (una citazione che peraltro non esclude altre figure femminili di fama oscuramente torbida ma eretta secondo i parametri della dominante cultura maschile), non solo in un celebre passo de La Semplicità Ingannata di Arcangela Tarabotti ma a ben leggersi nel
Capitolo VII dell'aprosiano Scudo di Rinaldo I (ove parimenti con altre guerriere si cita Semiramide) in un preludio, cautissimo ma comunque esplicito e controcorrente, di quanto si troverà sviluppato nel settecentesco Pregio della Donna ove si legge un elogio di Semiramide come donna guerriera che chiaramente risente delle postulazioni di Christine de Pizan e che riflette quelle nuove postazioni illuministiche che ritroviamo in un passo dedicato alle donne valorose, entro una più estesa rivalutazione della donna nel capitolo XVI del piuttosto celebre Teatro critico Universale di Benedetto Gerolamo Feijoo. Invero Aprosio, dà l'impressione di volersi misurare con la Tarabotti a riguardo della reale efficienza guerresca delle donne, ed infatti in merito al capitolo VII dopo aver rimesso il giudizio al dedicatario dello stesso, di seguito nel capitolo VIII cerca di smontare le sue stesse asserzioni come fatte per gioco sillogistico: ma non convince ed è strano in particolare che disperda energie a parlare delle guerriere della Terra Onzonea e come tanti religiosi del suo tempo non "schiacci" piuttosto in forma predicatoria Semiramide sotto quello storico bagaglio erudito che la voleva sfrenata e lussuriosa nonché incestuosa , per i rapporti che avrebbe avuto con il proprio figlio.
La sinistra nomea della "sconcia e perfida" Semiramide [mitica regina degli Assiri, probabilmente da identificare con la regina babilonese Shammuràmat (o Sammu-ramat), moglie del re assiro Shamshiadad V (regnante dall'811 all'808 a.C.) e poi reggente per il figlio Adadnirari III: per la leggenda al contrario figlia della dea Derceto e del siriano Caistro, sposa di Onne, poi del re Nino (Adad Nirari o Adad Ninari)] rientra infatti nelle corde della sua formazione e specificatamente ne parlano peraltro autori certo non estranei alle fondamenta del suo bagaglio culturale da Giustino (martire cristiano del II secolo d.C.) a Sant'Agostino soprattutto ed ancora al suo discepolo Paolo Orosio; la condanna è sempre inequivocabile quanto diverse risultano tradizioni sono diverse: per alcuni Semiramide fece legittimare l'incesto col proprio figlio, per altri fu scacciata e uccisa dal figlio per sottrarle il potere, per altri ancora finì suicida. Erodoto di Alicarnasso (V secolo a.C.) e il sacerdote babilonese Beroso (III secolo a.C.) sono forse i più attendibili e obiettivi, e ne parlano come grande sovrana che durante il suo regno conquistò la Media, l'Egitto e l'Etiopia, insieme a grandi opere di pace come l'edificazione delle mura e dei giardini pensili di Babilonia, una delle sette meraviglie del mondo antico.
Il mancato "ritorno" di Aprosio sulla figura nefasta di quella Semiramide prima definita prova delle capacità guerresche delle donne stupisce ancor più, atteso che l'agostiniano intemelio vada parlando di una regina che risulta essersi macchiata di
incesto, crimine al suo tempo mostruoso sia per Stato che Chiesa, e che contestualmente sia stata regina di Babilonia, città che per i suoi liberi costumi in parte ancora matriarcali faceva da sempre grande scandalo alla Chiesa Cattolica: eppure gli sarebbe stato facile demistificare quanto prima detto avvalendosi del ben conosciuto S.Giovanni e della sua Apocalisse laddove si definisce Babilonia La Grande Meretrice quale ricettacolo di vizi sessuali e luogo di sublimazione per prostituzione e meretricio.
E peraltro, a testimonianza o di una mancanza o di letture alternative,(come quella diretta o mediata di Beroso) a differenza di vari altri luoghi nei suoi lavori nemmeno si avvale di Dante (certamente influenzato da Orosio) che relegò la regina fra i lussuriosi del suo Inferno (V, 55-60) impietosamente scrivendo A vizio di lussuria fu sì rotta / che libito fè licito in sua legge, / per torre il biasmo in che era condotta. / Ell'è Semiramís, di cui si legge / che succedette a Nino e fu sua sposa: / tenne la terra che 'l Soldan corregge (peraltro anche Boccaccio, autore parimenti letto ed utilizzato da Aprosio, nel De Mulieribus Claris, la condanna come ambiziosa, libidinosa e crudele)


Flandino, Ambrogio, Quadragesimalium concionum liber (qui Gentilis inscribitur) sub incude reuerendi patris: ac domini Ambrosij eremitae: sacrae theologiae doctoris eximij: episcopique Lamocensis: & suffraganei Mantuani editus: .. (Impressum Venetijs : mandato & expensis heredum quondam nobilis viri domini Octauiani Scoti ciuis ac patritij Modoetiensis: & sociorum, 1523. Die 2. Martij) : [12], 505 [i.e.503, 1] c. ; 8o. - A cura di Vincentius Barsius e di Mario Equicola, i cui nomi compaiono rispettivamente nella terza e nella quarta pref Bianca la c. 208 Got. ; rom Iniziali xil. Marca (Z273) in fine Omessa nella numerazione la c. 501-502 Segn.: 2a82b4a-z8&8[con]8[rum]8A-2O8 - Impronta - uan- D.H. ery- code (3) 1523 (A) - esemplari anche in Biblioteca comunale Planettiana - Jesi - AN - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - RM - Biblioteca nazionale centrale - Firenze - FI - Biblioteca statale - Cremona - Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma - Biblioteca statale del Monumento nazionale di Montecassino - Cassino - FR - 1 esemplare, le prime c. mutile in alto - Biblioteca nazionale universitaria - Torino


Baptistae Platinae Cremonensis De principe libri 3. Recens ex m.s. editi, Genuae : excudebant Calenzanus, & Farronius socij, 1637: 12, 182, 12 p. ; 12o - Dedica di Alessandro Sauli [morto nel 1661], il cui nome figura a c. 2r Fregio inciso sul front. in cornice xil Segn.: 6 A-H66 Le ultime 3p. sono bianche - Impronta - n-i, s-o- umis nege (3) 1637 (R): oltre che all'Aprosiana intemelia esemplari alla Biblioteca nazionale centrale - Firenze, alla Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano - MI, alla Biblioteca della Fondazione Luigi Firpo. Centro di studi sul pensiero politico - Torino


Nel 1637 il nobile Agostino Pallavicino [copia di un suo ritratto in veste di doge di Domenico Fiasella a Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola] corona un brillante curriculum di incarichi politici e diplomatici diventando doge per due anni. E' il primo Pallavicino a ricevere l'illustre nomina. E non si tratta di un doge qualunque! La Repubblica di Genova, con una vera e propria quadratura del cerchio, si è appena scelta come regina la Vergine Maria, acquisendo così dignità regale: il doge, ora rappresentante della Madonna, può fregiarsi delle insegne di un re.
Nel ritratto Agostino indossa il robone rosso con gorgiera a lattuga e polsini, il manto dorato e la mantellina di ermellino: sul capo porta la corona reale con i cerchi, invece della semplice corona ducale.
Rosso e oro sono i colori del doge. Il rosso, simbolo di potere, ricchezza e giustizia, è il pregiatissimo cremesile, che sostituisce la porpora da quando si è smesso di produrla per la difficoltà di reperire la materia prima. L'ampio robone lungo fino ai piedi è di velluto per l'inverno, di damasco per l'estate. In velluto cremesile sono anche la berretta e le scarpe, accompagnate da calze in tinta. Il manto, di seta con broccature in filo d'oro e bordato di ermellino, evoca a sua volta opulenza e autorità suprema. Sempre l'ermellino, la più ricercata tra le pellicce, avvolge, sopra il manto, le spalle del doge, che nella mano destra regge lo scettro d'argento dorato.
L'incoronazione non è avvenuta senza qualche contrarietà. Il cardinale Stefano Durazzo, per divergenze sui diritti di precedenza, non ha voluto celebrare nella cattedrale di San Lorenzo la tradizionale funzione, che è stata invece officiata da un abate nella chiesa di Santa Caterina.
L'immagine del doge neoeletto potrebbe far pensare ad un abbigliamento invernale. E invece! I nostri antenati sopportavano il freddo e il caldo con un'indifferenza che le comodità di oggi hanno fatto dimenticare: è il 13 luglio del 1637.


Il gesuita Pellizzari Francesco, figlio di Giovanni Battista Pellizzari, nasce a Piacenza alla fine '500 La sua data di nascita non è infatti storicamente certa, ma si colloca tra il 1595 e il 1596. Più certezze, si hanno invece per la data di morte, avvenuta nel 1651.
Tra le frastagliate e scarne informazioni che sopravvivono fino a oggi, spiccano i lavori svolti in Spagna come agente del padre per il commercio di libri. Conosciuto come il piacentino Pellizzarius Franciscus, si dedica alla stesura di un'opera importante, grazie anche ai recenti studi dei passi dedicati alla condizione, giuridica e sociale, delle monache nel Seicento italiano.
Pubblica la sua prima opera dedicata all'economia dei conventi e dei monasteri e alla disciplina giuridica degli stessi nel 1644 dal titolo Tractatio De Monialibus (1 esemplare alla Biblioteca Aprosiana Tractatio de monialibus in qua resolvuntur omnes fere quaestiones (et ex his plurimae adhuc non tractatae) quae de ijs excitari solent in communi, et in particulari ... accessit formularium licentiarum ... Editio secunda ab ipsomet authore recognita et multis additionibus usque utilissimis aucta. Authore P. Francisco Pellizzario ... , Venetiis : apud Paulum Baleonium, 1646. - [24], 590, [48] p. ; 4°) .
messa poi all'indice dei libri proibiti nel 1693. L'opera in piena pergamena rigida con titoli in oro sul dorso venne ristampata appunto nel 1755, dopo che furono apportate le correzioni imposte dalla Sacra Congregazione dell'Indice (Index Librorum prohibitorum: Pellizzarius Franciscus. Tractatio de Monialibus. Donec corrigatur. Decr. 21 Apr. 1693. Correcta autem juxta editionem Romanam anni 1755. permittitur"). Questo trattato fu tradotto dalla lingua latina in quella volgare a beneficio delle monache e di altri religiosi.
Nel 1651 pubblica la sua seconda opera Manuale Regularium, un lavoro ben noto e probabilmente il più quotato e citato su le regole religiose. Questo comprende tutto un trattato generale sullo statuto dei monaci nelle comunità. Questi particolari trattati, che dovevano descrivere le classi e i particolari stati nella vita ecclesiastica, comprendono: gli ordini principali, la professione del vescovo, il diritto penale degli impiegati normali e gli studi particolari su determinati ordini, in particolare il 10° Trattato parla delle principali obligazioni delle monache e specialmente dei tre voti religiosi povertà, castita e obedienza e della clausura [testo da Wikipedia - on line]
Si riproduce qui dall'esemplare da raccolta privata dal testo poi censurato atteso che Aprosio potè conoscere solo questa versione e non quella espurgata secondo le indicazioni del S. Uffizio:
Tractatio de monialibus, in qua resoluuntur omnes fere quaestiones (& ex his plurimae adhuc non tractatae) quae de iis excitari solent in communi, & in particulari. ... Accessit Formularium licentiarum; quarum vsus in monialium gubernatione solet esse frequentior. Authore p. Francisco Pellizzario Placentino
, Venetiis : Apud Paulum Balleonium, 1678
[ 8, 473, 35 p. ; 4° - Marca su front. stampato in rosso e nero - Iniz. e fregi xil. - Segn.: p4 A-2H8 2I6- : Impronta - ust, eide on,& 23st (3) 1678 (R) - Localizzazioni in biblioteche pubbliche: Biblioteca nazionale Sagarriga Visconti-Volpi - Bari Biblioteca comunale Giosue' Carducci - Città di Castello - PG - Biblioteca della Curia generale del Terzo ordine regolare di San Francesco - Roma - Biblioteca archivio S. Francesco alla Rocca - Viterbo]
***INSERISCI IL DISCO SECONDO (TESTI) E LEGGI L'OPERA DIGITALIZZATA E DOTATA DI MODERNI INDICI***


Lao, Andrea,Compendiosae totius philosophiae disputationes, in quibus dilucide, ac succincte rationes magni ponderis, iuxta angelicam D. Thom. doctrinam, ... / authore A.R.P.M. Andreae a Lao carmelita catanensi, ...,Neapoli: Longo, Egidio, 1643
Lao, Andrea,In primam partem D. Thomae disputationes theologicae. Tomus Primus [-quartus]) ... Auctore P.F. Andrea a Cruce Catanensi .., Genuae: Farroni, Giovanni Maria, 1650-1656
Lao, Andrea,3: In primam secundae D. Th. disputationes theologicae de fine, de beatitudine, de voluntario, & inuoluntario, de actibus humanis, de bonitate, & malitia humanorum actuum; ... Auctore R.P. magistro Andrea Lao Catanensi ... tomus tertius,Genuae, 1653
Lao, Andrea,1: In primam partem D. Thomae disputationes theologicae a quaest. 1. vsque ad quaest. 23. inclusiue tomus primus. In quo thomistica doctrina ex angelico praeceptore, ...noua methodo, noua forma, ... enucleatur. Auctore P.F. Andrea a Cruce Catanensi ..,Genuae, 1650
Lao, Andrea,2: In primam partem D. Th. disputationes theologicae de libro vitae, de omnipotentia, de Trinitate, de creatione, de angelis. Quibus doctrina thomistica ... radicitus pr...,Genuae, 1652
Lao, Andrea,4: In 1. 2. D. Thomae de conscientia tomus quartus. In quo doctrina tutior, ac probabilior, pro formanda, ac rectificanda cuiuscunque fidelis conscientia, ex principibus ecclesiasticis, ... per Andream Lao Carmelitam S.T. ..,Genuae, 1656


PERSIO nacque a Volterra nel 34 d.C., nell’attuale Toscana.
Apparteneva ad una famiglia non nobile ma ricca, di ceto equestre. Ricevette un'ottima educazione: alla scuola di Anneo Cornuto, celebre maestro di filosofia stoica, strinse amicizia con Lucano. Ben presto dimostrò la sua insofferenza nei confronti della retorica, orientandosi decisamente verso la filosofia; scelse lo stoicismo , e a questa linea si dimostrò fedele per tutta la sua breve vita.
Egli è però fra coloro che dànno del pensiero stoico un’interpretazione opposta a quella abituale in Roma: infatti l’impegno politico è da lui rigettato in favore di un impegno di tipo strettamente personale, morale, non legato in alcun modo alla sfera pubblica (tale ambiguità di fondo, implicita nella concezione stoica del libero arbitrio e del Fato, è evidente anche nell’evoluzione del pensiero di Seneca e nella sua scelta finale di ritirarsi dalla scena politica).
Condusse perciò una vita ritirata, ascetica, nell'intimità della sua villa, e dimostrò una fiera avversione nei confronti dei letterati di gran moda, assidui frequentatori dei salotti letterari della Roma "bene" dell'epoca.
Coerente fino in fondo con i suoi principi, rinunciò perfino alla pubblicazione delle sue opere. Scriptitavit et raro et tarde , ci dice un suo anonimo biografo. Morì nel 62, lasciando in eredità al maestro Cornuto e all'amico Cesio Basso tutti i suoi scritti, fino a quel momento sconosciuti ai più, con l'incarico di distruggerli. I due decisero invece di conservare 6 satire [leggine qui il
testo latino seguito dalla traduzione], che, dopo aver riveduto, pubblicarono.
Le satire son scritte in esametri. Ad esse sono premessi 14 coliambi (= trimetri giambici scazonti, il metro di Ipponatte) contenenti la dichiarazione di poetica di Persio, che si definisce poeta semipaganus (= "mezzo campagnolo"), a sottolineare la propria assoluta estraneità al panorama dei letterati "alla moda".
Satira 1a: è una feroce stroncatura di tutti i generi letterari di moda all'epoca. Splendido esempio dello stile anomalo e "introverso" di Persio, è essenziale per la comprensione della sua poetica. Satira 2a: ha come bersaglio la religiosità ipocrita;
Satira 3a: è la celebre parodia del "Giovin Signore", riecheggiata esplicitamente dal Parini; l'intento di Persio è quello di condannare la vita inutile e vuota che conducono i giovani romani ricchi;
Satira 4a: dedicata al motto apollineo gnòthi sautòn (= "conosci te stesso"), ha come bersaglio polemico tutti coloro che si occupano di politica, e quindi del bene collettivo, senza prima neppure conoscere se stessi, e quindi il proprio bene (è il tema di numerosi dialoghi platonici, ad es. "Alcibiade");
Satira 5a: dedicata ad Anneo Cornuto, è dedicata all'esaltazione della virtù stoica; Satira 6a: dedicata a Cesio Basso, contiene un’invettiva contro gli avari: dal punto di vista stoico attaccarsi ai beni materiali (che fanno parte degli adiàfora, le "cose indifferenti") è suprema stoltezza.
Lo stile: L’originalità di Persio è legata assai più allo stile che ai contenuti delle sue satire : il giovane poeta utilizza un impasto linguistico assolutamente inedito, che non ha precedenti né imitatori nella letteratura latina. Spesso i critici si sono trovati in difficoltà nel tentativo di spiegare il mistero di questo stile sfuggente e problematico.
L’effetto complessivo è ermetico, l’espressione è contorta ed oscura fino al limite dell’indecifrabilità; e tuttavia Persio utilizza un linguaggio quotidiano, persino piuttosto volgare. Non è dunque la lingua di cui si serve, ma il modo in cui la rielabora a risultare del tutto originale. La figura che Persio utilizza più spesso è l’acris iunctura in pratica l'evoluzione della callida iunctura oraziana: essa consiste nell'accostamento di parole di uso comune, poste però in un rapporto logico del tutto inusuale. Lo scopo è palesemente (e dichiaratamente) demistificatorio: Persio vuole detrahere pellem teneris auribus , "strappare la pelle alle tenere orecchie" (Satira I); vuole cioè strappare il velo del perbenismo ipocrita, del rispetto delle convenzioni sociali che copre il vero volto della realtà.
Gli espedienti più significativi che egli utilizza a tal fine sono:
la frustrazione dell'attesa, che consiste nel creare un'aspettativa nel lettore per poi deluderla di proposito, con un effetto di aprosdòketon (= "inatteso");
l'alternanza di registri: l’acris iunctura è realizzata in genere mediante la comparsa inaspettata di termini decisamente "alti" e ricercati su una base di sermo cotidianus , o viceversa mediante l'inserimento in contesti "seri" ed aulici di termini inerenti alla sfera sessuale o gastrointestinale.
In questo modo, fra l’altro, Persio seleziona il suo pubblico, al quale è richiesto uno sforzo costante di attenzione e comprensione che le persone superficiali o incolte non sono in grado di garantire. È tuttavia da sottolineare il fatto che, a differenza di quanto avverrà in Giovenale , alla fase distruttiva nell'opera di Persio ne segue una costruttiva: quello che il poeta ci addita alla fine, infatti, è un modello di vita positivo (che coincide con la virtus ).


Zavona, Massimiano <1579-1652>, Abuso del tabacco de' nostri tempi, trattato di Massimiano Zauona medico Rauennate. Nel quale si dimostra, che con quello si possono curare vn'infinito numero di mali, che molestano l'huomo, In Bologna: Ferroni, Giovanni Battista, 1650
Altre pubblicazioni, di altri, sull'uso del tabacco:
Nicolicchia, Marco Antonio, Uso ed abuso del tabacco, o sia Disertazione fisico-medico-morale sulle utilita e nocimenti del medesimo / di Marco Antonio Nicolicchia, Palermo, 1810
Silvestri, Giuseppe Maria, Ragionamento sopra l'uso ed abuso del tabacco di Giusepe Maria Silvestri dottore in filosofia, e medicina ..., In Roma: Casaletti, Arcangelo, 1773
Origoni, Pier Luigi, Discorso contro l'abuso del tabacco di Pier Luigi Origoni fisico aggregato al Collegio di Milano ..., In Milano: Ghisolfi, Filippo, 1643


Piccino, Giovanni, Il Petopiccino, ouero eccellenza , e doti del tabacco di Giovuan'Piccino medico fisico nell'illustriss. citta d'Orte. Diuiso in doi libri, nel primo si tratta delle lodi del tabacco, nel secondo delle sue virtu In Viterbo : per li Diotileui: 152 p. ; 120. oltre che alla Biblioteca Aprosiana di Ventimiglia si sono individuati altri esemplari alla Biblioteca nazionale centrale - Firenze e alla Biblioteca della Fondazione Marco Besso - Roma - RM
Dello stesso autore si può quindi rammentare l'opera medica:
Piccini, Giovanni , Antipyrapoplepathia siue De cauteriorum abusu in apoplexia Io. Piccini Vrceanensis illm.ae Spoletanae ciuitatis, Vmbriae totius metropolis physicomedici. Spoleto. Eiusq. ampliss.mis senatoribus dicata, Spoleti : apud Gregorium Arnazzinum, 1668: [16], 86, [2] p. ; 8o. - Bianca (?) la c. 1. - Segn.: 8A-D4E8F4ch4G8H4 - Stemma xil. di Spoleto sul front - Impronta - t.b- M.m. o-u, taau (3) 1668 (A) esemplari individuati alla Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma ed alla Biblioteca comunale Giosue' Carducci - Spoleto - PG


Nonostante l'ampia sarcina narrativa dedicata a Ventimiglia Aprosio nel suo "repertorio biblioteconomico" non offre molte informazioni sulla sua famiglia: semmai si sofferma maggiormente a parlare in generale degli APROSIO delineando il loro STEMMA ARALDICO.
Giusy Ingenito, funzionaria della Sezione dell'Archivio di Stato di Ventimiglia, ha però individuato alcuni atti che contribuiscono a gettare una certa luce sulla famiglia di Angelico Aprosio.
Tra i documenti reperiti merita di essere evidenziato un testamento fatto redigere dalla madre Petronilla (che alla comune maniera gergale dell'epoca vien nominata quale Peirineta/Peirinetta) nel 1616 laddove, tra altre cose, stabilisce un lascito annuale di lire 10 genovesi a beneficio dell'agostiniano Angelico Aprosio Seniore, destinato poi ad essere ascritto da Angelico fra i "Fautori dell'Aprosiana", che, "Lettore di Sacra Teologia", assunse l'incarico di istruire in "gramatica" il giovane Aprosio.
La scuola cui allude Aprosio ancora nella sua Biblioteca Aprosiana quella che frequentava così assiduamente e volonterosamente da meritarsi dai compagni l'appellativo di filosofo doveva quindi trovarsi in un ambiente interno o prossimo al cenobio agostiniano.
Scuole pubbliche per i figli del popolo esistevano od andavano istituendosi nelle comunità rurali ma sempre quali forme di iniziative ecclesistiche: un esempio documentario in merito, seppur tardivo, ci può essere offerto dal materiale rinvenuto sulla Pubblica Scuola del paese di Pompeiana nell'area di Taggia.
L'atto reperito dalla Ingenito ci ragguaglia comunque di vari altri particolari: all'epoca in cui fu redatto il giovanissimo Angelico aveva 9 anni, era l'unico figlio maschio superstite, i suoi nonni Stefano Aprosio (materno) e Luigi/Ludovico/Lodisio Aprosio (paterno) erano defunti; il padre apparteneva alla borghesia intemelia, aveva alcuni possedimenti, anche a Nervia e sul Colle di Siestro, oltre che la casa residenziale che si trovava extra moenia cioè nel quartiere, relativamente prossimo al Convento agostiniano, detto della BASTIA/BASTITA.
Il padre (morto nel 1626) del futuro bibliofilo dove essere un commerciante od un mercante [in altro documento si allude, in una quietanza relativa al suo commercio di cocolle nel senso di bozzoli di bachi da seta] e doveva fruire di un discreto capitale e di una certa valenza economica per quanto Angelico lo descriva qual poverh'uomo.


Pifferi, Francesco <1548 n.?>, Monicometro instromento da misurar con la vista stando fermo, del R.P.D. Francesco Pifferi dal Monte S. Sauino, monaco camaldolense..., In Siena: Bonetti, Luca, 1595
Pifferi, Francesco <1548n.?>, Brieue discorso sopra i misteri della corona del sig. del padre don Francesco Pifferi dal monte San Sauino camaldolense dottor theologo..., In Siena: Florimi, Matteo, 1602
Sacrobosco, Ioannes : de, Sfera di Gio. Sacro Bosco tradotta, e dichiarata da don Francesco Pifferi Sansauino monaco Camaldolese, ... Al serenissimo don Cosimo Medici gran principe di Toscana con nuoue aggiunte di molte cose notabili, e varie demostrazioni vtili, e diletteuoli, come nella seguente tauola si vede, In Siena: Marchetti, Silvestro, 1604


Amorriti - Amorrei: antica popolazione semitica, originariamente stanziata in SIRIA, nel 2° millennio a.c. invasero la MESOPOTAMIA e fondendosi con i SUMERI (i SUMERI li chiamarono MARTU), costituirono il PRIMO IMPERO BABILONESE nel 1793 a.c. sotto le direttive del Re Amorrita HAMMURABI, che espanse il Regno dall'estremo ELAM fino alle coste SIROPALESTINESI, scontrandosi con le altre potenze MEDIORIENTALI come gli HITTITI, CASSITI, EGIZIANI, ecc. Gli AMORRITI affermarono BABILONIA (BAB - LIL la porta del Dio) come capitale, assorbendo le vicine culture, raggiungendo anche alte cariche politiche a LARSA, MARAD, SIPPAR, KISH, MARI. Tra il 16° - 12° secolo a.c. si costituisce il potente regno indipendente di AMURRU ( significa "a occidente" ), il quale per nove secoli darà il nome alle terre tra la SIRIA e la PALESTINA. Dal 14° secolo a.c. AMURRU si schiererà prima con gli Egiziani e di seguito con gli HITTITI (chiamati anche HATTI), subendo notevoli influenze da entrambi i Regni. Dal 12° secolo a.c. gli ASSIRI prendono il controllo dell'intero territorio, interrompendo per sempre l'autonomia di questa regione, che seguirà le sorti dell'intera MESOPOTAMIA [testo on line di "Associazione Latlantide"]


Cerda, Juan Luis : de la<1560-1643> , Io. Ludouici De La Cerda ... Aduersaria sacra opus varium ac veluti fax ad lucem quam multorum locorum vtriusque instrumenti, patrumque & scriptorum quorumcunque: christianae antiquitatis & sacrorum rituum pancarpia; politioris denique literaturae thesaurus multiplex. Accessit eodem autore, Psalterij Salomonis ex Graeco ms. codice peruetusto, Latina versio, & ad Tertulliani Librum de pallio commentarius auctior, Lugduni: Prost, Louis, 1626
Vergilius Maro, Publius , P. Virgilij Maronis Bucolica et Georgica argumentis, explicationibus, notis illustrata. Auctore Ioanne Ludouico de la Cerda
Toletano, Societatis Iesu, in curia Philippi regis Hispaniae primario eloquentiae professore, Coloniae Agrippinae: Kinckius, Johann, anno 1647
Tertullianus, Quintus Septimius Florens , Q. Septimii Florentis Tertulliani ... opera, argumentis, explicationibus, notis illustrata. Auctore Ioanne Ludovico de la Cerda ... Cum indice locupletissimo rerum et verborum, Lutetiae Parisiorum: Compagnie du Grand-Navire , 1641
Vergilius Maro, Publius , P. Virgilii Maronis Priores sex libri Aeneidos argumentis, explicationibus notis illustrati, auctore Ioanne Ludouico de la Cerda Toletano Societatis Iesu, in curia regis Hispaniae primario eloquentiae professore, Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1612
Calepino, Ambrogio<1435-1511>,Ambrosij Calepini Dictionarium, quanta maxima fide ac diligentia accurate emendatum, ... Adiectae sunt Latinis dictionibus Hebraeae, Graecae, Gallicae, Italicae, Germanicae, Hispanicae, atque Anglicae; ... Praeter alia omnia, quae in hunc vsque diem fuerunt addita, precipue a Ioanne Passeratio, ... accesserunt etiam insignes loquendi modi, lectiores ethymologiae, ... adiectum est supplementum ex glossis Isidori, adornatum a R.P. Ioanne Ludouico de la Cerda, Societatis Iesu, Lugduni: Borde, Philippe & Arnaud, Laurent, 1663
Vergilius Maro, Publius , P. Virgilii Maronis Posteriores sex libri Aeneidos argumentis, explicationibus notis illustrati, auctore Ioanne Ludouico de la Cerda Toletano .., Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1617
Vergilius Maro, Publius , P. Virgilii Maronis Bucolica et Georgica argumentis, explicationibus, notis illustrata, auctore Io. Ludouico de la Cerda Toletano .., Lugduni: Cardon, Horace <1.>, 1619
Tertullianus, Quintus Septimius Florens , Q. Septimii Florentis Tertulliani ... Opera, argumentis, explicationibus, notis illustrata, authore Joanne Ludovico de la Cerda .., Lutetiae Parisiorum, sumptibus M. Sonnii[Parisiis]: Sonnius, Michel <1.>, 1624-1630
Cerda, Juan Luis : de la <1560-1643> , Libro intitulado, vida politica de todos los estados de mugeres: en el qual se dan muy prouechosos y Christianos documentos y auisos, para criase y conseruarse deuidamente la mugeres en sus estados. Diuidese este libro en cinco tratados. El primero es, del estado de las donzellas. El segundo, de las monjas. El tercero, de las casadas. El quarto, de las biudas. El quinto, contiene diuersos capitulos de mugeres en general. Con vn indice alphabetico muy copioso de materias ... Compuesto por... >- Alcala de Henares En Alcala: Gracian, Juan , 1599
Calepino, Ambrogio <1435-1511> , Ambrosii Calepini Dictionarium, quanta maxima fide ac diligentia accurate' emendatum, & tot recens factis accessionibus ita locupletatum, vt iam thesaurum linguae Latinae quilibet polliceri sibi audeat: adiectae sunt Latinis dictionibus Hebraeae, Graecae, Gallicae, Italicae, Germanicae, Hispanicae, atque Anglicae; item notae, quibus longae, aut breues syllabae dignoscantur. Praeter alia omnia, quae in hunc vsque diem fuerunt addita, praecipue a Ioanne Passeratio, ... Pro operis coronide adiectum est supplementum ex glossis Isidori, adornatum a r.p. Ioanne Ludouico de la Cerda,, Editio nouiss.
, Lugduni: Prost, Pierre heritiers & Borde, Philippe & Arnaud, Laurent, 1647-1667
Nebrija, Elio Antonio : de <1444?-1522> , Aelii Antonii Nebrisensis, De institutione grammaticae libri quinque. Iussu Philippi 3. Hispaniarum regis catholici. A R.P. Io. Ludovico de la Cerda, Societatis Iesu, viro eruditissimo in epitomen redacti. ... Opera, et studio P. praefecti scholarum humaniorum collegij imperialis Matritensis eiusdem societatis, Matriti: Roman, Antonio, 1692


Trichet Du Fresne, Raphael <1611-1661> erudito, antiquario, storico dell'arte (in particolare celebre per le investigazioni sulle opere di Leonardo da Vinci: come si ricava peraltro dalle opere sotto elencate ed individuate nelle biblioteche italiane) fu corrispondente dell'Aprosio, ma come si evince dalla sua missiva appunto registrata dall'agostiniano di ventimiglia. Tuttavia la lettera non compare nell'epistolario custodito a Genova dei corrispondenti dell'Aprosio (come peraltro accaduto per altri: per esempio Anton Giulio Brignole Sale) cosa che induce a credere che fossero assai più le lettere dei corrispondenti aprosiani e che possano esser state sì vittima di spoliazioni durante la crisi della biblioteca tra metà '700 e metà 900 ma che, alternativamente, siano in qualche modo finite perse una volta che venivano pubblicate come nel caso di questa epistola del Trichet Du Fresne:
Trichet Du Fresne, Raphael <1611-1661>, Briefue histoire de l'institution des ordres religieux. Auec les figures de leurs habits, grauees sur le cuire par Odoart Fialetti, bolognois / Du Fresne], A Paris: Menier, Adrien, 1658
Leonardo : da Vinci, Trattato della pittura di Lionardo da Vinci nuovamente dato in luce con la vita dell'istesso autore scritta da Rafaelle du Fresne. Si sono aggiunti i tre libri della pittura, ed il trattato della statua di Leon Battista Alberti con la vita del medesimo, In Bologna: Istituto delle scienze, 1786
Seguin, Pierre, Selecta numismata antiqua, ex museo Petri Seguini ... Editio altera emendatior ... cui accesserunt. 1. Ralph. Tricheti du Fresne ... De nummo Catanensi. 2. P. Seguini ...De nummo Britannico ..., Lutetiae Parisiorom: Jombert, Jean, 1684
Trichet Du Fresne, Raphael <1611-1661>, Catalogus librorum bibliothecae Raphaelis Tricheti du Fresne, Parisiis: Trichet Du Fresne , Raphael veuve & fils, 1662
Leonardo : da Vinci, Trattato della pittura di Lionardo da Vinci nuovamente dato in luce, colla vita dell'istesso autore, scritta da Rafaelle Du Fresne. Si sono giunti i tre libri della Pittura, ed il trattato della Statua di Leon Battista Alberti, colla Vi ta del medesimo, In Napoli: nella stamperia di Francesco Ricciardo: Ricciardo, Francesco, 1733
Leonardo : da Vinci, Trattato della pittura di Lionardo da Vinci, nouamente dato in luce, con la vita dell'istesso autore, scritta da Rafaelle Du Fresne. Si sono giunti i tre libri della pittura di Lionardo da Vinci, nouamente dato in luce, con la vita dell'istesso autore, scritta da Rafaelle Du Fresne. Si sono giunti i tre libri della pittura, & il trattato della statua di Leon Battista Alberti, con la vita del medesimo, In Parigi: Langlois, Jacques <1.>, 1651
Alberti, Leon Battista, Della architettura della pittura e della statua di Leonbatista Alberti Traduzione di Cosimo Bartoli gentiluomo ed accademico fiorentino, In Bologna: Dalla Volpe, Petronio, Istituto delle scienze, 1782
Leonardo : da Vinci, Trattato della pittura nuovamente dato in luce con la vita dell'istesso autore scritta da Rafaelle du Fresne. Si sono aggiunti i tre libri della Pittura e il Trattato della statua di Leon Battista Alberti ..., Bologna: Istituto delle scienze, 1786
Trichet Du Fresne, Raphael <1611-1661>, Briefue histoire de l'institution des ordres religieux. Auec les figures de leurs habits, grauees sur le cuire par Odoart Fialetti, bolognois / Du Fresne], A Paris: Menier, Adrien, 1658
Leonardo : da Vinci, Trattato della pittura di Lionardo da Vinci nuovamente dato in luce con la vita dell'istesso autore scritta da Rafaelle du Fresne. Si sono aggiunti i tre libri della pittura, ed il trattato della statua di Leon Battista Alberti con la vita del medesimo, In Bologna: Istituto delle scienze, 1786
Seguin, Pierre, Selecta numismata antiqua, ex museo Petri Seguini ... Editio altera emendatior ... cui accesserunt. 1. Ralph. Tricheti du Fresne ... De nummo Catanensi. 2. P. Seguini ... De nummo Britannico ..., Lutetiae Parisiorom: Jombert, Jean, 1684
Trichet Du Fresne, Raphael <1611-1661>, Catalogus librorum bibliothecae Raphaelis Tricheti du Fresne, Parisiis: Trichet Du Fresne , Raphael veuve & fils, 1662
Leonardo : da Vinci, Trattato della pittura di Lionardo da Vinci nuovamente dato in luce, colla vita dell'istesso autore, scritta da Rafaelle Du Fresne. Si sono giunti i tre libri della Pittura, ed il trattato della Statua di Leon Battista Alberti, colla Vi ta del medesimo, In Napoli: nella stamperia di Francesco Ricciardo: Ricciardo, Francesco, 1733
Leonardo : da Vinci, Trattato della pittura di Lionardo da Vinci, nouamente dato in luce, con la vita dell'istesso autore, scritta da Rafaelle Du Fresne. Si sono giunti i tre libri della pittura di Lionardo da Vinci, nouamente dato in luce, con la vita dell\'istesso autore, scritta da Rafaelle Du Fresne. Si sono giunti i tre libri della pittura, & il trattato della statua di Leon Battista Alberti, con la vita del medesimo, In Parigi: Langlois, Jacques <1.>, 1651
Alberti, Leon Battista, Della architettura della pittura e della statua di Leonbatista Alberti Traduzione di Cosimo Bartoli gentiluomo ed accademico fiorentino, In Bologna: Dalla Volpe, Petronio, Istituto delle scienze, 1782
Leonardo : da Vinci, Trattato della pittura nuovamente dato in luce con la vita dell'istesso autore scritta da Rafaelle du Fresne. Si sono aggiunti i tre libri della Pittura e il Trattato della statua di Leon Battista Alberti ..., Bologna: Istituto delle scienze, 1786


Il Manicheismo fu una religione pensata e fondata dal persiano Mani nella seconda metà del III secolo. Nei pensieri del suo ideatore, era la vera sintesi di tutti i sistemi religiosi noti. In realtà univa dualismo zoroastriano, folclore babilonese, etica buddista ed alcuni piccoli e superficiali elementi cristiani. Poiché in questo crogiuolo di idee la teoria di due principi eterni, bene e male, è predominante, il Manicheismo è classificato come una forma di dualismo religioso. Esso si diffuse con straordinaria rapidità sia ad oriente che ad occidente, dove sopravvisse in maniera sparsa e periodica (Africa, Spagna, Francia, Italia settentrionale, Balcani) per un millennio. Tuttavia, attecchì principalmente nella sua terra d'origine (Mesopotamia, Babilonia, Turkestan) e si radicò anche più ad oriente, in India Settentrionale, Cina Occidentale e Tibet, dove, intorno all'anno 1000, la massa della popolazione professava i suoi dogmi e da dove sparì improvvisamente in data incerta. In un certo senso, il manicheismo fu la forma più perfetta dello gnosticismo poiché combinò nella sua forma migliore il dualismo ed il rifiuto del Vecchio Testamento.
Dottrina e disciplina
Il Manicheismo si basava sulla netta divisione della realtà in due principi opposti in lotta tra loro: il Bene ed il Male, o meglio, la Luce e le Tenebre. All'origine dei tempi il regno delle tenebre invase il regno della luce e, dalla loro commistione, ebbero origine il mondo e gli uomini. I due principi, quindi, coesistono negli uomini, la cui unica possibilità di salvezza consiste nel separarli completamente, in modo da potersi riunire con il "re della luce", simile al Dio gnostico. Da esso emanarono dei messaggeri che dovevano insegnare agli uomini a scoprire la Luce che era in loro. L'ultimo di essi fu Mani, cui avrebbe fatto seguito la conflagrazione purificatrice (eredità stoica) che si sarebbe protratta per 1468 anni. Pertanto, preservare la sostanza luminosa dall'inquinamento della materia era il fine ultimo dell'esistenza di ogni Manicheo.
A differenza dello gnosticismo, che presentava talvolta tendenze antinomiche, il manicheismo presentava una struttura fortemente gerarchizzata; gli uomini erano divisi in tre categorie: coloro che erano legati alla terra (potremmo dire al "divenire"), coloro che percepivano l'esistenza di un Creatore, senza però concepire la separazione tra Luce e Tenebre e quelli che questa separazione comprendevano. Questi ultimi, che erano i fedeli del Manicheismo, si dividevano a loro volta in due grandi categorie: gli eletti e gli uditori.
Eletti
Coloro i quali si dedicavano completamente a questa missione erano gli "Eletti" o "Perfetti", i Primates Manichaeorum. Lo stile di vita degli "Eletti" aveva una somiglianza impressionante con quello dei monaci buddisti. L'unica differenza consisteva nel loro divieto di stabilirsi permanentemente in qualunque luogo. La vita di questi asceti doveva essere molto dura. Gli era vietata la proprietà privata, non potevano mangiare carne o bere vino, non dovevano gratificare alcun desiderio sessuale, non potevano prendere parte ad alcuna occupazione servile, gli era vietato l'esercizio del commercio o il possesso di una casa, non potevano praticare magie o qualsiasi altra religione. I loro doveri erano sanciti dai tre signacula:
il sigillo della bocca (oris), che proibiva parole impure e cibi impuri, come la carne o il vino. Erano permesse solo la frutta e la verdura. In particolare, la carne risvegliava il demone dell'oscurità che era all'interno dell'uomo. Fra i vegetali, alcuni, come i meloni e la frutta contenente olio erano specialmente raccomandati, poiché i manichei pensavano che contenessero molte particelle di luce, le quali, una volta consumate dal perfetto si sarebbero liberate;
il sigillo delle mani (manuum), che proibiva qualsiasi lavoro manuale, compresi l'uccisione di animali e la raccolta della frutta;
il sigillo del seno (sinus), che proibiva i pensieri malvagi ed il matrimonio, inteso come procreazione. Per i manichei, infatti, la propagazione della razza umana era un male assoluto, perché impediva alla Luce di svincolarsi dalla materia. Sant'Agostino (specialmente "De Moribus Manichaeorum") inveì fortemente contro il ripudio manicheo del matrimonio, in quanto essi condannavano più la procreazione in se stessa che l'impudicizia.
Dopo la loro morte, costoro potevano raggiungere immediatamente la luce attraverso il Sole e la Luna. La cosa che però più colpisce, è il numero estremamente ridotto dei Perfetti noti alla storia. Uditori Coloro i quali, per la fragilità umana, erano incapaci di astenersi dalle gioie terrene, sebbene accettassero i dogmi manichei, erano chiamati "Uditori"o "Catecumeni". La gran massa dei seguaci di Mani -99%- erano Uditori. Costoro erano vincolati solo dai Dieci Comandamenti di Mani che vietavano l'idolatria, la mendacia, l'avidità l'assassinio, la fornicazione, il furto, l'inganno, la magia, l'ipocrisia (intesa come infedeltà segreta al manicheismo), e l'indifferenza religiosa. Loro primo dovere era il mantenimento e la quasi adorazione degli Eletti. Li rifornivano di cibo e gli rendevano omaggio in ginocchio, implorandone la benedizione. Essi li considerarono esseri superiori e, nella loro collettività, pensavano che costituissero l'eone della rettitudine. Oltre a questi dieci comandamenti ed all'obbligo del mantenimento, i doveri comuni a tutti erano due: preghiera e digiuno. Per la loro salvezza, gli Uditori potevano sperare nella metempsicosi, la trasmigrazione della loro anima in un Perfetto o nel passaggio dalla loro condizione a quella di Eletto, ma tale passaggio non richiedeva solamente un cambiamento radicale nello stile di vita, era possibile solo col beneplacito dei Perfetti, che erano gli unici giudici in merito.
Preghiera e digiuno La preghiera era obbligatoria quattro volte al giorno: a mezzogiorno, nel tardo pomeriggio, dopo il tramonto e tre ore più tardi. Essa veniva effettuata rivolgendosi al sole o, di notte, alla luna; quando né sole né luna, erano visibili, allora ci si rivolgeva verso nord, la direzione in cui si trovava il trono del re di Luce. Ogni preghiera era preceduta da una purificazione cerimoniale con acqua o, in mancanza di acqua, con altre sostanze al modo maomettano. Esse erano accompagnate da dodici prostrazioni indirizzate alle varie personalità nel reame di luce: il Padre di Maestà, il Primo Uomo, il Legatus Tertius, il Paracleto (Mani), i Cinque Elementi, e così via. Le preghiere consistevano principalmente in una sequenza di epiteti lodatori e contenevano una piccola supplica. I tempi e l'atteggiamento della preghiera erano intimamente legati con i fenomeni astronomici, così era per l'obbligo del digiuno. Tutti digiunavano il primo giorno della settimana in onore del sole; i Perfetti digiunavano anche il secondo giorno in onore della luna. Tutti digiunavano i due giorni successivi ad ogni novilunio; ed una volta l'anno nel plenilunio, ed all'inizio del primo quarto di luna. Inoltre, l'ottavo giorno di ogni mese veniva osservato un digiuno dall'alba al tramonto.
[modifica] Riti, cerimonie e sacramenti Dei riti e delle cerimonie manichee si conosce molto poco. Osservavano una grande solennità, quella del Bema, anniversario della morte di Mani. Essa veniva preceduta da una vigilia di preghiera e letture spirituali. Il giorno della festa, poi, veniva posizionata su una piattaforma in rilievo, a cui si ascendeva tramite cinque gradini, una sedia vuota. Non si conoscono ulteriori dettagli. Sant'Agostino, comunque, sosteneva che la loro festa per la commemorazione della morte di Mani superava in solennità quella della Morte e Resurrezione di Cristo.
I Manichei dovettero anche possedere un qualche genere di battesimo e di eucaristia. L'epistola sul battesimo, che faceva parte della letteratura sacra dei manichei, sfortunatamente è andata persa, comunque le fonti cristiane immaginano l'esistenza di ambedue questi riti. Di importanza maggiore del battesimo era il Consolamentum o "Consolazione", un'imposizione delle mani effettuata da un Eletto dal quale un Uditore era ricevuto.
Organizzazione e gerarchia
La gerarchia dei Manichei e le sue regole sono ancora oscure. Mani, dal canto suo, sicuramente intendeva essere il capo supremo della moltitudine dei suoi seguaci. Decise, anche, che il suo successore in questa dignità avrebbe dovuto risiedere a Babilonia. Questo alto ministero, nelle fonti arabe, è noto come Imamato; ad oriente sembra avesse posseduto almeno un'importanza temporanea, mentre ad occidente probabilmente non fu mai conosciuto o riconosciuto. In ogni caso non è giunto fino a noi alcun elenco di questi supremi pontefici del manicheismo. Sui doveri e diritti dell'Imamato oggi non esistono informazioni.
Secondo fonti occidentali ed orientali la Chiesa Manichea era divisa in cinque classi gerarchiche; Sant'Agostino li chiamava Magistri, Episcopi, Presbyteri, Electi, Auditores; nel linguaggio mistico manicheo questi termini cristianizzati rappresentavano i figli della mitezza, della ragione, della conoscenza, del mistero e della comprensione. Questa gerarchizzazione della sua Chiesa, o regno della luce sulla terra, fu sicuramente suggerita dalle predilezioni astrologiche di Mani per il numero cinque, così evidenti nella sua cosmogonia. Magistri ed Episcopi corrispondono, probabilmente, ad un adattamento dei Legontes e dei Drontes dei misteri greci e babilonesi, mentre il termine Presbyteri, probabilmente, deriva dal Sabian Kura.
Elementi comuni con il Cristianesimo Qualche volta è stato affermato che alcuni collegamenti con il cristianesimo furono introdotti quando il manicheismo iniziò a rapportarsi con l'occidente, in realtà essi furono intessuti fin dall'inizio dallo stesso Mani, poiché il cristianesimo era, probabilmente, la religione più diffusa in tutta la Mesopotamia. Mani, il cui scopo era fondare un sistema comprensivo di tutte le religioni note, non poteva non tentare di incorporare il cristianesimo. Tanté che nelle prime parole della sua proclamazione nel giorno dell'incoronazione di Sapore I, egli parlò di Gesù che era venuto ai paesi occidentali.
Il collegamento era, tuttavia, puramente esterno ed artificiale. Il nocciolo del manicheismo era composto da astrologia e folclore caldei miscelati in un rigido schema dualistico; se il cristianesimo fu inserito, fu solamente per la circostanza storica che non poteva essere ignorato. Di conseguenza Mani si proclamò il Paracleto promesso da Gesù; rifiutò l'intero Vecchio Testamento, ma ammise le parti del Nuovo che gli andavano bene; in particolare rifiutò gli Atti degli Apostoli, perché parlavano della discesa dello Spirito Santo al passato. I manichei modificarono molte parti dei vangeli, ma dove un testo sembrava favorirli, essi seppero usarlo. Per rendersi conto dell'estrema ingegnosità con la quale i manichei selezionavano e manipolavano i testi delle sacre scritture, si devono leggere gli scritti antimanichei di Sant'Agostino. Sebbene Mani si proclamasse il Paracleto, egli non si definì mai una divinità, ma con grande umiltà si faceva chiamare "Apostolo di Gesù Cristo per la provvidenza di Dio Padre".
Gesù Cristo era per Mani un semplice eone o personificazione persistente di Luce nel mondo. Il Gesù di Nazareth storico fu completamente ripudiato e definito come "il figlio di una povera vedova" (Maria), "il Messia ebreo che gli ebrei crocifissero", "un diavolo che fu giustamente punito per aver interferito nel lavoro dell'Eone Gesù". Tale era, secondo Mani, il Cristo che i cristiani adoravano come Dio. La Cristologia manichea era puramente docetica, il suo Cristo sembrava essere un uomo, sembrò vivere, soffrire, e morire solo per simboleggiare la sofferenza della luce in questo mondo.
Sebbene Mani usasse il termine "Vangelo" per il suo messaggio, il suo Vangelo chiaramente non era nel senso cristiano. Egli, inoltre, ingannava gli avventati con l'uso di termini evidentemente cristiani, come Padre, Figlio, e Spirito Santo per designare le personalità divine, ma un sguardo alla sua cosmogonia dimostra come questo travestimento fosse fragile. Ciononostante, parlò così cautamente, esortando semplicemente la fede in Dio, nella Sua luce, nel Suo potere, e nella Sua saggezza, che ne ingannò molti.
Diffusione e storia del Manicheismo La diffusione del manicheismo fu caratterizzata dalla presenza di missionari che cercarono di propagandare il loro credo non solo in Siria ed in Palestina, ma anche in Africa, Europa e Cina. In alcune regioni, la loro opera di proselitismo creò un serio pericolo per il giovane cristianesimo. Caratteristica del manicheismo fu la loro suddivisione in piccoli gruppi. Tale suddivisione gli permetteva una più ampia diffusione geografica e gli garantiva, in caso di persecuzioni, maggiori possibilità di sopravvivenza.
Manicheismo ad oriente
Il manicheismo nacque sotto il segno delle persecuzioni, da quella che portò alla morte il suo fondatore, a quelle successive, durissime, dei Sassanidi, così come dagli imperatori a Roma. Nonostante ciò, il manicheismo si diffuse molto rapidamente. Il suo più grande successo si esplicò nei paesi ad est della Persia, tanto che, nell'anno 1000 lo storico arabo Al-Beruni scrisse: "La maggioranza dei turchi orientali, gli abitanti della Cina e del Tibet ed un certo numero in India professano la religione di Mani". Una generazione dopo la morte di Mani i suoi seguaci si erano stabiliti sulla Costa di Malabar e gli avevano dato il nome di Minigrama, ovvero "Insediamento di Mani". Le iscrizioni cinesi di Kara Belgassum, che una volta si pensava fossero riferite ad un gruppo di Nestoriani, indubbiamente si riferiscono all'esistenza di una setta Manichea che probabilmente sopravvisse fino al XVII secolo. La grande tribù turca dei Tuguzguz , nel 930, minacciò rappresaglie sui musulmani in suo potere, se i manichei di Samarcanda fossero stati molestati dal Principe di Chorazan, nei cui domini erano molto numerosi. Addiritura gli Uigùri, una tribù del Turkmenistan adottò il manicheismo come religione ufficiale nel 763 e lo mantenne fino al XV secolo. Comunque, informazioni particolareggiate sui gruppi manichei dell'estremo oriente ancora non esistono. In Persia ed in Babilonia, il manicheismo non sembra mai essere stato la religione predominante, ma i manichei vi goderono di grande prosperità e tolleranza sotto il dominio musulmano. Alcuni califfi erano, in realtà, favorevoli al manicheismo, che poteva anche contare su un certo numero di simpatizzanti segreti in tutto l'Islam. Sebbene a Baghdad non fossero molto numerosi, essi erano sparsi in tutti i villaggi dell'Iraq. La loro prosperità e intimità con i non manichei risvegliò, però, fra i seguaci di Mani, l'indignazione del partito puritano, e questo condusse alla formazione dell'eresia di Miklas, un asceta persiano dell'VIII secolo.
Poiché il manicheismo adottò come testi sacri anche tre apocrifi cristiani, il Vangelo di Tommaso, gli Insegnamenti di Addas ed il Pastore di Hermas, presto si formò la leggenda che Tommaso, Addas, ed Hermas fossero stati i primi grandi apostoli del sistema di Mani. Si supponeva che Addas avesse predicato ad oriente (ta tes anatoles), Tommaso in Siria, ed Hermas in Egitto. In ogni caso, prima della morte di Mani, il manicheismo era sicuramente conosciuto in Giudea, dove fu portato da Akouas ad Eleutheropolis nel 274 (Epifanio, Haereses, LXVI, I). Sant'Efrem il Siriano (378) si lagnava che nessun paese era più corrotto dal manicheismo della Mesopotamia dei suoi giorni dove, ad Edessa fu praticato fino al 450. Il fatto che fu contrastato da Eusebio di Emeso, Giorgio di Laodicea, Apollinare di Laodicea, Diodoro di Tarso, Giovanni (Crisostomo) di Antiochia, Epifanio di Salamis, e Tito di Bostra, dimostra come il pericolo manicheo fosse percepito dai cristiani come onnipresente e mortale. Intorno al 404, Giulia una nobile donna antiochena, tentò con la sua ricchezza e la sua cultura di convertire la città di Gaza al manicheismo, ma senza successo. A Gerusalemme, San Cirillo ebbe molti convertiti manichei fra i suoi catecumeni e confutò a lungo i loro errori. San Nilo era a conoscenza di sette segrete manichee nel Sinai fino al 430.
Nell'impero romano d'oriente il manicheismo raggiunse lo zenit tra il 375 e il 400, ma poi declinò rapidamente per rispuntare fuori alla metà del VI secolo. L'Imperatore Giustiniano stesso disputò la loro dottrina; Fotino il manicheo disputò pubblicamente con Paolo il Persiano. Il manicheismo, comunque, fece proseliti fra le classi più alte della società. Ma questa sua recrudescenza fu presto soppressa. Tuttavia, dopo essere rimasti nascosti per un certo periodo in territorio musulmano, invasero di nuovo l'Impero bizantino con il nome di Pauliciani o Bogomili.
I seguenti sono gli editti imperiali che furono emessi contro il manicheismo:
Diocleziano (Alessandria, 31 marzo 296) comandò al Proconsole d'Africa di perseguitarli, definendoli setta sordida ed impura recentemente venuta dalla Persia, da distruggere fin dalla radice (stirpitus amputari). I suoi capi e propagatori avrebbero dovuto essere bruciati insieme ai loro libri; la massa dei fedeli decapitata, e le persone che simpatizzavano per loro condannate alle miniere; tutti i loro beni avrebbero dovuto essere confiscati. * Costantino I, l'editto rimase, almeno nominalmente, in vigore.
Costanzio II, l'editto rimase, almeno nominalmente, in vigore.
Giuliano, il manicheismo sembrò essere tollerato.
Valentiniano I, sebbene tollerante verso altre sette, fece eccezione per i manichei.
Graziano, sebbene tollerante verso altre sette, fece eccezione per i manichei.
Teodosio I, con un editto del 381 privò i manichei dei diritti civili e li dichiarò incapaci di disposizioni testamentarie. L'anno seguente li condannò a morte con il nome di Encratiti, Saccoforesi, e Acquarini.
Valentiniano II confiscò i loro beni, annullò i loro testamenti, e li esiliò.
Flavio Onorio, nel 405, reiterò gli editti dei suoi predecessori, multò tutti i governatori di città o province che si dimostravano negligenti nell'eseguire i suoi ordini, invalidò tutti i loro contratti, li dichiarò banditi e criminali pubblici.
Valentiniano III, nel 445, reiterò gli editti dei suoi predecessori.
Anastasio condannò a morte ogni manicheo.
Giustino I e Giustiniano I decretarono la pena di morte, non solo contro i manichei che persistevano nella loro eresia, ma anche contro i convertiti dal manicheismo che rimanevano in contatto con i loro precedenti correligionari, o che non li denunciavano immediatamente ai magistrati. Pesanti sanzioni penali furono similmente decretate contro tutti gli ufficiali dello Stato che non denunciavano i loro colleghi, se erano manichei, e contro tutti quelli che possedevano libri manichei. Fu una guerra di sterminio che all'interno dei confini dell'Impero Bizantino, ebbe apparentemente successo.
Manicheismo ad occidente
Ad occidente la culla del manicheismo fu l'Africa Proconsolare, dove sembra avesse avuto un secondo apostolo inferiore solo a Mani, un'ulteriore incarnazione del Paracleto, Adimantus. Prima del 296 il Proconsole Giuliano aveva scritto all'imperatore che i manichei minavano la pace della popolazione e provocavano danno alle città. Diocleziano rispose con un editto di persecuzione e non se ne seppe più nulla fino ai giorni di Sant'Agostino d'Ippona, che aderì alla setta per ben nove anni prima di convertirsi al cristianesimo. Comunque, l'esponente più famoso del manicheismo africano fu Fausto di Milevi, che Agostino confutò in un'opera di 33 libri. Il 28 e 29 agosto 392, Sant'Agostino confutò anche un certo Fortunato in una discussione pubblica tenuta nei Bagni di Sossio. Successivamente, il 7 Dicembre 404, Sant'Agostino disputò con Felice, un presbyterus manicheo. Lo convinse dell'errore della sua via e gli fece scagliare l'Anatema su Mani. Negli ultimi 25 anni della sua vita Agostino non scrisse contro il manicheismo, per questo si pensa che in quel periodo l'importanza della setta decrebbe in una certa misura. Quando i Vandali ariani conquistarono l'Africa, i manichei pensarono di sopraffare il clero ariano entrando segretamente nelle loro file, ma Unerico (477-484), Re dei Vandali, rendendosi conto del pericolo, bruciò molti di loro e scacciò gli altri. Ancora, alla fine del VI secolo, Gregorio Magno vedeva l'Africa come un covo di manichei. Lo stesso avvertimento fu ripetuto da Papa Gregorio II (701), e Papa Nicola II (1061).
L'espansione del manicheismo in Spagna e Gallia è avvolto dall'oscurità per l'incertezza sul vero insegnamento di Priscilliano.
È ben noto come Sant'Agostino (383) trovasse rifugio a Roma nella comunità manichea, che doveva essere considerevole. Secondo il Liber Pontificalis, già Papa Milziade (311-314) aveva scoperto aderenti alla setta nella città. L'editto di Valentiniano (372), indirizzato al prefetto della città, fu chiaramente emesso in primo luogo contro i manichei romani. Negli anni dal 384 al 388 si sviluppò a Roma una setta particolare di manichei chiamata dei Martari, che, sostenuti dal capo del cenobio romano, un ricco uomo di nome Costanzio, tentò di creare una sorta di monastero per gli Eletti. Ma tutto ciò era in contraddizione con il comando di Mani secondo il quale gli Eletti avrebbero dovuto solcare il mondo per predicare il Vangelo Manicheo. Infatti, la nuova setta trovò durissima opposizione fra i suoi correligionari. A Roma, comunque, sembra che i manichei avessero fatto uno sforzo straordinario per mimetizzarsi e conformarsi quasi completamente ai costumi cristiani. Dalla metà del VI secolo in poi, tuttavia, il manicheismo sembrò scomparire dall'occidente. Comunque quando i Pauliciani ed i Bogomili dalla Bulgaria entrarono in contatto con l'occidente nell'XI secolo, e i missionari orientali guidati dagli imperatori Bizantini insegnarono dottrine dualiste in Italia settentrionale e in Francia meridionale, essi trovarono ancora il lievito del manicheismo e furono in grado di farlo fermentare nella formidabile eresia catara, che fu repressa nel sangue dalla Chiesa di Roma.
Scrittori antimanichei
Sant'Efrem il Siriano (306-373), scrisse un trattato contro i manichei.
Egemonio, a detta di Eracleone di Calcedonia, fu l'autore degli A. Questo importante lavoro sul manicheismo, scritto originalmente in greco o forse in siriaco, tra il 300 e il 350, ci è giunto solamente in una traduzione latino. Esso contiene una disputa immaginaria tra Archelao, vescovo di Charcar, e Mani stesso. La disputa altro non è che un espediente letterario, ma l'opera è sicuramente una fonte di studio inestimabile sul manicheismo.
Alessandro di Licopoli pubblicò un breve trattato contro il manicheismo.
Serapione di Thmuis (circa 350) è accreditato da San Girolamo di un' eccellente opera contro i manichei.
Tito di Bostra (374) pubblicò quattro libri contro i manichei, due contenenti argomenti concernenti la ragione e due argomentazioni provenienti dalle Sacre scritture e dalla teologia contro l'eresia. Essi ci sono giunti completi solamente in una versione in siriaco Sant'Epifanio di Salamis dedicò il suo grande lavoro Adversus Haereses (scritto intorno al 374) principalmente alla confutazione del manicheismo. Le altre eresie, infatti, non vi ricevono altro che brevi notizie ed anche l'arianesimo sembra avervi minima importanza.
Teodoreto di Cirro (458), nel De haereticorum fabulis, opera in quattro libri (P.G. LXXXIII), fornisce un'esposizione del manicheismo.
Didimo il Cieco, presidente della scuola catechetica di Alessandria (345-395), scrisse un trattato in diciotto capitoli contro i manichei.
San Giovanni Damasceno (circa 750) scrisse un "Dialogo contro i Manichei" (P.G. XCIV), ed una più breve "Discussione di Giovanni l'Ortodosso con un Manicheo" (P.G. XCVI).
Fozio (891) scrisse quattro libri contro i manichei, ed è un testimone prezioso della fase Pauliciana del Manicheismo.
Sant'Agostino d'Ippona scrisse: De utilitate credendi; De moribus Manichaeorum; De duabus animabus; Contra Fortunatum; De actis cum Felice; De Natura Boni; Contra Secundinum, Contra Adversarium Legis et Prophetarum.
Mazdakismo
Il filosofo Mazdak, di origine iraniana, seguace del Manicheismo, darà poi origine a quel movimento politico religioso che sorgerà in Persia intorno al 500 d.C. chiamato Mazdakismo. Questi vedeva la fede come un anelito alla fratellanza ed all'amore, che doveva portare anche alla comunione dei beni in maniera equa. Questa visione si scontrò presto con la società sassanide aristocratica, che forzò il re affinché rinunciasse a favorire questa religione, a tal punto che questi arrivò a far uccidere a tradimento Mazdak e tutti i suoi fedeli.
Influenza odierna
Il valore che questa religione ha assunto, nonostante tutto, nel pensiero umano è grande, tanto che ancora oggi si sente parlare spesso di "manicheo"; infatti la forte risposta che il Manicheismo da all'interrogativo arduo dell'origine del male e dell'esistenza di un altro principio coeterno a quello divino ma malvagio ha segnato la nostra cultura, con questa forte ricerca di spiritualità, che poi ha dato i suoi frutti nel pensiero medioevale, a scapito della materialità. Inoltre anche l'idea della dicotomia Bene-Male è profondamente connaturata nel nostro pensiero, tanto da costituire un grande ostacolo per molte riflessioni, dal momento che la cultura occidentale non è stata salda come quella orientale a fondere questi due principi (Yin e Yang) in un'unità che non deve essere separata, ma si è concentrata nell'esaltare ed osannare il principio positivo del divino e quindi dell'anima a scapito del corpo. Insomma, malgrado si sia perso l'aspetto soteriologico e molti dei caratteri eclettici derivati da religioni orientali e medio-orientali come Buddismo e Zoroastrismo, un germe del pensiero manicheo è rimasto nel pensiero occidentale moderno a spezzare la realtà in due metà nette, senza spazio per le vie di mezzo.
Bibliografia
M. Tardieu, Etudes manichéennes, Bibliographie critique 1977-1986, (Abstracta Iranica, vol. hors-s‚rie 4, Téhéran-Paris 1988;
G. Widengren, Il manicheismo, Milano, Il Saggiatore 1964 (orig. 1961);
K. Rudolph, Il Manicheismo in G. Castellani (a cura di), Storia delle religioni, vol IV, Torino, Utet 1971, pp. 773-797;
F. Decret, Mani et la tradition manichéenne (Maïtres spirituels 40), Paris 1974;
M. Tardieu, Il Manicheismo, Cosenza, Giordano Editore 1988 (orig. 1981);
L. Cirillo, Elchasai e gli Elchasaiti. Un contributo alla storia delle comunità giudeo-cristiane, Cosenza, Marra Editore 1984;
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A. Adam, Texte zum Manichäismus (Kleine Texte für Vorlesungen und šbungen 175), Berlin 1969;
A. Böhlig, Die Gnosis. Dritter Band. Der Manichäismus (unter mitwirkung von J.P. Asmussen), Zürich-München 1980;
L. Cirillo (a cura di), Codex manichaicus coloniensis. Atti del Simposio Internazionale, Cosenza, Marra 1986.
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Dopo tante difficoltà e opposizioni anche il Capitolo Generale di Cîteaux constatò il beneficio apportato dall’unione dei Monasteri in Congregazioni, se ne fece lui stesso promotore e accolse la Congregazione Calabro-Lucana nell’Ordine Cistercense. Questa Congregazione era sorta nel 1605 per riunire i monasteri meridionali ed era unita all’Ordine tramite l’Abate preside. Essa era formata da sette Monasteri ai quali si aggregarono in seguito i Monasteri superstiti della Congregazione Florense. Due delegati potevano partecipare al Capitolo Generale di Cîteaux e si pagavano le tasse che l’Ordine richiedeva. Una certa autonomia era mantenuta dal capitolo Provinciale che si riuniva ogni tre anni. Era presieduto dal Presidente della Congregazione. Questa Congregazione non fu mai molto vigorosa. Il Capitolo Generale di Cîteaux condannò nel 1672 l’abitudine che stava prendendo piede in alcuni Monasteri, di omettere il voto di stabilità. Nel 1686 si rese necessaria una Visita del Procuratore Generale dell’Ordine per riformarla in capite et membris.
Il Capitolo Generale stesso nel 1613, fu ancora all’origine della Congregazione Cistercense Romana Essa comprendeva i Monasteri sul territorio dello Stato Pontificio e alcuni del Regno di Napoli44 . Fu mantenuto il principio dell’unità dell’Ordine confermando su di essa l’autorità dell’Abate di Cîteaux e del Capitolo Generale. Perciò il Presidente della Congregazione e il suo consiglio non godevano di una vera autorità, ma dovevano sottoporre i loro atti all’approvazione del Capitolo generale. Gli Abati erano eletti per quattro anni, anche il Capitolo Generale si riuniva ogni quattro anni.
La situazione di grande limitatezza sia di mezzi materiali che di vocazioni, rese necessaria la sua aggregazione alla Provincia Toscana della Congregazione di S. Bernardo in Italia. Alessandro VII il 5 marzo 1660 approvò l’aggregazione con la Bolla Pastoralis officio, con l’obbligo di osservare le Costituzioni della Provincia Toscana. Come si comprende facilmente vi furono molte difficoltà in seguito a questa incorporazione. Solo nel 1762, per motivi sconosciuti, i Monasteri che un tempo costituivano la Congregazione Romana, furono separati dalla Provincia Toscana e con essi fu formata la Provincia Romana45 . Quando il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo soppresse i monasteri del suo dominio nel 1783 e nel 1799 la Repubblica Cisalpina chiuse anche i monasteri lombardi, rimase in vita solo la Provincia Romana. Ad essa fu aggregato anche il Monastero di S. Croce in Gerusalemme in Roma, che era sede del Procuratore presso la S. Sede della Provincia Lombarda, ormai soppressa, e Collegio per i Chierici della Congregazione italiana.
Abbiamo già accennato alla Congregazione Florense essa venne creata da Gioacchino da Fiore (1130-1202) e fu approvata da Celestino III il 25 agosto 1196. Questa Congregazione crebbe fino a raggiungere il numero di circa sessanta monasteri, ma ormai sull’orlo dell’estinzione nel 1570 Pio V approvò l’unione dei Monasteri superstiti con i Cistercensi.
Vi fu anche la Congregazione del Corpus Christi , fondata nel 1328 dal beato Andrea di Paolo, monaco Cistercense di Monte Subasio, con altri monaci che lo seguirono nel suo ideale e si staccarono dall’Ordine Cistercense. Gregorio XI l’approvò nel 1377. Si diffuse in Umbria e Marche, ebbe Consuetudini Cistercensi, ma non fu mai sottoposta alla giurisdizione dell’Ordine, come del resto la Florense e la Fogliense. Il 1 marzo 1582 Gregorio XIII aggregò i Monasteri superstiti alla Congregazione Olivetana.
La Congregazione Fogliense nel contesto delle riforme dell'ORDINE fu fondata da Jean-Baptiste de La Barrière con la riforma del Monastero di Feuillant presso Tolosa nel 1577. Egli uscì dall’Ordine per poter vivere un’osservanza estremamente austera. La Congregazione raggiunse una grande prosperità e diede alla Chiesa personaggi illustri come i Cardinali Bona e Gabrielli e gli scrittori Bona, Lucenti, Bartolocci, Morozzi La Congregazione italiana dei Fogliensi fu divisa in due province la Piemontese-Sabauda per i Monasteri del Piemonte e quella Romana che univa tutti gli altri. I monaci superstiti della repressione rivoluzionaria e di quella napoleonica entrarono a far parte dei Monasteri cistercensi.
La Congregazione della Stretta Osservanza eretta in Francia il 23 ottobre 1623 dal Visitatore Apostolico Card. De la Rochefoucauld ebbe in Italia due soli Monasteri: Buonsollazzo vicino a Firenze, entrato nell’osservanza della Trappa nel 1705 e Casamari in Ciociarìa aggregato all’osservanza trappista nel 1717.


Finetti, Bernardo , Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra il stato infelice dell'huomo in questa vita, e del stato miserabile dell'anime del purgatorio nell'altra vita. Opera fruttuosissima per l'anime di spirito, ... Indirizzata ad un'anima diuota dal padre d. Bernardo Fineti chierico regolare venetiano, In Venetia: Hertz, Giovanni Giacomo, 1691
Finetti, Bernardo , Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra li sette salmi penitentiali del santo re, e profeta Dauid. Opera fruttuosissima alle persone di spirito, ... Indirizzata ad un'anima diuota. Dal p. d. Bernardo Fineti cherico regolare venetiano. Parte prima [-seconda]. ..')> , In Venetia: Valvasense, Giovanni Francesco, 1685
Finetti, Bernardo , 1: Parte prima che contiene li riflessi di spirito sopra li tre primi salmi, In Venetia: Valvasense, Giovanni Francesco, 1685
Finetti, Bernardo , 2: Parte seconda che contiene li riflessi di spirito sopra li quattro vltimi salmi, In Venetia: Valvasense, Giovanni Francesco, 1685
Parte 1: ...Parte prima, che contiene le considerationi sopra gl'Euangeli, dalla I. domenica d'Auuento fino alla domenica di quinquagesima inclusiue; con le feste del Circoncisione, e Epifania del Sign. , in Venetia
, 1671
Finetti, Bernardo , 1: Parte prima. Che contiene li riflessi di spirito, e considerationi sopra li euangelij della prima domenica d'Auuento fino la domenica di Pasqua inclusiue, In Venetia: Valvasense, Giovanni Francesco, 1679
Finetti, Bernardo , Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra gli euangelij ddelle feste de santi, che celebra Santa Chiesadi precetto. Opera fruttuosissima alle persone di ... Indirizzata ad vn\'anima diuota dal p.d. Bernardo Fineti chierico regolare venetiano, In Venetia: Valvasense, Giovanni Francesco, 1687
Finetti, Bernardo , Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra li euangelij, e festiuita della beatissima Vergine Maria. Opera fruttuosissima alle persone di spirito, e vtilissima a predicatori per la moltitudine de concetti, che contiene in ogni materia. Indirizzata ad\' vn\'anima diuota, dal padre d. Bernardo Fineti, Valvasense, Giovanni Francesco
Fineti, Bernardo, Riflessi di spirito e considerationi morali sopra li Euangelij che trattano del santissimo sacramento dell'Eucharistia. Opera fruttuosissima ... indirizzata ad un'anima diuota dal padre d. Bernardo Fineti, In Padova: Cadorin, Matteo, detto Bolzetta, 1662
Finetti, Bernardo , Riflessi di spirito e considerationi morali sopra gl'Euangelij delle domeniche. Opera fruttuosissima alle persone di spirito ... che contiene; Indrizzata ad vn'anima diuota dal padre Bernardo Fineti. Parte prima (-terza parte?), In Venetia: Hertz, 1736
Finetti, Bernardo, 3: Terza parte che contiene le considerationi morali sopra gl'euangelij della Domenica, e solennita delle pentecoste, e sopra le ventiquattro domeniche doppo, In Venetia, 1736
Riflessi di spirito, e considerazioni morali sopra li Euangeli delle Domeniche / opera\...! indirizzata ad un'anima diuota dal P. Bernardo Finetti, Venezia presso Giovanni Giacomo Hertz, 1681-1701
Fineti, Bernardo, Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra il stato infelice dell'huomo in questa vita ... Opera fruttuosissima per l'anime di spirito ... Indirizzata ad un' anima diuota dal P. D. Bernardo Fineti .., In Venetia: Valvasense, Giovanni Francesco, 1682
Finetti, Bernardo, Riflessi di spirito e considerationi morali sopra li Euangelij di tutta la Quaresima. Opera fruttuosissima a tutte le persone di spirito ... Indirizzata ad vn'anima diuota dal p.d. Bernardo Fineti ..., In Venetia, 1682
Parte 2: Secondi riflessi di spirito... Parte seconda. Che contiene li riflessi dello spirito, e considerazioni sopra gli Euangelij dalla prima domenica dopo Pasqua fino alla domenica ultima dopo la pentecoste inclusiue, in Venetia, 1701
2: Seconda parte che contiene le considerationi sopra gl'Euangelij dalla prima domenica Quaresima, sino alla domenica sesta dopo Pasqua ..., In Venetia, 1679
3: Terza parte che contiene le considerationi morali sopra gl'Euangelij della domenica, e solennita delle Pentecoste, e sopra le ventiquattro domeniche doppo, In Venetia, 1679
Finetti, Bernardo , Secondi riflessi di spirito, e considerationi morali sopra li euangelij delle domeniche. Opera fruttuosissima alle persone di spirito, & utilissima a predicatori per la moltitudine de' concetti, che contiene in ogni materia. Indirizzata ad vn'anima diuota dal p.d. Bernardo Finetti ... Parte prima [-seconda], In Venetia: Hertz, Giovanni Gabriele, 1701
Finetti, Bernardo , 2: Parte seconda. Che contiene li riflessi di spirito, e considerationi sopra gli euangelij dalla prima domenica dopo pasqua fino alla domenica ultima dopo la inclusiue, In Venetia, 1701
Finetti, Bernardo , Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra li Euangelij, e Festiuita della Beatissima Vergine Maria. Opera fruttuosissima alle persone di Spirito, e vtilissima a' predicatori per la moltitudine de'concetti, che contiene in ogni materia. Indrizzata ad vn'Anima diuota, dal padre d. Bernardo Fineti ..., In Venetia: Hertz, Giovanni Giacomo, 1676
Finetti, Bernardo, Secondi riflessi di spirito, e considerationi morali sopra li euangelii delle domeniche. Opera fruttuosissima alle persone di spirito ... Indirizzata ad un'anima diuota. Dal p. d. Bernardo Fineti cherico regolare venetiano. Parte prima (-seconda) ..., In Venetia: Valvasense, Giovanni Francesco, 1680
Finetti, Bernardo, 2: Parte seconda che contiene li riflessi di spirito, e considerationi sopra li euangelii della prima domenica doppo Pasqua fino alla domenica ultima doppo la Pentecoste inclusiue, In Venetia
, 1680
Finetti, Bernardo , Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra li euangelij che contengono le considerationi spirituali, e morali sopra l'euangelio della passione di Giesu Christo descritta da tutti quattro i euangelisti. Opera fruttuosissima alle persone di spirito, e utilissima a predicatori per la moltitudine de concetti, che contiene in ogni materia. Indirizzata ad' un'anima diuota, dal padre don Bernardo Fineti cherico regolare venetiano. In Venetia : per Francesco Valuasense, 1665, Valvasense, Francesco
Finetti, Bernardo , Riflessi di Spirito e considerazioni morali sopra l'Euangelii delle feste de' santi che celebra Santa Chiesa di precetto. Opera fruttuosissima alle persone di spirito e utilissima a predicatori per la moltitudine de' concetti che contiene in ogni materia. Dal R.D. Bernardo Fineti chierico regolare venetiano., Venezia : per Francesco Valvas., 1666., [24], 932 p. ; 12, Iniziali e fregi xil., Cors. ; rom., Segn.: a12 A-2Q12., Valvasense, Francesco
Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra gl'Euangelij delle domeniche, opera fruttuosissima alle persone di spirito, ... indirizzata ad un'anima diuota, dal padre d. Bernardo Fineti ... Terza parte, che contiene le considerationi morali sopra gl\'Euangelii della prima domenica, e solennita della Pentecoste, e sopra le ventiquattro domeniche dopo, In Venetia: Valvasense, Francesco, 1662
Finetti, Bernardo , Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra gl'Euangelij. Opera fruttuosissima alle persone di spirito, ... indirizzata ad un'anima diuota, dal p.d. Bernardo Fineti ... Parte nona, che contiene i Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra alcuni patti, o punti diuersi, e disparati cauati da tutti quattro i sacri euangelisti, In Venetia: Valvasense, Giovanni Francesco, 1676
2: Parte seconda che contiene li euangelij dei giouedi doppo le terza domenica di quaresima fino al martedi doppo Pasqua inclusiue, In Venetia, 1669
Finetti, Bernardo , Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra gl'Euangelij delle domeniche, opera fruttuosissima alle persone di spirito, ... indirizzata ad un'anima diuota, dal d. Bernardo Fineti ... Seconda parte, che contiene le considerationi sopra gl'Euangelii, dalla prima domenica di Quaresima, fino alla domenica sesta doppo Pasqua inclusiue, con la festa dell'Ascensione del Signore, In Venetia: Valvasense, Francesco, 1661
1: Prima parte. Che contiene le Considerazioni sopra gl'Euangelij dalla prima Domenica d'Auuento ..., In Venetia, 1736
Finetti, Bernardo , Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra li euangelij di tutta la quaresima. Opera fruttuosissima a tutte le persone di spirito, ... Indirizzata a un'anima diuota. Dal P.D. Bernardo Fineti ...Parte prima <-?>, In Venetia: Venier, Antonio, 1669
Finetti, Bernardo , 1: Parte prima che contiene li euangelij dal primo mercordi fino al mercordi doppo le terza domenica di quaresima inclusiue, In Venetia, 1669
Finetti, Bernardo , Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra gl'euangelij delle domeniche. Opera fruttuosissima alle persone di spirito, ... ; indirizzata ad un'anima diuota dal padre D. Bernardo Fineti ... Prima parte <-?>, In Venetia: Hertz, Giovanni Giacomo, 1679
Finetti, Bernardo , 1: Prima parte che contiene le considerationi sopra gli euangelij, dalla prima domenica d'autunno fino la domenica di quinquagesima inclusiue..., In Venetia, 1679
Fineti, Bernardo, Riflessi di Spirito e considerazioni morali sopra gl'Evangelii che contengono le considerazioni spirituali e morali sopra l'Evangelio della Passione di Giesu Christo descritta da tutti quattro li Evangelisti. Opera fruttuosissima alle persone di Spirito, e utilissima a predicatori per la moltitudine de' concetti che contiene ogni materia indirizzata ad un'anima divota dal Padre Don Bernardo Fineti chierico regolare venetiano, Venezia, 1687
Fineti, Bernardo, Riflessi di Spirito e considerazioni morali sopra l'Evangelii che trattano del Santissimo Sacramento dell'Eucharistia. Opera fruttuosissima alle persone di spirito e utilissima a Predicatori per la moltitudine di concetti che contiene in ogni materia / indirizzata ad un'anima divota dal Padre Don Bernardo Fineti chierico regolare venetiano, Venezia, 1703
Fineti, Bernardo, Riflessi di Spirito e considerazioni morali sopra l'Evangelii e Festiuita della Beatissima Vergine Maria. Opera fruttuosissima alle persone di spirito e utilissima a Predicatori / indirizzata ad un'anima divota dal Padre Don Bernardo Fineti chierico regolare venetiano, Venezia, 1701
Fineti, Bernardo, Riflessi di Spirito e considerazioni morali sopra l'Evangelii delle feste de' santi che celebra Santa Chiesa di precetto. Opera fruttuosissima alle persone dispirito e utilissima a Predicatori per la moltitudine de\' concetti che contiene in ogni materia in questa impressione dedicata a Mons. Ill. e Rever. Pietro Barberigo Patriarca di Venezia / del Padre D. Bernardo Fineti chierico regolare venetiano, Venezia, 1707
Fineti, Bernardo, Riflessi di Spirito e considerazioni morali sopra l'Evangelii delle domeniche. Opera fruttuosissima alle persone di spirito e utilissima a Predicatori per la moltitudine de' concetti che contiene in ogni materia : che contiene li Riflessi di Spirito e considerazioni sopra gl'Evangelii della prima domenica dell'Avvento, fino alla Domenica di Pasqua inclusive / indirizzata ad un'anima divota dal Padre D. Bernardo Fineti chierico regolare venetiano. Parte prima, Venezia, 1701
Finetti, Bernardo , Riflessi di spirito, e considerationi morali sopra li Euangelij di tutta la Quaresima. Opera fruttuosissima ... Indirizzata ad un'anima diuota dal p.d. Bernardo Fineti ... Parte seconda. Che contiene li Euangelij dal giouedi doppo la terza domenica di Quaresima fino al martedi doppo Pasqua inclusiue, In Venetia: Hertz, Giovanni Giacomo, 1681 Finetti, Bernardo, Riflessi di spirito, e considerationi morali Sopra gl'Euangelij delle Domeniche. Opera Fruttuosissima alle Persone di Spirito ... Indirizzata ad un'Anima diuota Dal P. F. Bernardo Fineti ..., In Venetia: Hertz, Giovanni Gabriele, 1705


PREPARAZIONE DELL'ACQUA BENEDETTA SECONDO LA SANTA MESSA TRADIZIONALE
[Vedi Rubricae Generales Missalis Romani]
Il Sacerdote, rivestito dei paramenti sacri (senza manipolo e pianeta), prepara in sacrestia l'acqua benedetta: acqua che userà poi per l'aspersione dei fedeli.
Benedizione dell'acqua
. S - Il nostro aiuto è +nel nome del Signore.
M - Che fece il cielo e la terra.
. (Esorcismo del sale)
S - Io ti esorcizzo, o sale, per il Dio + vivo, il Dio + vero, il Dio + santo, Iddio che ti fece gettare nell’acqua dal profeta Eliseo, cosí che dall’acqua fosse tolta la sterilità: affinché tu divenga sale esorcizzato per la salute dei credenti, e giovi a tutti quelli che ti assumeranno per la salvezza dell’anima e del corpo; dal luogo in cui sarai asperso, fugga e si allontani ogni illusione, malizia, astuzia del demonio e ogni spirito immondo, scongiurato da Colui che verrà per giudicare i vivi e i morti e il mondo per mezzo del fuoco.
M - Cosí sia.
. Preghiamo
S - O Dio onnipotente ed eterno, imploriamo umilmente la tua immensa clemenza: affinché Ti degni di bene+dire e santi+ficare, per la tua pietà, questo sale, che hai dato in uso al genere umano: cosí che a tutti quelli che lo adòperano sia di salute per l’anima e per il corpo, e tutto ciò che da esso verrà toccato o asperso sia preservato da ogni immondezza e da ogni attacco dello spirito maligno. Per il nostro Signore Gesú Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
M - Cosí sia.
. (Esorcismo dell'acqua)
S - Io ti esorcizzo, o acqua, in nome di Dio + Padre onnipotente, e in nome di Gesú + Cristo, suo Figlio e Signore nostro, e per la virtú dello Spirito + Santo: affinché tu divenga acqua esorcizzata capace di mettere in fuga ogni potestà del nemico, e di sradicare e di sgominare questo stesso nemico con i suoi àngeli apostati: per virtú dello stesso Signore nostro Gesú Cristo che verrà per giudicare i vivi e i morti e il mondo per mezzo del fuoco.
M - Cosí sia.
. Preghiamo
S - O Dio, che a salvezza del genere umano stabilisti il massimo sacramento nella sostanza dell’acqua, ascolta propizio le nostre invocazioni e infondi la virtú delle tue bene+dizioni in questo elemento preparato per diverse purificazioni: cosí che questa creatura, che serve i tuoi misteri, acquisti l’effetto della grazia divina per scacciare i démoni e allontanare i mali: affinché tutto ciò che questo liquido avrà asperso, nelle case e nei luoghi dei fedeli, sia preservato da ogni immondezza e liberato da ogni contagio. Mai risieda lí alcuno spirito pestifero, mai alcun soffio di corruzione; fuggano tutte le insidie del nemico nascosto: e tutto ciò che potrebbe nuocere alla salute o turbare la tranquillità di quelli che lí dimorano, sia messo in fuga dall’aspersione di quest’acqua: cosí che la salubrità, chiesta con l’invocazione del tuo santo nome, sia difesa da ogni attacco. Per il nostro Signore Gesú Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
M - Cosí sia.
. (Mescolanza del sale e dell'acqua: per tre volte a mo' di croce)
S - La mescolanza del sale e dell’acqua si compia insieme, in nome del Pa+dre, e del Fi+glio, e dello Spirito + Santo.
M - Cosí sia.
. S - Il Signore sia con voi.
M - E con il tuo spirito.
. Preghiamo S - O Dio, sorgente d’invitta potenza, Re di inesauribile impero e trionfatore sempre magnifico, che dòmini le forze della nemica potestà, che súperi il furore del fremente nemico, che abbatti potentemente la malizia avversaria: Te, o Signore, umili e supplicanti, imploriamo e invochiamo, perché Ti degni di guardare, benigno, a questa creatura di sale e di acqua: la nobíliti e la santífichi con l’effusione della tua pietà; affinché, da dovunque sia sparsa, per invocazione del tuo santo nome, si allontani ogni infestazione di spirito impuro e ogni terrore del velenoso serpente; e fa che, per la presenza del tuo Santo Spirito, a noi, dovunque Ti invochiamo, non manchi mai la tua misericordia. Per il nostro Signore Gesú Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello stesso Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
Calamato, Alessandro, Selua nouissima di concetti, fondati nell'autorita della Sacra Scrittura, de' Santi Padri, e d'altri grauissimi dottori di Santa Chiesa; applicabili a' tutte le ferie di Quaresima, domeniche fra l\'anno, e feste correnti. Del R.D. Alessandro Calamato messinese, In BolognaIn Bologna: Zenero, Carlo, 1644
Calamato, Alessandro, Selua nouissima di concetti fondati nell'auttorita della sacra Scrittura, de' santi Padri, e d'altri grauissimi dottori di santa Chiesa, applicabili a tutte le ferie di quaresima, domeniche fra l\'anno, e feste correnti. Del rever. d. Alessandro Calamato messinese, In Milano: Cardi, Giovanni Pietro & Marelli Giuseppe, 1659
Calamato, Alessandro, Nuoui, e fruttuosi ragionamenti sopra l'Auuento di Christo N.S. e feste correnti. Arricchiti di varii concetti, applicabili a molte ferie di Quaresima, e domeniche dell'anno. Del reu. D. Alessandro Calamato. ..., In Messina: Brea, Pietro, 1631
Calamato, Alessandro, La croce di Giesu, e di Maria ouero Discorsi scritturali sopra la passione, e compassione di Christo, e della Madonna, ... Del R.D. Alessandro Calamato. .., In Messina per Gio. Francesco Bianco, stampatore camerale: Matarozzi, Giuseppe Bianco, Giovanni Francesco, 1630
Calamato, Alessandro, Hinni sacri del breuiario romano, riformato dalla Santita di N. S. Urbano 8. Con le quattro seguenze del messale. Tradotti, e commentati in lingua volgare dal R. D. Alessandro Calamato messinese, Messina: Aneto, Domenico Bianco, Giovanni Francesco vedova, 1642
Calamato, Alessandro, Quaresimale ouero ragionamenti sopra tutti gli Euangeli della Quaresima, ... Arricchiti di nuoui, e bellissimi concetti, ... Del R.D. Alessandro Calamato messinese. Opera vtilissima a predicatori, & ad ogni stato di persone, diuiso in 2. parti. Parte prima(-seconda) .., In Venetia: Hertz, Giovanni Giacomo, 1648
Calamato, Alessandro, Santuario, ouero Discorsi panegirici per le feste di Giesu' Christo, della Beatissima Vergine, e de' santi. ... Del reuerendo d. Alessandro Calamato .., In Venetia: Ginami, 1658
Calamato, Alessandro, Nuoua selua di concetti, fondati nell'autorita della Sacra Scrittura, de' santi padri, e d'altri grauissimi dottori di s. Chiesa. ... Del reuerendo don Alessandro Calamato. .., In Messina: Bianco, Giovanni FrancescoMatarozzi, Luca Francesco, 1634
Calamato, Alessandro, Selua nouissima di concetti fondati nell'autorita della sacra scrittura, de' santi padri, e di altri grauissimi dottori di santa chiesa. Applicabili a tutte le ferie di quaresima, domeniche fra l'anno, e feste correnti, In Padova: Manfre, Giovanni, 1732
Calamato, Alessandro, L' espettatione dell'incarnato verbo, ouero Prediche sopra le domeniche dell'Auuento, e feste occorrenti; del molto reuerendo d. Alessandro Calamato messinese. Opera profitteuole a' predicatori, & ad ogni stato di persone. Con l'aggiunta del doloroso spettacolo della passione, e morte di Christo nostro signore, ... del medesimo autore, In Venetia: Giunta, 1653
Calamato, Alessandro, Selva novissima di concetti fondati nell'auttorita della Sacra Scrittura, de' santi Padri, e di altri gravissimi dottori di santa Chiesa ... del R.D. Alessandro Calamato Messinese, In Padova: Manfre, Giovanni Tipografia del Seminario , 1707
Calamato, Alessandro, Quaresimale del reuerendo d. Alessandro Calamato messinese. Con li sabbati delle lodi di Maria vergine. In questa nuouissima impressione accresciuto di nuoui spiritosi pensieri, arricchite di viue moralita, e diligentemente corretto. Con due tauole copiosissime ..., In Venetia: Per Combi e La Nou, 1665
Calamato, Alessandro, Selua nuouissima di concetti, fondati nell'autorita della sacra scrittura, de' santi padri, e d'altri grauissimi dottori, di santa chiesa; ... del R.D. Alessandro Calamato Messinese, In Venetia: Combi & La Nou, 1663
Calamato, Alessandro, Nuoua selua di concetti, fondati nell'autorita della Sacra Scrittura, de' Santi Padri, e d'altri grauissimi dottori di Santa Chiesa. Applicabili a tutte le ferie di quaresima, domeniche fra l'anno, e feste correnti. Del reverendo don Alessandro Calamato messinese, In Messina: Bianco, Giovanni Francesco vedova, 1637
Calamato, Alessandro, Quaresimale ouero ragionamenti sopra tutti gli Euangeli della Quaresima, ... Arricchiti di nuoui, e bellissimi concetti, ... Del R.D. Alessandro Calamato messinese. Opera vtiliss. a predicatori, et ad ogni stato di persone, diuiso in 2. parti. Parte prima [-seconda]. .., In Bologna: Zenero, Carlo, 1648
Calamato, Alessandro, La croce di Giesu, e di Maria. O vero Discorsi scritturali sopra la passione, e compassione di Christo, e della Madonna ... Di d. Alessandro Calamato ..., In Messina: Brea, Pietro Matarozzi, Giuseppe, 1623
Calamato, Alessandro, Selva novissima di concetti fondati nell'auttorita della Sacra Scrittura, de' santi Padri, e di altri gravissimi dottori di santa Chiesa, ... del R.D. Alessandro Calamato Messinese, In Padova: Manfre, Giovanni Tipografia del Seminario , 1717
Samuel : Marochitanus, Epistola rabbi Samuelis Iudaei, missa in anno millesimo post Christum passum, ad rabbi Isaac Iudaeum de prophetijs Veteris Testamenti, ... Nunc demum ad Christianae reipublicae vtilitatem e tenebris subtracta, & in lucem edita, cura, & pietate D. Alexandri Calamati, .., Messanae: Bianco, Giovanni Francesco, 1624
Calamato, Alessandro, Selva novissima di concetti fondati nell'autorita della Sacra Scrittura de' Santi Padri, e d'altri grauissimi Dottori di Santa Chiesa Al Rverend. P.D. Taddeo Pepoli Abbate Olivetano e visitatore della Privincia di Romagna : applicabili a tutte le ferie di quaresima, domeniche fra l'anno e feste correnti / del R.D. Alessandro Calamato messinese, Bologna, 1644
Calamato, Alessandro, Quaresimale del reurendo d. Alessandro Calamato messinese. In questa nouissima impressione accresciuto di nuoui spiritosi pensieri,...con due tauole copiosissime, In Venetia: Prodocimo, Iseppo, 1685
Calamato, Alessandro, Quaresimale del reuerendo d. Alessandro Calamato messinese con li sabbati delle lodi di Maria Vergine. In questa nuouissima impressione accresciuto di nuoui spiritosi pensieri, arricchito di viue moralita, e diligentemente corretto. Con due tauole copiosissime, Venetia: Hertz, Giovanni Giacomo, 1674
Calamato, Alessandro, Selva nouissima di concetti fondati nell'autorita della Sacra Scrittura, de' Santi Padri, e d'altri grauissimi dottori di Santa Chiesa, applicabili a tutte le ferie di Quaresima, domeniche fra l'anno, e feste correnti. Del r.d. Alessandro Calamato messinese, In Milano nella Stampa Archiepiscopale: Mognaga, FrancescoStampa Archiepiscopale , 1651
Calamato, Alessandro, Nuoua selua di concetti, fondatti nell'autorita della Sacra Scrittura, de' santi padri, e d'altri grauissimi dottori di santa chiesa. Applicabili a tutte le ferie di Quaresima, domeniche tra l'anno, e feste correnti. Del r.d. Alessandro Calamato..., In Venetia: Sarzina, Giacomo <1.>, 1638
Calamato, Alessandro, Le Lodi, prerogatiue, e grandezze di Maria Vergine madre di Dio, e signora nostra, spiegate in otto ragionamenti dal r.d. Alessandro Calamato messinese .., In Venetia: Oddoni, Guglielmo, 1646
Calamato, Alessandro, Selua nuouissima di concetti, fondati nell'autorita della Sacra Scrittura, de' Santi Padri, e d'altri grauissimi dottori di Santa Chiesa ... del r.d. Alessandro Calamato messinese, In Venetia: Combi & La Nou, 1654
Calamato, Alessandro, Quaresimale del reuerendo d. Alessandro Calamato Messinese ..., Venetia: Combi & La Nou, 1674
Calamato, Alessandro, Delle grandezze, e prerogatiue di Maria Vergine madre d'Iddio ragionamenti 6. Per le festiuita di lei, nouena, e Sabbati di Quaresima. Del R.D. Alessandro Calamato. Con due discorsi nel fine, l\'vno della lettera scritta dalla sacratissima Vergine alla citta di Messina; ..., In Messina: Brea, Pietro, 1630
Calamato, Alessandro, Sententiae selectae pro concionibus totius anni, ex sanctis patribus, alijsque grauissimis doctoribus, cum sacris, tum profanis excerptae. Studio, ac labore reu. d. Alexandri Calamati Messanensis. ..., Messanae: Bianco, Giovanni Francesco vedova Matarozzi, Luca Francesco, 1637
Calamato, Alessandro, Doloroso spettacolo della passione, e morte di Christo N.S. e compassione di Maria Vergine sua dilettissima madre, rappresentato al mondo per imprimerlo ne' cuori de'fedeli, dal reuerndo d. Alessandro Calamato. ... Aggiuntoui la pratica per ben morire del medesimo autore, In Venetia: Giunta, MDCXL i.e.1640
Calamato, Alessandro, Santuario, ouero discorsi panegirici per le feste di Giesu' Christo, della beatissima Vergine, e de' santi. Con tre discorsi per li tre giorni delle rogationi, & vn altro in occasione di professione di monaca. Del reuerendo D. Alessandro Calamato messinese. .., In Venetia: Hertz, Giovanni Giacomo, 1658
Calamato, Alessandro, Selua nouissima di concetti, fondati nell'autorita della sacra scrittura, de' Santi Padri, e d'altri grauissimi dottori di Santa Chiesa. Applicabili a tutte le ferie di Quaresima, domeniche fra l\'anno, e feste correnti. Del reuerendo don Alessandro Calamato messinese, In Messina nella stamperia camerale della vedoua di Bianco: Matarozzi, Giuseppe Bianco, Giovanni Francesco vedova, 1640
Calamato, Alessandro, Selua nouissima di concetti, fondati nell'autorita della Sacra Scrittura, de' Santi Padri, e d'altri grauissimi dottori di santa chiesa; ... Del R. D. Alessandro Calamato messinese, In Venetia: Miloco, Michele, 1667
Calamato, Alessandro, Selua nouissima di concetti, fondati nell'autorita della Sacra Scrittura, de' santi padri, e d'altri grauissimi dottori di Santa Chiesa; ... del r.d. Alessandro Calamato messinese, In Venetia: Miloco, Benedetto, 1681
Chiesa cattolica, Officium hebdomadae sanctae juxta formam missalis et breviarii romani ab Urbano 8. correcti: ad fidelium devotionem excitandam adiunctis italico sermone declarationibus multarum rerum, quae fiunt et dicuntur in eius recitatione: R.D. Alexandro Calamato auctore. Et in fine psalmis poenitentialibus et aliis orationibus, Venetiis: Pezzana, Nicolo, 1716
Calamato, Alessandro, Nuoua selua di concetti, fondatti nell'autorita della sacra scrittura, de' santi padri, e d'altri grauissimi dottori di santa chiesa. Applicabili a tutte le ferie di quaresima ... del ... Alessandro Calamato .., In Venetia: Sarzina, Giacomo <1.>, 1637
Calamato, Alessandro, Selua nuouissima di concetti, fondati nell'autorita della Sacra Scrittura, de' Santi Padri, e d'altri grauissimi dottori di Santa Chiesa ... del r.d. Alessandro Calamato messinese, Venetia: Combi, 1648
Calamato, Alessandro, Selua nuouissima di concetti, fondati nell'autorita della Sacra Scrittura, de' Santi Padri, e d'altri grauissimi dottori di Santa Chiesa ... del r.d. Alessandro Calamato messinese, Venetia: Combi, 1643
Calamato, Alessandro, L' Espettatione dell'Incarnato Verbo. Ouero, prediche sopra le domeniche dell'Auuento, e feste correnti, del molto reuerendo d. Alessandro Calamato messinese ... Con l'aggiunta del doloroso spettacolo della Passione, e morte di Christo N.Sig. Della prattica per aiutare a ben morire, e delle sentenze scelte latine, ... del medesimo autore, In Venetia: Giunta, 1643
Calamato, Alessandro, L' Espettatione dell'incarnato Verbo. Ouero, prediche sopra le domeniche dell'Auuento, e feste correnti; del molto reuerendo d. Alessandro Calamato messinese. ... Con l'aggiunta del Doloroso spettacolo della Passione, e morte di Christo n. Sig. Della pratica per aiutare a ben morire, e delle sentenze scelte latine, appropriate alle prediche di tutto l\'anno, del medesimo autore. ..., In Venetia: Giunta, 1643
Calamato, Alessandro, Selua nouissima di concetti fondati nell'auttorita della Sacra Scrittura, de' santi padri, e d'altri grauissimi dottori di Santa Chiesa ... Del r.d. Alessandro Calamato messinese, In Venetia: Prodocimo, Iseppo, 1686 Diana, Antonino<1585-1663>, R.P.D. Antonini Diana clerici regularis, ... Selectiorum conscientiae casuum, qui in resolutionibus moralibus, quinque prolixioribus partibus, varijsque tractatibus elucidantur, compendium breuitate, perspicuitate, & ordine absolutissimum. A R.D. Alexandro Calamato Messanensi nuperrime elaboratum, et nunc primum in lucem datum, VenetiisVenetiis: Giunta, 1642
Calamato, Alessandro, Selva novissima di concetti fondati nell'auttorita della Sacra Scrittura, de' Santi Padri ... / del R. D. Alessandro Calamato, In Padova, 1717
Calamato, Alessandro, Selva novissima di concetti fondati nell'autorita della Sacra Scrittura, de'santi padri, e di altri gravissimi dottori di santa chiesa, applicabili a tutte le ferie di quaresima, domeniche fra l'anno, e feste correnti / del R.D. Alessandro Calamato messinese, In Padova: Manfre, Giovanni, 1732
Calamato, Alessandro, L' espettatione dell'incarnato verbo, ouero Prediche sopra le domeniche dell'Auuento, e feste correnti, ... del M. reu.do D. Alessandro Calamato, messinese ... Con l'aggiunta delle sententie scelte, latine, appropriate alle prediche di tutto l'anno; del medesimo autore, In Venetia: Giunta, 1639
Calamato, Alessandro, Quaresimale del reuerendo d. Alessandro Calamato messinese. Con li sabbati delle lodi di Maria vergine. In questa terza, e nuouissima impressione accresciuto di nuoui spiritosi pensieri, ...e diligentemente corretto dall\'istesso autore. Con due tauole copiosissime, In Venetia: Hertz, Giovanni Giacomo, 1656


Turtureti, Vincenzo, autore siciliano e religioso di gran rinomanza atteso che fu cappellano del re spagnolo Filippo IV; visse a cavallo tra XVI e XVII secolo: di lui secondo il Servizio Bibliotecario Nazionale si conservano:
1 - Horae subcesiuae de nobilitate gentilitia, in tres libros diuisae. Auctore dom Vincentio Turtureto Siculo, Philippi 4. regis Hispani cappellano ...Nunc primum prodeunt cum duplici indice, Lugduni : Sumptibus Ludouici Prost, Haeredis Rouille, 1624 - [28], 186, [14] p. ; 4o - Marca (Aquila su globo contornata da due serpi: In virtute et fortuna) sul front. - Segn.: *-3*4 4*" A-2B4 - Front. stampato in rosso e nero - Impronta - elo- s,u* i-u- Inci (3) 1624 (R) - [Variante del titolo] Horae subcesivae de nobilitate gentilitia, in tres libros divisae. ..., - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze - Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma
Turtureti, Vincenzo, Sacellu [!] regium hoc est De capellis et capellanis regum liber singularis cum notis perpetuis pro capella Aulae Hispanae d. Vincentij Turtureti Siculi ..., Matriti : apud Franciscum Martines, 1630 (Matriti : ex officina typographica Francisci Martinez, 1630) - [14], 126, [20] c., [1] c. di tav. : front. calcogr. ; 4o - Segn.: " cv4 2cv8 A-P8 Q6 R-S8 T4 - Front. calcogr. inciso da Jean de Courbes - Iniziali e fregi xil. - Impronta - ame- o.9. s.a- satu (3) 1630 (A) - [Variante del titolo] Sacellum regium hoc est De capellis et capellanis regum liber singularis cum notis perpetuis pro capella Aulae Hispanae d. Vincentij Turtureti Siculi ... , - Localizzazioni: Biblioteca nazionale centrale - Firenze - Biblioteca Trivulziana - Archivio storico civico - Milano - Biblioteca della Societa' napoletana di storia patria - Napoli - Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele II - Roma - Biblioteca universitaria Alessandrina - Roma



In riferimento alle Amazzoni Franz Schreiber, di Berlino, pubblica, , nel Pfälzischen Presse del 27 aprile 1915 un articolo dal titolo Donne combattenti, nel quale, sulla base di esempi antichi, moderni e contemporanei, prova che, nel corso della storia, la presenza di soldatesse non è una rarità :
"Già nell’anno 529 a.C., il re dei Persiani Ciro fu sconfitto [co scrisseme Erodoto sui Messageti e Sciti guidati dalla regina Tomyris] ]da un esercito comandato da Tomiri, regina dei Messageti. Anche di Zenobia, regina di Palmira, che visse nel terzo secolo dopo Cristo, sappiamo che spesso montava armata a cavallo per condurre personalmente le sue imprese di guerra in Egitto e in Asia anteriore. Per inciso, Zenobia era una delle meravigliose donne principesche dell’antichità, allo stesso tempo piena di grazia e di spirito, tanto che il retore Longino, suo amico e consigliere, grazie alla conoscenza di lei avrebbe destato entusiasmo con il suo celebre libro “Del sublime”, in cui egli con fine senso critico fa conoscere la grandezza della storia del pensiero e della scrittura.....


Varium et mutabile semper femina: varia e cambia in continuazione (il cuore) di donna.(Virgilio, Eneide, IV, 569). Sulla nave troiana Enea sta riposando attendendo l'alba per rimettersi in mare dopo la decisione di abbandonare Didone e seguire il corso del destino che lo porterà alla foce del Tevere. Nel sonno gli appare Mercurio invitandolo a salpare immediatamente l'ancora e uscire in mare aperto, prima che la regina di Cartagine, già pentita per la concessione fatta, glielo impedisca. Heia age, rumpe moras. Varium et mutabile semper femina (= "Muoviti, rompi gli indugi, è della donna essere mutevole").


Ceriziers, Rene : de erudito gesuita francese, autore in proprio ma anche esperto traduttore, specie dall'italiano in francese, divulgatore culturale, nato probabilmente nel 1609 e morto nel 1662; secondo il SERVIZIO BIBLIOTECARIO NAZIONALE delle sue opere nelle biblioteche italiane si trovano:
Ceriziers, Rene : de , L' Irlanda, ouero L'innocenza coronata del signore di Ceriziers, limosiniere del re. Autore dell'Innocenza riconosciuta. Tradotta dalla lingua francese nell'italiana da , In Bologna: Vaglierino, Giovanni Battista, 1656
Ceriziers, Rene : de, 2: Tome 2. L'innocence reconnue, A Lyon: Justet, Jacques, 1660 Augustinus, Aurelius , Les confessions de saint Augustin / traduites par le r.p. de Seriziers de la Compagnie de Iesus, Parigi, 1642
Ceriziers, Rene : de, L' innocenza riconosciuta in S. Genevieffa descritta in lingua franzese dal p. Renato Ceriziers della Compagnia di Gesu, tradotta nell'italiano da Lodovico Cadamosto, In Torino: Giuliano, Gerardo Bernardino, 1742
Ceriziers, Rene : de, L' innocenza riconosciuta descritta in lingua francese dal P. Renato Ceriziers della Compagnia di Giesu tradotta nell'italiana da Lodouico Cadamosto ..., In Milano: Ghisolfi, FilippoCerri, Giovanni Battista, 1644
Ceriziers, Rene : de, Il Tacito francese, o vero Sommario dell'istoria di Francia. Con le riflessioni christiane, e politiche alla vita di que're. Di monsig. Ceriziers regio limosiniere. , In RomaIn Roma, 1680
Ceriziers, Rene : de, L' innocenza riconosciuta, historia descritta in lingua francese dal p. Renato Cericiers della Compag. di Giesu tradotta nell'italiana da Lodouico Cadamosto. ..., In Bologna: Zenero, Carlo, 1649
Ceriziers, Rene : de, Gionata o' Il vero amico del sig. di Ceriziers trasportato dalla lingua Francese nella Italiana dal signor Vincenzo Armanni da Gubbio ..., In Roma: Manelfi, Manelfo, 1648
Ceriziers, Rene : de, L' innocenza riconosciuta historia, descritta in lingua francese dal P. Renato Cericiers della compagnia di Giesu, tradotta nell'italiana da Lodouico Cadamosto, In Venetia: Turrini, 1647
Ceriziers, Rene : de, Le Tacite francois ou le Sommaire de l'histoire de France auec les reflexions chrestiennes et politiques, sur la vie des rois de France du sieur de Ceriziers aumonier d , Parigi: Angot, Charles, 1665
Ceriziers, Rene : de, L' innocenza riconosciuta, historia descritta in lingua francese dal signore di Ceriziers limosiniere del re, tradotta nell'italiana da Lodouico Cadamosto, In Bologna: Longhi, Giuseppe <1.>Ferroni, Giovanni Battista, 1665
Ceriziers, Rene : de, Les trois estats de l'innocence, par le sieur de Ceriziers ... Tome 1. (-3-). L'innocence afflige'e, A Lyon, 1670
Ceriziers, Rene : de, 2: Tome 2. L'innocence reconnue, A Lyon: Potin, Simon, 1670
Ceriziers, Rene : de, 3: Tome 3. L'innocence couronne'e, A Lyon: Beaujolin, Antoine, 1670
Augustinus, Aurelius , Les Confessions de Saint Augustin. Traduites par le r.p. de Ceriziers, de la Compagnie de Iesus, A Paris: Compagnie des Marchands Libraires, 1665
Ceriziers, Rene : de, L' Irlanda, ouero l'innocenza coronata del signore di Ceriziers, limosiniere del re. Tradotta dalla lingua francese nell'italiana dal signor capitano Lodouico Cadamosto , In Milano: Monza, Lodovico, 1656
Annat, Francois <1590-1670>, Euasions ou subterfuges des Iansenistes, contre la sentence rendue par le Saint Siege. Du latin du R.P. Francois Annat de la Compagnie de Iesus, A Paris: Cramoisy, Sebastien <1.> & Cramoisy, Gabriel, 1654
Ceriziers, Rene : de, Le Philosophe francois. Par le sieur de Ceriziers, aumosnier de monseigneur le duc d'Orleans. Tome 1., 3!. Iouxte la copie, A Paris, 1645
Ceriziers, Rene : de, L' innocenza riconosciuta; historia descritta in lingua francese dal p. Renato Cericiers ... Tradotta nell'italiana da Lodovico Cadamosto, ..., In Venetia: Mortali, Valentino, 1666
Ceriziers, Rene : de, 3: Tome 3. L'innocence couronnee, A Lyon: Molin, Jean, 1660
Ceriziers, Rene : de, Gionata o' il vero amico del sig. Di Ceriziers trasportato dalla lingua francese nella italiana. Del signor Vincenzo Armanni da Gubbio. All'illustriss. ... Paolo Girola , In Roma: Andreoli, Giovanni, 1698
Ceriziers, Rene : de, L' innocenza riconosciuta; historia descritta in lingua francese dal p. Renato Cericiers ... Tradotta nell'italiana da Lodovico Cadamosto, ..., In Venetia: Conzatti, Zaccaria, 1662
Ceriziers, Rene : de, L' innocenza riconosciuta historia descritta in lingua francese dal p. RenatoCericiers ... Tradotta nell'italiana da Lodovico Cadamosto, ..., In Torino: Marone, AntonioSinibaldo, Giovanni, 1667
Ceriziers, Rene : de, 1: Tome 1. L'innocence affligee, A Lyon: Molin, Jean, 1660
Ceriziers, Rene : de, Les Consolations de la philosophie, et de la theologie. Par le P. de Ceriziers, de la Compagnie de Iesus, A Rouen: Viret, Jean <3.>Malassis, Clement <1.>Besongne, Jacques <2.>, 1646
[Monografia], Boethius, Anicius Manlius Torquatus Severinus, La Consolation de la philosophie. Traduicte du latin de Boece, en francois. Par le P. de Ceriziers, de la Compagnie de Iesus, A Rouen: Viret, Jean <3.>Malassis, Clement <1.>Besongne, Jacques <2.>, 1646
Ceriziers, Rene : de, Reflexions chrestiennes et politiques, sur la vie des roys Henry le Grand. Louys le Iuste. Par le sieur de Ceriziers, aumosnier de monseigneur frere unique du Roy, A Paris: Camusat, Jean veuve, 1642
Ceriziers, Rene : de, Le philosophe francois. Par le sieur de Ceriziers, aumosnier de monseigneur le duc d'Orleans. Tome 1. [-3.], A Paris: Sommaville, Antoine de & Courbe, Augustin, 1644
Augustinus, Aurelius, Les confessions de saint Augustin, traduites par le R.P. de Ceriziers, de la Compagnie de Jesus, A Paris: Soubron, Andre, 1681

Sofronio Eusebio Girolamo (Stridone, Dalmazia 347 - Betlemme settembre 420), fu un traduttore della Bibbia dal greco e dall'ebraico al latino. È commemorato come santo (san Girolamo, in latino Hieronymus) dalla Chiesa cattolica, per cui è anche padre della Chiesa e dottore della Chiesa. Nell'iconografia è spesso rappresentato come un vecchio dalla barba bianca intento a scrivere, e per i suoi studi legati all'antichità è considerato il patrono degli archeologi. Studiò a Roma, nel 379, ordinato prete dal vescovo Paolino, si recò a Costantinopoli dove poté perfezionare lo studio del greco sotto la guida di Gregorio Nazianzeno (uno dei "Padri Cappadoci"). Risalgono a questo periodo le letture dei testi di Origene e di Eusebio.
Dopo tre anni di vita monastica tornò a Roma, nel 382, dove divenne segretario di papa Damaso I e conseguì un notevole successo personale, ma alla morte del Papa il suo prestigio scemò e Girolamo tornò in oriente, dove fondò alcuni conventi femminili e maschili, in uno di questi trascorse gli ultimi anni. Morì nel 420.
Opere e attività culturale del Santo
La Vulgata, prima traduzione completa in lingua latina della Bibbia, rappresenta lo sforzo più impegnativo affrontato da Girolamo. Nel 382, su incarico di papa Damaso I affrontò il compito di rivedere la traduzione dei Vangeli, successivamente, nel 390, passò all'antico testamento in ebraico concludendo l'opera dopo ben 23 anni. Il testo di Girolamo è stato la base per molte delle successive traduzioni della Bibbia, fino al XX secolo quando per l'antico testamento si è cominciato ad utilizzare direttamente il testo masoretico ebraico e la Septuaginta, mentre per il nuovo testamento si sono utilizzati direttamente i testi greci. Con il termine Vulgata si indica la traduzione in latino della Bibbia.
Girolamo fu un celebre studioso del latino in un'epoca in cui questo implicava una perfetta conoscenza del greco. Fu battezzato all'eta di 25 anni e divenne sacerdote a 38 anni. Quando cominciò la sua opera di traduzione non aveva una perfetta conoscenza dell'ebraico, perciò si trasferì a Betlemme per perfezionarne la conoscenza. Girolamo utilizzò un concetto moderno di traduzione che attirò le accuse da parte dei suoi contemporanei; in una lettera indirizzata a Pammachio, genero della nobildonna romana Paola, scrisse:
"Io, infatti, non solo ammetto, ma proclamo liberamente che nel tradurre i testi greci, a parte le Sacre Scritture, dove anche l’ordine delle parole è un mistero, non rendo la parola con la parola, ma il senso con il senso. Ho come maestro di questo procedimento Cicerone, che tradusse il Protagora di Platone, l’Economico di Senofonte e le due bellissime orazioni che Eschine e Demostene scrissero l’uno contro l’altro (…). Anche Orazio poi, uomo acuto e dotto, nell’Ars poetica dà questi stessi precetti al traduttore colto: Non ti curerai di rendere parola per parola, come un traduttore fedele" (Epistulae 57, 5, trad. R. Palla)
Nel trattato Adversus Iovinianum, scritto nel 393 in due libri, l'autore esalta la verginità e l'ascetismo, spesso derivando le sue argomentazioni da autori classici come Teofrasto, Seneca, Porfirio.
Tra gli altri argomenti, in esso Girolamo difende strenuamente l'astinenza dalla carne dimostrandosi un vegetariano ante litteram:
"Fino al diluvio non si conosceva il piacere dei pasti a base di carne ma dopo questo evento ci è stata riempita la bocca di fibre e di secrezioni maleodoranti della carne degli animali [...]
Gesù Cristo, che venne quando fu compiuto il tempo, ha collegato la fine con l’inizio. Pertanto ora non ci è più consentito di mangiare la carne degli animali."
(Adversus Jovinanum, I, 30) Il De Viris Illustribus, scritto nel 392, intendeva emulare le "Vite" svetoniane dimostrando come la nuova letteratura cristiana fosse in grado di porsi sullo stesso piano delle opere classiche. In esso sono presentate le biografie di 135 autori in prevalenza cristiani (ortodossi ed eterodossi), ma anche ebrei e pagani, che però hanno avuto a che fare con il cristianesimo, con uno scopo dichiaratamente apologetico:
"Sappiano Celso, Porfirio, Giuliano, questi cani arrabbiati contro Cristo, così come i loro seguaci che pensano che la Chiesa non ha mai avuto oratori, filosofi e colti dottori, sappiano quali uomini di valore l’hanno fondata, edificata, illustrata, e cessino le loro accuse sommarie di semplicità rozza rivolte alla nostra fede, e riconoscano piuttosto la loro ignoranza" (Prologo, 14).
Le biografie hanno inizio da san Pietro e terminano allo stesso Girolamo ma, mentre nelle successive Girolamo elabora conoscenze personali, le prime 78 sono frutto di conoscenze di seconda mano non sempre completamente affidabili, tra cui Eusebio di Cesarea. L’opera venne talora indicata da Girolamo stesso col titolo "De scriptoribus ecclesiasticis".
Assai interessante è il passo di una lettera all’amico Paolino da Nola, Girolamo si lamenta dei "dilettanti" che si arrogano il diritto di emettere sentenze sulla Bibbia:
"Agricolae, caementarii, fabri, metallorum lignorum que caesores, lanarii quoque et fullones et ceteri, qui variam supellectilem et vilia opuscula fabricantur, absque doctore non possunt esse, quod cupiunt. Sola scripturarum ars est, quam sibi omnes passim vindicent: scribimus indocti docti que poemata passim. Hanc garrula anus, hanc delirus senex, hanc soloecista verbosus, hanc universi praesumunt, lacerant, docent, antequam discant […] et, ne parum hoc sit, quadam facilitate verborum, immo audacia disserunt aliis, quod ipsi non intellegunt. Taceo de meis similibus, qui si forte ad scripturas sanctas post saeculares litteras venerint […] sed ad sensum suum incongrua aptant testimonia, quasi grande sit et non vitiosissimum dicendi genus depravare sententias et ad voluntatem suam scripturam trahere repugnantem […] Puerilia sunt haec et circulatorum ludo similia, docere, quod ignores, immo, et cum clitomacho loquar, nec hoc quidem scire, quod nescias" (Epistula LIII ad Paulinum presbyterum, 7)
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VI./1. UNAM SANCTAM (18. 11. 1302)

a) (DS 870") Unam sanctam ecclesiam catholicam et ipsam apostolicam urgente fide credere cogimur et tenere, nosque hanc firmiter credimus et simpliciter confitemur, extra quam nec salus est, nec remissio peccatorum, sponso in Canticis (cf. Cant. VI,8) proclamante: ÆUna est columba mea, perfecta mea. Una est matri(s) suæ, electa genetrici suæ;" quæ unum corpus mysticum repræsentat, cuius (corporis) caput Christus Christi vero Deus. In qua unus Dominus, una fides, unum baptisma. Una nempe fuit diluvii tempore arca Noe, unam ecclesiam præfigurans, quæ in uno cubito consummata unum, Noe videlicet, gubernatorem habuit et rectorem, extra quam omnia subsistentia super terram legimus fuisse deleta. (DS 871") Hanc autem veneramur et unicam, dicente Domino in Propheta: ÆErue a framea, Deus, animam meam (cf. Psalm. XXI,21), et de manu canis unicam meam." Pro anima enim, id est pro se ipso, capite simul oravit et corpore, quod corpus unicam scilicet ecclesiam nominavit, propter sponsi, fidei, sacramentorum et caritatis ecclesiæ unitatem. Hæc est tunica illa Domini inconsutilis , quæ scissa non fuit, sed sorte provenit. (DS 872") Igitur ecclesiæ unius et unicæ unum corpus, unum caput, non duo capita, quasi monstrum, Christus videlicet et Christi vicarius Petrus, Petrique successor, dicente Domino ipsi Petro: ÆPasce (Ioa. XXI,17) oves meas." Meas, inquit, et generaliter, non singulariter has vel illas: per quod commisisse sibi intelligitur universas.

a) Per imperativo della fede noi siamo costretti a credere ed a ritenere, che vi è una sola Santa Chiesa Cattolica ed Apostolica, e noi fermamente la crediamo e professiamo con semplicità, e non c'è né salvezza né remissione dei peccati fuori di lei - come lo Sposo proclama nel Cantico: ÆUna sola è la mia colomba, la mia perfetta; unica alla madre sua, senza pari per la sua genitrice". Essa rappresenta l'unico corpo mistico, il cui capo è Cristo, e (quello) di Cristo è Dio, e in esso c´è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Una sola infatti fu l'arca di Noè al tempo del diluvio, che prefigurava l'unica Chiesa; ed era stata construita da un solo braccio, ebbe un solo timoniere e un solo comandante, ossia Noè, e noi leggiamo che fuori di essa furono sterminati tutti gli esseri esistenti sulla terra. Questa (Chiesa) noi veneriamo, e questa sola, come dice il Signore per mezzo del Profeta: ÆLibera, o Signore, la mia anima dalla lancia e dal furore del cane, l'unica mia". Egli pregava per l'anima, cioè per Se stesso - per la testa e il corpo nello stesso tempo - il quale corpo precisamente Egli chiamava l'unica Chiesa, a causa dell'unità dello Sposo , della fede, dei sacramenti e della carità ecclesiale. Questa è quella veste senza cuciture del Signore, che non fu tagliata, ma data in sorte. Dunque la Chiesa sola e unica ha un solo corpo, un solo capo, non due teste come se fosse un mostro, cioè Cristo e Pietro, vicario di Cristo e il successore di Pietro, perché il Signore disse a Pietro: ÆPasci le mie pecorelle". ÆLe mie", Egli disse, parlando in generale e non in particolare di queste o quelle, dal che si capisce, che gliele affidò tutte.

b) Sive ergo Græci sive alii se dicant Petro eiusque successoribus non esse commissos: fateantur necesse (est) se de ovibus Christi non esse, dicente Domino in Ioanne, unum (Ioa. X,16) ovile et unicum esse pastorem. (DS 873") In hac eiusque potestate duos esse gladios, spiritualem videlicet et temporalem, evangelicis dictis instruimur. Nam dicentibus Apostolis: ÆEcce gladii duo hic," in ecclesia scilicet, quum apostoli loquerentur, non respondit Dominus, nimis esse, sed satis. Certe qui in potestate Petri temporalem gladium esse negat, male verbum attendit Domini proferentis (Matth. XXVI,52). ÆConverte gladium tuum in vaginam." Uterque ergo (est) in potestate ecclesiæ, spiritualis scilicet gladius et materialis. Sed is quidem pro ecclesia, ille vero ab ecclesia exercendus. Ille sacerdotis, is manu regum et militum, sed ad nutum et patientiam sacerdotis. Oportet autem gladium esse sub gladio, et temporalem auctoritatem spirituali subiici potestati. Nam quum dicat Apostolus: ÆNon est potestas nisi a Deo; quæ autem (cf. Rom XIII,1) sunt, a Deo ordinata sunt," non autem ordinata essent, nisi gladius esset sub gladio, et tanquam inferior reduceretur per alium in suprema. Nam secundum B. Dionysium lex divinitatis est infima per media in suprema reduci. Non ergo secundum ordinem universi omnia æque ac immediate, sed infima per media et inferiora per superiora ad ordinem reducuntur. Spiritualem autem et dignitate et nobilitate terrenam quamlibet præcellere potestatem, oportet tanto clarius nos fateri, quanto spiritualia temporalia antecellunt. Quod etiam ex decimarum datione, et benedictione, et sanctificatione, ex ipsius potestatis acceptione, ex ipsarum rerum gubernatione claris oculis intuemur.

b) Se quindi i greci o altri dicono di non essere stati affidati a Pietro e ai suoi successori, devono per forza confessare di non essere tra le pecorelle di Cristo, perché il Signore dice in Giovanni che c'è un solo gregge e un (solo e) unico pastore. Proprio le parole del vangelo ci insegnano che in questa Chiesa e nella sua potestà ci sono due spade, cioè la spirituale e la temporale, perché, quando gli Apostoli dissero: ÆEcco qui due spade" - che significa nella Chiesa, dato che erano gli Apostoli a parlare - il Signore non rispose che erano troppe, ma che erano sufficienti. E chi nega che la spada temporale appartenga a Pietro, ha malamente interpretato le parole del Signore, quando dice: ÆRimetti la tua spada nel fodero". Quindi ambedue sono nel potere (a disposizione) della Chiesa, la spada spirituale e quella materiale. Però quest'ultima dev'essere esercitata in favore della Chiesa, l'altra direttamente dalla Chiesa; la prima dal sacerdote, l'altra dalle mani dei re e dei soldati, ma agli ordini e sotto il controllo del sacerdote. Poi é necessario che una spada sia sotto l'altra e che l'autorità temporale sia soggetta a quella spirituale. Perché quando l'Apostolo dice: ÆNon c'è potere che non venga da Dio e quelli (poteri) che sono, sono disposti da Dio", essi non sarebbero disposti se una spada non fosse sottoposta all'altra, e, come inferiore, non fosse dall'altra ricondotta a nobilissime imprese. Poiché secondo san Dionigi è legge da Dio, che l'inferiore sia ricondotto per l'intermedio al superiore. Dunque le cose non sono ricondotte al loro ordine alla pari e immediatamente, secondo la legge dell'universo, ma le infime attraverso le intermedie e le inferiori attraverso le superiori. Che il potere spirituale supera in dignità e nobiltà tutti quelli terreni dobbiamo proclamarlo tanto più apertamente quanto lo spirituale eccelle sul temporale. Il che, invero, noi possiamo chiaramente constatare con i nostri occhi dal versamento delle decime, dalla benedizione e santificazione, dal riconoscimento di tale potere e dall'esercitare il governo sopra le medesime.

c) Nam, veritate testante, spiritualis potestas terrenam potestatem instituere habet, et iudicare , si bona non fuerit. Sic de ecclesia et ecclesiastica potestate verificatur vaticinium Hieremiæ (Hier. I,10). ÆEcce constitui te hodie super gentes et regna" et cetera, quæ sequuntur. Ergo, si deviat terrena potestas, iudicabitur a potestate spirituali; sed, si deviat spiritualis minor, a suo superiori; si vero suprema, a solo Deo, non ab homine poterit iudicari, testante Apostolo (I. Cor. II,15): ÆSpiritualis homo iudicat omnia, ipse autem a nemine iudicatur." (DS 874") Est autem hæc auctoritas, et si data sit homini, et exerceatur per hominem, non humana, sed potius divina (potestas), ore divino Petro data, sibique suisque successoribus in ipso, quem confessus fuit petra, firmata, dicente Domino ipsi Petro (Matth. XVI,19): ÆQuodcunque ligaveris etc." Quicunque igitur huic potestati a Deo sic ordinatæ resistit, Dei ordinatione resistit , nisi duo, sicut Manichæus, fingat esse principia, quod falsum et hæreticum iudicamus, quia testante Moyse (Gen. I,1), non in principiis, sed in principio coelum Deus creavit et terram. (DS 875") Porro subesse Romano Pontifici omni humanæ creaturæ declaramus, dicimus, diffinimus et pronunciamus omnino esse de necessitate salutis. Dat. Laterani, XIV Kal. Dec., Pont. nostri Ao. VIII.

c) Poiché la Verità attesta che la potestà spirituale ha il compito di istituire il potere terreno e, se non si dimostrasse buono, di giudicarlo. Così si avvera la profezia di Geremia riguardo la Chiesa e il potere della Chiesa: ÆEcco, oggi Io ti ho posto sopra le nazioni e sopra i regni" e le altre cose che seguono. Se dunque il potere terreno devia, sarà giudicato dall'autorità spirituale; se poi il potere spirituale inferiore degenera, sarà giudicato dal suo superiore; ma se è quello spirituale supremo, potrà essere giudicato solamente da Dio e non dall'uomo, come afferma l'Apostolo: ÆL'uomo spirituale giudica tutte le cose; ma egli stesso non viene giudicato da nessuno." Questa autorità infatti, benché conferita ad un uomo ed esercitata da un uomo, non è umana, ma piuttosto divina, attribuita per bocca di Dio a Pietro, e resa intangibile per lui e per i suoi successori in colui che egli, la pietra, aveva confessato, quando il Signore disse allo stesso Pietro: ÆQualunque cosa tu legherai ecc." Perciò chiunque si oppone a questo potere istituito da Dio, si oppone all'ordine di Dio, a meno che non pretenda come i manichei che ci sono due princìpi, il che noi giudichiamo falso ed eretico, perché - come dice Mosè - non nei principii, ma nel principio Dio creò il cielo e la terra. Per consequenza noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario alla salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al Romano Pontefice. Data in Laterano, nell'ottavo anno del Nostro Pontificato.


San Bonaventura da Bagnoregio
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San Bonaventura da BagnoregioGiovanni Fidanza (Bagnorea, oggi Bagnoregio, 1217/1221 circa — Lione, 1274) è stato un religioso cristiano, un filosofo e teologo italiano, conosciuto con il nome di Bonaventura (assunto quando divenne frate francescano) o Bonaventura da Bagnoregio. Soprannominato Doctor Seraphicus, insegnò all'Università di Parigi e fu amico di san Tommaso d'Aquino. Vescovo e cardinale, dopo la morte venne canonizzato e proclamato Dottore della Chiesa. È considerato uno tra i più importanti biografo di san Francesco d'Assisi. Infatti alla sua biografia — la Legenda maior — si ispirò Giotto da Bondone per il ciclo delle storie sul Santo nella basilica di Assisi. Per diciassette anni — dal 1257 — fu ministro generale dell'Ordine francescano, del quale è ritenuto uno dei padri: quasi un secondo fondatore. Sotto la sua guida furono pubblicate le "Costituzioni narbonesi", su cui si basarono tutte le successive costituzioni dell'Ordine. La visione filosofica di Bonaventura partiva dal presupposto che ogni conoscenza derivi dai sensi: l'anima conosce Dio e se stessa senza l'aiuto dei sensi esterni. Risolse il problema del rapporto tra ragione e fede in chiave platonico-agostiniana. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che celebra la sua memoria il 15 luglio.
La data in cui Giovanni Fidanza venne alla luce non è certa. Vienne collocata tra il 1218 e il 1221.
Nel 1235 si reca a Parigi a studiare forse nella facoltà delle Arti e successivamente, nel 1243, nella facoltà di teologia. Probabilmente in quello stesso anno entra tra i Frati Minori. I suoi studi di teologia terminano nel 1253, quando diventa "magister" (cioè "maestro") di teologia e ottiene la licentia docendi (la "licenza d'insegnare"). Nel 1250 il papa aveva autorizzato il cancelliere dell'Università a conferire tale licenza a religiosi degli ordini mendicanti, sebbene ciò contrastasse con il diritto di cooptare i nuovi maestri rivendicato dalla corporazione universitaria. E proprio nel 1253 scoppia uno sciopero al quale tuttavia i membri degli ordini mendicanti non si associarono. La corporazione universitaria richiese loro un giuramento di obbedienza agli statuti, ma essi rifiutarono e pertanto vennero esclusi dall'insegnamento.
Questa esclusione colpì anche Bonaventura, che fu maestro reggente fra il 1253 e il 1257.
Nel 1254 i maestri secolari denunciarono a papa Innocenzo IV il libro del francescano Gerardo di Borgo San Donnino Introduzione al Vangelo eterno. In questo testo fra' Gerardo, rifacendosi al pensiero di Gioacchino da Fiore, annunciava l'avvento di una «nuova età dello Spirito Santo» e di una «Chiesa cattolica puramente spirituale fondata sulla povertà», profezia che si doveva realizzare attoeno al 1260. In conseguenza di questo il Papa — poco prima di morire — annullò i privilegi concessi agli ordini mendicanti. Il nuovo pontefice papa Alessandro IV condannò il libro di Gerardo con una bolla nel 1255, prendendo tuttavia posizione a favore degli ordini mendicanti e senza più porre limiti al numero delle cattedre che essi potevano ricoprire. I secolari rifiutarono queste decisioni, venendo così scomunicati, anche per il boicottaggio da loro operato ai danni dei corsi tenuti dai frati mendicanti. Tutto questo nonstante che i primi avessero l'appoggio del clero e dei vescovi, mentre il re di Francia Luigi IX si trovava a sostenere le posizioni dei mendicanti.
Nel 1257 Bonaventura venne riconosciuto magister.
Nello stesso anno fu eletto Ministro generale dell'Ordine francescano, e rinunciando così alla cattedra. A partire da questa data, preso dagli impegni della nuovo servizio, accantonò gli studi e compì vari viaggi per l'Europa. Il suo obiettivo principale fu quello di conservare l'unità dei Minori, prendendo posizione sia contro la corrente spirituale (influenzata dalle idee di Gioacchino da Fiore e incline ad accentuare la povertà del francescanesimo primitivo), sia contro le tendenze mondane insorte in seno all'Ordine. Favorevole a coinvolgere l'Ordine francescano nel ministero pastorale e nella struttura organizzativa della Chiesa, nel Capitolo generale di Narbona del 1260, contribuì a definire le regole che dovevano guidare la vita dei membri dell'Ordine: le Costituzioni dette appunto Narbonensi.
A lui, in questo Capitolo, venne affidato l'incarico di redigere una nuova biografia di san Francesco d'Assisi che, intitolata Legenda maior, diventerà la biografia ufficiale nell'Ordine. Infatti il Capitolo generale succesivo, del 1263, approvò l'operà composta dal Ministro generale; mentre il Capitolo del 1266, riunito a Parigi, giunse a decretare la distruzione di tutte le biografie precendenti alla Legenda Maior, probabilmente per proporre all'Ordine una immagine univoca del proprio fondatore, in un momento in cui le diverse interpretazioni fomentavano contrapposizioni e conducevano verso la divisione.[1] Negli ultimi anni della sua vita, Bonaventura intervenne nelle lotte contro l'aristotelismo e nella rinata polemica fra maestri secolari e mendicanti.
A Parigi, tra il 1267 e il 1269, tenne una serie di conferenze sulla necessità di subordinare e finalizzare la filosofia alla teologia.
Nel 1270 lascia Parigi per farvi però ritorno nel 1273, quando tiene altre conferenze nelle quali attacca quelli che sono a suo parere gli errori dell'aristotelismo.
Nel maggio del 1273, già vescovo di Albano, viene nominato cardinale; l'anno successivo partecipa al Concilio di Lione (in cui favorisce un riavvicinamento fra le Chiesa latina e quella greca), nel corso del quale muore, forse a causa di un avvelenamento, stando almeno a quanto affermò in seguito il suo segretario, Pellegrino da Bologna.
Pierre de Tarentasie, futuro papa Innocenzo V, ne celebrò le esequie, e Bonaventura venne inumato nella chiesa francescana di Lione.
Nel 1434 la salma venne traslata in una nuova chiesa, dedicata a San Francesco d'Assisi; la tomba venne aperta e la sua testa venne trovata in perfetto stato di conservazione: questo fatto ne facilitò la canonizzazione, che avvenne ad opera del papa francescano Sisto IV il 14 aprile 1482, e la nomina a dottore della Chiesa, compiuta il 14 maggio 1588 da un altro francescano, papa Sisto V.
Bonaventura è considerato uno dei pensatori maggiori della tradizione francescana, che anche grazie a lui si avviò a diventare una vera e propria scuola di pensiero, sia dal putno di vista teologico che da quello filosofico.
Difese e ripropose la tradizione patristica, in particolare il pensiero e l'impostazione di sant'Agostino.
Egli combatté apertamente l'aristotelismo, anche se ne acquisì alcuni concetti, fondamentali per il suo pensiero.
Inoltre valorizzò alcune tesi della filosofia arabo-ebraica, in particolare quelle di Avicenna e di Avicebron, ispirate al neoplatonismo.
Nelle sue opere ricorre continuamente l'idea del primato della sapienza, come alternativa ad una razionalità filosofica isolata dalle altre facoltà dell'uomo.
Egli sostiene, infatti, che:
"(...) la scienza filosofica è una via verso altre scienze. Chi si ferma resta immerso nelle tenebre".
Secondo Bonaventura è il Cristo la via a tutte le scienze, sia per la filosofia che per la teologia.
Nella sua opera più famosa, l'Itinerarium mentis in Deum ("L'itinerario della mente verso Dio"), Bonaventura spiega che il criterio di valore e la misura della verità si acquisiscono dalla fede, e non dalla ragione (come sostenevano gli averroisti).
Da ciò fa conseguire che la filosofia serve a dare aiuto alla ricerca umana di Dio, e può farlo, come diceva sant'Agostino, solo riportando l'uomo alla propria dimensione interiore (cioè l'anima), e, attraverso questa, ricondurlo infine a Dio.
Secondo Bonaventura, dunque, il viaggio spirituale verso Dio è frutto di una illuminazione divina, che proviene dalla ragione suprema di Dio stesso.
Per giungere a Dio, quindi, l'uomo deve passare attraverso tre gradi, che, tuttavia, devono essere preceduti dall'intensa ed umile preghiera, poiché:
"(...) nessuno può giungere alla beatitudine se non trascende sé stesso, non con il corpo, ma con lo spirito. Ma non possiamo elevarci da noi se non attraverso una virtù superiore. Qualunque siano le disposizioni interiori, queste non hanno alcun potere senza l'aiuto della Grazia divina. Ma questa è concessa solo a coloro che la chiedono (...) con fervida preghiera. É la preghiera il principio e la sorgente della nostra elevazione. (...) Cosí pregando, siamo illuminati nel conoscere i gradi dell'ascesa a Dio".
La "scala" dei 3 gradi dell'ascesa a Dio è simili alla "scala" dei 4 gradi dell'amore di Bernardo di Chiaravalle, anche se non uguale; tali gradi sono:
1) Il grado esteriore:
"(...) è necessario che prima consideriamo gli oggetti corporei, temporali e fuori di noi, nei quali è l'orma di Dio, e questo significa incamminarsi per la via di Dio.
2) Il grado interiore:
"È necessario poi rientrare in noi stessi, perché la nostra mente è immagine di Dio, immortale, spirituale e dentro di noi, il che ci conduce nella verità di Dio.
3) Il grado eterno:
"Infine, occorre elevarci a ciò che è eterno, spiritualissimo e sopra di noi, aprendoci al primo principio, e questo dona gioia nella conoscenza di Dio e omaggio alla Sua maestà".
Inoltre, afferma Bonaventura, in corrispondenza a tali gradi, l'anima ha anche tre diverse direzioni:
"(...) L'una si riferisce alle cose esteriori, e si chiama animalità o sensibilità; l'altra ha per oggetto lo spirito, rivolto in sé e a sé; la terza ha per oggetto la mente, che si eleva spiritualmente sopra di sé. Tre indirizzi che devono disporre l'uomo a elevarsi a Dio, perché l'ami con tutta la mente, con tutto il cuore, con tutta l'anima (...).
Dunque, per Bonaventura l'unica conoscenza possibile è quella contemplativa, cioè la via dell'illuminazione, che porta a cogliere le essenze eterne, e ad alcuni permette persino di accostarsi a Dio misticamente. L'illuminazione guida anche l'azione umana, in quanto solo essa determina la «sinderesi», cioè la disposizione pratica al bene.
Il mondo, per Bonaventura, è come un libro da cui traspare la Trinità che l'ha creato. Noi possiamo ritrovare la Trinità "extra nos" (cioè "fuori di noi"), "intra nos" ("in noi") e "super nos" ("sopra di noi"). Infatti, la Trinità si rivela in 3 modi:
come "vestigia" (o impronta) di Dio, che si manifesta in ogni essere, animato o inanimato che sia;
come "immagine" di Dio, che si trova solo nelle creature dotate d'intelletto, in cui risplendono memoria, intelligenza e volontà;
come "similitudine" di Dio, che è qualità propria delle creature giuste e sante, toccate dalla Grazia e animate da fede, speranza e carità; quindi, quest'ultima è ciò che ci rende "figli di Dio".
La Creazione dunque è ordinata secondo una scala gerarchica trinitaria, e la natura non ha sua consistenza, ma si rivela come segno visibile del principio divino che l'ha creata; solo in questo, quindi, trova il suo significato. Bonaventura trae questo principio anche da un passo evangelico, in cui i discepoli di Gesù dissero:
"Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli! Alcuni farisei tra la folla gli dissero: Maestro, rimprovera i tuoi discepoli. Ma egli rispose: Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre. (Lc, 19,38-40)
Le creature, dunque, sono impronte, immagini, similitudini di Dio, e persino le pietre "gridano" tale loro legame col divino.
Opere
Breviloquium
Collationes de decem praeceptis
Collationes de septem donis Spiritus Sanctis
Collationes in Hexaemeron
Commentaria in quattuor libros sententiarum Magistri Petri Lombardi
De mysterio Trinitatis
De perfectione vitae ad sorores
De reductione artium ad theologiam
De Regno Dei descripto in parabolis evangelicis
De scientia Christi et mysterio Trinitatis
De sex alis Seraphin
De triplici via
Itineriarium mentis in Deum
Legenda Sancti Francisci
Lignum vitae
Officium de passione Domini
Quaestiones de perfectione evangelica
Soliloquium
Summa theologiae
Vitis mystica
Vedi = Giovanni Merlo, Storia di frate Francesco e dell'Ordine dei Minori, in Maria Pia Alberzoni et al. Francesco d'Assisi e il primo secolo di storia francescana. Torino, Einaudi, 1997. pp. 28-30


Domenico Cavalca nacque a Vicopisano nel c.1270 (morì a Pisa nel 1342).
Predicatore domenicano, a partire dal 1320 svolse una notevole attività religiosa e letteraria tesa alla diffusione della ideologia cattolica.
Fu autore di fortunatissimi volgarizzamenti di trattati ascetici (Specchio della crose, Mondizia del cuore, Pungilingua) in cui inserì circa 50 componimenti poetici, sonetti, laude e sirventesi.
Celebre soprattutto le sue Vite dei Santi Padri che traducono le pie leggende tradizionali in una prosa agile e intensa, ricca di aneddoti e senza ricercatezze retoriche.
Opere che ebbero un notevole successo, testimoniato dagli oltre 600 codici rimasti.


Vincenzo Ferrer [Santo], nato a Valencia, in Spagna nel 1350, è uno dei più grandi apostoli di ogni tempo. In lui s’incarna tutto l’ideale del Frate Predicatore, come lo concepì e lo volle il Santo Patriarca Domenico. A diciassette anni entrò nell’Ordine ricco di tutti i doni di natura e di grazia. Gli anni di preparazione al grandioso apostolato a cui la Provvidenza lo aveva eletto, si svolsero nel segreto della cella, dove i suoi giorni e le sue notti erano un continuo alternarsi di studio, di preghiera e di penitenza. Iniziata nel 1399 la sacra predicazione si vide subito che era stato investito da Dio stesso di una divina missione che lo vide protagonista in Italia, Svizzera e Francia. Ammalatosi di dolore per i mali che affliggevano la Chiesa, a causa principalmente del doloroso scisma d’occidente, gli apparve il Salvatore e risanatolo all’istante gli ingiunse di andare a predicare ai popoli i divini giudizi. Vincenzo percorse, quasi sempre a piedi, la Francia, la Spagna e l’Italia, passando come il più pacifico e il vittorioso dei conquistatori. In massa le anime cadevano vinte ai suoi piedi, per rialzarsi rinnovate e ravvicinate a Dio. La sua potente parola era sostenuta dai più meravigliosi carismi. Ebbe il dono delle lingue, leggeva nel futuro e nel segreto dei cuori, e forse mai, dal tempo degli apostoli, la predicazione fu confermata da tanti miracoli. Fu arbitro di pace tra i popoli e i regni. A lui si deve la fine del doloroso scisma che invano, quarant’anni anni prima Caterina da Siena aveva cercato di scongiurare. Morì il 5 aprile 1419 nella Bretagna Minore, a Vannes, dove ancora si conserva il suo corpo. Nel suo processo di canonizzazione furono autenticati 873 miracoli. Papa Callisto III il 29 giugno 1455 lo ha proclamato Santo. [da "I Santi - on line" - Testo di Franco Mariani - Addetto Stampa Congregazione Suore Domenicane dello Spirito Santo ]


Aristotele (Stagira, 384 a.C. – Calcide, 7 marzo 322 a.C.) è stato un filosofo greco, tra i maggiori di tutta la storia del pensiero filosofico. Aristotele nacque a Stagira, città del regno di Macedonia, nella quale tuttavia si parlava, in quanto antica colonia, la lingua greca. Riferisce Diogene Laerzio (Vite, V, 1) che il padre «Nicomaco, a sua volta, discendeva da Nicomaco figlio di Macaone, figlio di Asclepio [...] visse presso Aminta, il re dei Macedoni, prestandogli i servigi di medico e di amico [...] Aristotele era balbuziente nel parlare [...] aveva anche gambe sottili, come dicono, e occhi piccoli; indossava un abito appariscente e portava anelli e capelli corti»; la madre Festide era originaria di Calcide, nell'isola Eubea. Aristotele, come figlio del medico reale, doveva pertanto risiedere nella capitale Pella; rimasto orfano in tenera età, dovette trasferirsi ad Atarneo, cittadina dell'Asia Minore, dal tutore Prosseno, forse suo cognato, il quale, verso il 367 a.C., lo mandò ad Atene, per studiare nell'Accademia fondata da Platone circa vent'anni prima. Quando il diciassettenne Aristotele entra nell'Accademia, Platone è in Sicilia da un anno, su invito di Dione, parente di Dionigi I, e tornerà ad Atene solo nel 364 a.C.; in questi anni, secondo l'impostazione didattica dell'Accademia, Aristotele dovette iniziare con lo studio della matematica per passare tre anni dopo alla dialettica. A reggere la scuola è Eudosso di Cnido, uno scienziato che dovette influenzare il giovane studente che, molti anni dopo, nell'Etica Nicomachea scriverà che i ragionamenti di Eudosso «avean acquistato fede più per la virtù dei suoi costumi che per se stessi: appariva di un’insolita temperanza, sembrando ragionare, nell'identificare il bene col piacere, non perché amante del piacere, ma perché pensava che la cosa stesse veramente così». Eudosso non condivideva la dottrina platonica delle idee, le teorie del piacere e delle sfere astrali.
Le opere giovanili
Il Grillo o Sulla retorica
Intorno al 360 a.C. il giovane Aristotele avrebbe scritto la sua prima opera, intitolata Grillo o Sulla retorica; in reazione a una serie di scritti di elogio - composti da alcuni retori ateniesi, fra i quali Isocrate, per celebrare Grillo, figlio di Senofonte, morto nel 362 a.C. nella battaglia di Mantinea - lo Stagirita polemizzava contro la retorica come mezzo per agire sugli affetti, sulla parte irrazionale dell’anima. Già Platone, nel Gorgia, aveva sostenuto che la retorica non era un’arte, né una scienza, ma semplicemente una eµpe???a, una pratica persuasiva che può avere successo solo sugli ignoranti. Il successo del Grillo nell'Accademia procurò ad Aristotele l'incarico di tenere un corso di retorica, nel quale, seguendo il Fedro platonico, sostenne che la retorica doveva fondarsi sulla dialettica.
Sulle "Idee"
Scritto poco dopo il Grillo, il trattato Sulle Idee è andato perduto e pochi frammenti sono stati trasmessi da Alessandro d'Afrodisia. Vi si affrontava la difficoltà di intendere il rapporto tra idee e cose, concepito da Platone come partecipazione delle cose alle idee che da esse sono tuttavia separate. Eudosso sosteneva che tra le idee e le cose non ci fosse né separazione, né partecipazione ma mixis, mescolanza: le idee e le cose sono mescolate tra loro. Aristotele non accetta la teoria eudossiana, che non risolve il problema, ma critica anche la teoria platonica della separazione, delle cui aporie lo stesso Platone era del resto ben consapevole, come mostra il suo dialogo Parmenide. Per Aristotele le idee non sono trascendenti ma sono immanenti cause formali delle cose.
Sul "Bene"
Nel tentativo di superare un’altra difficoltà contenuta nella teoria delle idee le quali, essendo molteplici, hanno bisogno, secondo Platone, di essere giustificate da un principio unitario, Platone introdusse i principi dell’Uno (identificato con il Bene) e della Diade (il grande e il piccolo); il primo ha la funzione di principio formale e il secondo ha la funzione di principio materiale. L’Uno e la Diade, insieme, sono la causa delle idee-numeri e delle idee, mentre queste ultime sono la causa delle cose. È probabile che le conclusioni del trattato aristotelico Sul Bene, scritto intorno al 358 a.C. e del quale rimangono pochi frammenti, fossero quelle esposte nella matura Metafisica (A 6, 987 b 6 e segg.): «Platone chiamò idee gli esseri diversi da quelli sensibili e disse che di tutte le cose sensibili si parla in dipendenza dalle idee e secondo le idee: infatti le cose molteplici che hanno lo stesso nome delle idee esistono per partecipazione [...] ma che cosa fosse la partecipazione o l'imitazione delle idee è un problema che [Platone e i pitagorici] lasciarono aperto. Inoltre Platone dice che, oltre alle cose sensibili e alle idee, esistono le cose matematiche, che sono intermedie, e differiscono dalle cose sensibili perché sono eterne e immobili, e differiscono dalle idee per il fatto che ce ne sono molte simili tra loro, mentre ciascuna idea è unica in sé [...] Come principi, Platone poneva la Diade, cioè il grande e il piccolo, come materia, e poneva l'Uno come sostanza; dal grande e dal piccolo, per partecipazione all'Uno, si costituiscono le idee, che sono i numeri che nascono da quei principi [...] Platone sosteneva una tesi vicina a quella dei Pitagorici, e si poneva sulle loro posizioni, quando diceva che i numeri sono la causa della sostanza delle altre cose [...] egli ricorre soltanto a due cause, l'essenza e la causa materiale, perché le idee sono la causa dell'essenza delle altre cose, mentre l'Uno è causa dell'essenza delle idee». Aristotele respinse dunque, già nel primo periodo della sua formazione, la teoria delle idee nella lunga elaborazione fatta da Platone ma, dalla meditazione su di essa, ne trasse la personale dottrina della causa formale e della causa materiale.
L' Eudemo o Sull'anima Nel 354 a.C., alla morte in guerra, presso Siracusa, dell'amico e compagno di studi Eudemo di Cipro, Aristotele scrisse, in forma consolatoria e non speculativa, un altro dialogo, pervenuto in frammenti, l' Eudemo o Sull'anima, nel quale, prendendo a modello il Fedone platonico, sosterrebbe la tesi dell'immortalità dell'anima razionale, come indicato nella forma pur problematica della posteriore Metafisica (? 3, 1070 a 24-26): «Se rimanga qualche cosa dopo l'individuo, è una questione ancora da esaminare. In alcuni casi, nulla impedisce che qualcosa rimanga: per esempio, l'anima può essere una cosa di questo genere, non tutta, ma solo la parte intellettuale; perché è forse impossibile che tutta l'anima sussista anche dopo». Per l’Aristotele maturo, l'anima non è un'idea ma una sostanza informante il corpo: nell’ Eudemo è invece netta è l’opposizione fra anima e corpo sicché lo Jaeger la considerava dimostrazione dell’adesione completa del giovane Aristotele al platonismo; i sostenitori della precoce presa di distanza dello Stagirita da Platone intendono invece questa dichiarata opposizione come dipendente dall’intento consolatorio del dialogo, nel quale Aristotele avrebbe volutamente accentuato il destino ultraterreno dell’anima. In ogni caso, i frammenti dell' Eudemo non permettono di dedurre un'adesione alle dottrine platoniche delle idee separate dagli oggetti sensibili e della conoscenza fondata sulla reminiscenza.
Il Protreptico
Del Protreptico o Esortazione alla filosofia, conosciuto dalle numerose citazioni contenute nell'opera di eguale titolo di Giamblico, dedicato a Temisone, re di una città di Cipro, dovette essere scritto intorno al 350 a.C.. Il Protreptico è un’esortazione alla filosofia, essendo questa il più grande dei beni, dal momento che ha per scopo se stessa, mentre le altre scienze hanno per fine qualcosa di diverso da sé. Aristotele individua nell’essere umano la divisione fra anima e corpo: «una parte di noi è l’anima e una parte è il corpo, l’una comanda e l’altra è comandata, l’una si serve dell’altra e l’altra sottostà come uno strumento [...] Nell’anima ciò che comanda e giudica per noi è la ragione, mentre il resto ubbidisce e per natura è comandato [...] dunque l’anima è migliore del corpo, essendo più adatta al comando, e nell’anima è migliore quella parte che possiede la ragione e il pensiero», una divisione non vista come opposizione, come nell’ Eudemo, ma come collaborazione: il corpo è lo strumento dell’agire dell’anima, anzi della parte razionale dell’anima. «Delle cose che sono generate, alcune sono generate dall’intelligenza e dall’arte, per esempio, la casa e la nave; altre sono generate non per arte ma per natura: degli esseri viventi e delle piante, infatti, la causa è la natura e per natura sono generate tutte le cose di tal specie; altre però sono generate anche per caso, e sono tutte quelle non generate né per arte, né per natura, né da necessità, e tutte queste cose, molto numerose, noi diciamo che sono generate per caso». Non vi è finalità nel caso ma vi è nell’arte e nella natura: la natura è l’ordine tendente a un fine, e il fine dell’uomo è la conoscenza. La filosofia è sia buona che utile, ma la bontà va privilegiata rispetto all’utilità: «alcune cose, senza le quali è impossibile vivere, le amiamo in vista di qualcosa di diverso da esse: e queste bisogna chiamarle necessarie e cause concomitanti; altre invece le amiamo per se stesse, anche se non ne consegua nulla di diverso, e queste dobbiamo chiamarle propriamente beni [...] Sarebbe quindi del tutto ridicolo cercare di ogni cosa un’utilità diversa dalla cosa stessa, e domandare: "Che cosa ci è giovevole? Che cosa ci è utile?". Colui che ponesse queste domande non assomiglierebbe in nulla a uno che conosce ciò che è bello e buono né a uno che sappia riconoscere che cosa è causa e che cosa è concomitante». E’ una polemica, questa, contro le posizioni di Isocrate che, nel suo Antidosis, scritto contro l'Aristotele del Grillo, attaccava una conoscenza che fosse priva di utilità pratica. Del resto, che fare filosofia sia per Aristotele comunque necessario lo dimostra il fatto che «chi pensa sia necessario filosofare, deve filosofare e chi pensa che non si debba filosofare, deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l’addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloquio».
Il De philosophia Il De Philosophia, pervenuto in frammenti, fu scritto intorno al 355 a.C. e si divide in tre libri: nel primo Aristotele definisce filosofia la conoscenza dei principi della realtà; nel secondo critica la dottrina platonica delle idee e delle idee-numeri; nel terzo espone la sua teologia. Ribadisce la non trascendenza delle idee e nega le idee-numero o numeri ideali, introdotti dal tardo Platone: «se le idee sono un’altra specie di numero, non matematico, non potremmo averne alcuna comprensione; chi, fra noi, comprende un tipo di numero diverso?». È Cicerone (De natura deorum, 1, 13) a citare, criticamente, il terzo libro del De philosophia:: «Aristotele nel terzo libro della sua opera Della filosofia confonde molte cose dissentendo dal suo maestro Platone. Ora infatti attribuisce tutta la divinità a una mente, ora dice che il mondo stesso è dio, ora prepone al mondo un altro essere e gli affida il compito di reggere e governare il moto del mondo per mezzo di certe rivoluzioni e moti retrogradi, talora dice che dio è l'etere, non comprendendo che il cielo è una parte di quel mondo che altrove ha designato come potere divino». La dimostrazione della necessità e dell’immutabilità di Dio è fornita dalla testimonianza di Simplicio (De coelo, 228): «dove c’è un meglio, c’è anche un ottimo: poiché, fra ciò che esiste, c’è una realtà superiore a un’altra, esisterà di conseguenza una realtà perfetta, che dovrà essere la potenza divina [...] e ne deduce la sua immutabilità». Puro pensiero e immutabile, Dio non può creare il mondo, che è anch’esso eterno, come riporta Cicerone (Tuscolane, 15, 42): «il mondo non ha mai avuto origine, poiché non vi è stato alcun inizio, per il sopravvenire di una nuova decisione, di un’opera così eccellente» e attesta anche la concezione della divinità degli astri: «Le stelle poi occupano la zona eterea. E poiché questa è la più sottile di tutte ed è sempre in movimento e sempre mantiene la sua forza vitale, è necessario che quell’essere vivente che vi nasca sia di prontissima sensibilità e di prontissimo movimento. Per la qual cosa, dal momento che sono gli astri a nascere nell’etere, è logico che in essi siano insite sensibilità e intelligenza. Dal che risulta che gli astri devono essere ritenuti nel numero delle divinità».
L'abbandono dell'Accademia e la fondazione del Peripato
Nel 347 a.C. muore Platone e alla direzione dell'Accademia viene chiamato Speusippo, nipote del grande filosofo ateniese. Aristotele, che evidentemente doveva ritenersi il più degno, lascia la scuola insieme con Senocrate, altro pretendente alla guida dell'Accademia, per trasferirsi ad Atarneo, invitato dal tiranno della città, Ermia, dove già operavano altri due allievi di Platone, Erasto e Coristo. Nello stesso anno tutti e quattro si trasferiscono ad Asso, dove fondano una scuola alla quale aderiscono anche il figlio di Corisco, Neleo, e il futuro successore di Aristotele nella scuola di Atene, Teofrasto. Nel 344 a.C. va a Mitilene, sull'isola di Lesbo, e v'insegna fino al 342, anno in cui è chiamato in Macedonia dal re Filippo perché faccia da precettore al figlio Alessandro. Quando nel 340 a.C. Alessandro diviene reggente del regno di Macedonia Aristotele, che è intanto rimasto vedovo e convive con la giovane Erpilli, da cui ha avuto il figlio Nicomaco, torna forse a Stagira e, intorno al 335 a.C., si trasferisce ad Atene, dove in un pubblico ginnasio, detto Liceo perché sacro ad Apollo Liceo, fonda una sua scuola, chiamata Peripato - passeggiata, dall'uso istituito dallo Stagirita di insegnare passeggiando nel giardino che la circonda. Nel 323 a.C. muore Alessandro Magno e ad Atene si manifestano apertamente i mai sopiti odi antimacedoni; Aristotele, guardato con ostilità per il suo legame con la corte macedone, è accusato di empietà: lascia allora Atene e con la famiglia si rifugia a Calcide, la città materna, dove muore l'anno dopo.
Il testamento Diogene Laerzio (Vite, V, 11-16) riporta il testamento di Aristotele: «Andrà senz'altro bene, ma qualora capitasse qualcosa, Aristotele ha steso le seguenti disposizioni: tutore di tutti, sotto ogni aspetto, dev'essere Antipatro; però, Aristomene, Timarco, Ipparco, Diotele e Teofrasto, se è possibile, si prendano cura dei figli, di Erpillide [la sua convivente] e delle cose da me lasciate, fino all'arrivo di Nicanore. E al momento giusto, mia figlia [Piziade] sia data in sposa a Nicanore [...] Se invece Tofrasto vorrà prendersi cura di mia figlia, allora sia padrone lui [...] I tutori e Nicanore, ricordandosi di me, si prendano cura anche di Erpillide, sotto ogni aspetto e anche se vorrà risposarsi, in modo che non sia data in sposa indegnamente, visto che è stata premurosa con me. In particolare, le vengano dati, oltre a quello che ha già ottenuto, anche un tallero d'argento e tre schiave, quelle che vuole, la schiava che già ha e lo schiavo Pirro. E se vorrà abitare a Calcide, le sia data la casa per gli ospiti vicino al giardino; se invece vorrà stare a Stagira, le sia data la mia casa paterna [...] Sia libera Ambracide e le si diano, alle nozze di mia figlia, cinquecento dracme e la giovane serva che già possiede [...] Sia liberato Ticone quando mi figlia si dovesse sposare, e così anche Filone, Olimpione e il suo ragazzino. Non vendano nessuno dei giovani schiavi che attualmente mi servono, ma siano impiegati; una volta dell'età giusta, siano liberati, se lo meritano [...] Ovunque sia costruita la mia tomba, là siano portate e deposte le ossa di Piziade, come lei stessa ordinò; dedichino poi anche da parte di Nicanore, se sarà ancora vivo - come ho pregato a suo favore - statue di pietra alte quattro cubiti a Zeus Salvatore e ad Atena Salvatrice a Stagira».
Le opere Della produzione filosofica aristotelica ci sono giunti solo gli scritti composti per il suo insegnamento nel Peripato, detti acroamatici o esoterici; ma Aristotele scrisse e pubblicò, durante la sua precedente permanenza nell’Accademia di Platone, anche dei dialoghi destinati al pubblico, per questo motivo detti essoterici, che sono però pervenuti in frammenti. Questi dialoghi giovanili furono letti e discussi dai commentatori fino al VI secolo d.C. Soprattutto a causa della soppressione dell’Accademia ateniese ordinata nel 529 da Giustiniano e alla diaspora di quegli accademici, tutti non cristiani, queste opere si dispersero e furono dimenticate, mentre di Aristotele rimasero solo i trattati esoterici; questi, a loro volta, erano stati dimenticati a lungo dopo la morte del Maestro e furono trovati, alla fine del II secolo a.C. da un bibliofilo ateniese, Apellicone di Teo, in una cantina appartenente agli eredi di Neleo, figlio di Corico, entrambi seguaci di Aristotele nella scuola di Asso. Apellicone li acquistò, portandoli ad Atene e qui Silla li sequestrò nel saccheggio di Atene dell’84 a.C., portandoli a Roma, dove furono ordinati e pubblicati da Andronico da Rodi.
L'insieme di queste opere può essere ordinato per argomenti omogenei:
Logica, scritti raccolti nel titolo complessivo di Organon - in greco, "strumento" - comprendenti: 1 - Le categorie
2 - De interpretatione
3 - Analitici primi
4 - Analitici secondi
5 - Topici
6 - Elenchi sofistici
Metafisica
Fisica:
1 - Sul cielo
2 - Sulla generazione e corruzione
3 - Sulle meteore
4 - Storia degli animali
5 - Sulle parti degli animali
6 - Sulla generazione degli animali
7 - Sulle migrazioni degli animali
8 - Sul movimento degli animali
Sull'anima :
1 - Sensazione e sensibile
2 - Memoria e reminiscenza
3 - Il sonno
4 - I sogni
5 - La divinazione mediante i sogni
6 - Lunghezza e brevità della vita
7 - Giovinezza e vecchiaia
8 - La respirazione
Etica:
1 - Etica Nicomachea
2 - Etica Eudemia
3 - Grande etica
Politica:
1 - Costituzione degli Ateniesi
Retorica:
Poetica
Studi
W. Jaeger, Aristotele, Firenze, 1935
A. Jori, Aristotele, Milano, 2003
E. Berti, La filosofia del primo Aristotele, Padova, 1962
W. Leszl, Il «De Ideis» di Aristotele e la teoria platonica delle idee, Firenze, 1975
M. Isnardi Parente, Studi sull'accademia platonica antica, Firenze, 1979
Cicerone, Tuscolane, Milano, 1996
Cicerone, La natura divina, Milano, 1998
Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, Milano, 2006
[TESTO DA "WIKIPEDIA - L'ENCICLOPEDIA LIBERA "ON LINE"]


Giovanni Duns Scoto (Duns, Edimburgo, 1266 o 1274 ca - Colonia, 1308), conosciuto anche come Doctor Subtilis, fu un filosofo e teologo britannico.
Nato in Scozia nel periodo fra il 1266 e il 1274, Duns Scoto, entrato a far parte dei francescani, studiò a Oxford e Parigi, dove poi si recò per insegnare. A seguito del conflitto politico-religioso fra Bonifacio VIII e Filippo il Bello, si schierò dalla parte del Papa e quindi dovette allontanarsi da Parigi, dove tornò solo nel 1305. Si spostò infine a Colonia, per proseguire la attività di insegnamento, ma vi trovò la morte nel 1308.
Duns Scoto è conosciuto come il filosofo dell' haecceitas (dal lat. "haec", sottinteso "res", ovvero letteralmente "questa cosa"), ossia della "questità", l'essere individuata, una determinata cosa, come "questa e non altra" hic et nunc, qui ed ora, in un dato spazio-tempo. L'haecceitas è il limite che la ragione non può esplorare: la filosofia arriva a determinare l'individuazione come principio, ma non può indagare razionalmente il singolo individuo.
Parlando delle idee platoniche, il filosofo nota come fra due copie di uno stesso oggetto (es. due libri uguali) la filosofia non può dire nulla se non che siano in due spazi e/o tempi diversi.
Ciò vale anche per le idee-attributi fra soggetti: la filosofia parla di noi solo per ciò che abbiamo in comune. Del resto partiva con Talete dall'arché che è ciò che è comune a tutti gli enti e culminava in Parmenide con la massima generalità dell'essere e in Platone con i 5 generi sommi.
Dell'albero delle idee restano inesplorabili i due estremi: l'Uno plotiniano sopra e l'individuo-persona in fondo, esseri simili ed opposti. Per Scoto il limite non è della filosofia, ma di ogni sapere (anche della scienza); alcuni filosofi ancora oggi concordano nell'inesplorabilità dell'Uno e dell'Io, o almeno che ci sia un'intimità di ognuno che non può essere indagata, il sensus sui , il sapere e sentire che esistono di cui parlerà Tommaso Campanella.
L'individuo è per la filosofia un limite di pensiero e di essere: fin dall'inizio la filosofia non tentò di penetrare l'individuo; ma esso è un limite strutturale e ontologico del sapere filosofico.
Poiché la filosofia non parla dell'individuo, non dipende dall'individuo e perciò vale in misura eguale per tutti gli individui, come è proprio di un sapere universale e necessario. Scoto notò che non è possibile trattare il soggetto in maniera oggettiva, perché un pensiero con tale pretesa farebbe del soggetto un oggetto, facendo coincidere i due contrari.
Qualunque sapere che penetrasse il soggetto, perderebbe la propria universalità e necessità, divenendo vero per alcuni ma non per tutti. La filosofia entrando a parlare dell'individuo cadrebbe nel mondo dell'opinione (la categoria più bassa del sapere secondo Platone).
Per soggetto e individuo si intende ciò che rende un individuo unico e diverso dagli altri in corpo e comportamento; ammesso che vi sia qualche aspetto del corpo e del comportamento che lo rendono unico,quanto meno per ogni ente anche non cosciente l'individuo che la filosofia non può penetrare è la cosiddetta "haecceitas", la "questità", ciò che lo rende "un questo" (e non un altro) che per Aristotele è hic et nunc, qui ed ora.
Nel caso di ogni individuo la filosofia non può rispondere alle domande riguardo perché viviamo proprio in quest'epoca, in questo luogo (nazione, città, etc.) e non in un altro, perché siamo così e non altrimenti. Le proprietà minime che sono di ogni ente secondo la definizione aristotelica sono l'essere hic, nunc, sé stesso ossia non-essere gli altri enti. Queste proprietà rendono ogni ente diverso da tutti gli altri (individuandolo) e nello stesso tempo sono ciò che è in comune a tutti gli enti. Possono esservi altre proprietà che differenziano gli enti fra loro (es.due pietre o due esseri umani), ma queste sono le uniche tre che differenziano ogni ente da tutti gli altri. Un essere umano ha tratti che lo distinguono da tutto ciò che vive, ma è sempre un essere .
Platone escluse la possibilità di pensare e di essere del perché dell'essere: non si può dare un perché all'essere poiché non esiste, ma Scoto abbassa il limite della conoscenza di causa dall'essere all'ente: non solo non possiamo dire perché c'è l'essere parmenideo, ma nemmeno perché l'essere individuale sia così e non altrimenti, cioè perché gli enti siano qui, perché siano ora, perché siano così.
Con Platone il non-essere in senso relativo la filosofia ha introdotto nel pensiero la possibilità di pensare e parlare di enti; con Scoto ha capito di non poterne dare una necessità.
Simile era stato il passaggio dialettico da Parmenide a Platone che affermava la necessità di essere dell'essere, ma l'impossibilità di necessitarne il contenuto. Anche gli enti sono forme necessarie, ma il loro contenuto (essere così e non altrimenti) non si riesce a necessitare.
L'essere e l'individuo sono temi di cui la ragione può affermare l'esistenza, ma ha poco da dire perché la ragione che pretende di parlare dell'incondizionato cade in contradddizione. Il limite di non dipendere dall'individuo è anche il punto di forza di un sapere universale e necessario.
Opere
Prima del 1295 :
Parva logicalia
Quaestiones super Porphyrii Isagogem
Quaestiones in librum Praedicamentorum
Quaestiones in I et II librum Perihermeneias
Octo quaestiones in duos libros Perihermeneias
Quaestiones in libros Elenchorum
Lectura
Quaestiones super libros De anima
Quaestiones super libros Metaphysicorum Aristotelis
Questioni sulla Metafisica , prima e intorno al 1300
Expositio super libros Metaphysicorum Aristotelis
Ordinatio o Opus Oxiense (verso 1300 - 1304)
Collationes oxonienses et parisienses (verso 1303 - 1305)
Reportatio parisiensis o Opus Pariense (1304 - 1305 ?)
Quaestiones Quodlibetales (1306 - 1307)
Tractatus de Primo Principio
Theoremata (di incerta attribuzione)
Quaestiones Quodlibetales
De Rerum Principio
Va sottolineato che di alcuni di questi scritti è stata messa in dubbio l'autenticità."
[TESTO DA "WIKIPEDIA, L'ENCICLOPEDIA LIBERA ON LINE"]


Carlo Amoretti natoad Oneglia il 16 marzo 1741, nel 1756 si fece agostiniano e si recò a Pavia e a Parma. per completare i suoi studi, rivolti soprattutto verso la teologia, le lettere moderne e la fisica. A Parma si impegnò nel settore del’insegnamento, diventando sostenitore dei progetti riformistici di Guglielmo Du Tillot (1711-1774), raffinato uomo di cultura, attivo in città in qualità di ministro delle finanze dal 1749 al 1771. Divenuto molto potente nel suo ruolo, il Tillot fu autore di ardite riforme giuridiche che tuttavia non ebbero esito, a causa dell’arretratezza in cui versava il Ducato. L'amicizia con il potente ministro attirò all'Amoretti l’avversione dell’autorità ecclesiastica, cosicché, dopo la caduta in disgrazia del Du Tillot, egli fu costretto a trasferirsi a Milano, dove esercitò la professione di precettore. Qui ebbe l’opportunità di affinare i propri studi. Diventò così un erudito enciclopedico e un poligrafo fecondissimo, affiancando agli studi umanistici l’approfondimento della nascente cultura scientifica. La sua attività maggiore fu rivolta verso le scienze agrarie, la geografia e l’economia. Per questo, prese parte all’attività riformatrice dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria (1717-1780). Politicamente moderato, fu estromesso dalle cariche occupate a Milano dall’arrivo dei Francesi nel 1796. Tuttavia l’anno successivo divenne bibliotecario alla Biblioteca Ambrosiana, a dimostrazione di una forse tiepida opposizione al nuovo regime. Nel 1799 al termine del Triennio giacobino, ritornò appieno nel centro della vita politica e culturale milanese.
Morì a Milano il 24 marzo 1816.